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 2022  maggio 24 Martedì calendario

Il piano salva-atolli che divide le Maldive

Come salvare l’isola che non c’è. O meglio: che scompare. Dopo aver sperimentato fin dal 2010 la costruzione di piattaforme artificiali e aver annunciato, un anno fa, l’utopico progetto di una “Floating City”, la prima città galleggiante al mondo (resistente alle intemperie perché costruita con biorock , un materiale rivestito da calcare estremamente leggero), il governo di quelle Maldive rese dai cambiamenti climatici uno dei luoghi più a rischio della Terra, lancia un nuovo, controverso piano per salvare Addu City, nel più meridionale dei suoi atolli.
L’arcipelago tropicale nell’Oceano Indiano composto da 26 atolli aloro volta formati da 1.190 isole, è gravemente minacciato dall’innalzamento dei mari e rischia di essere interamente sommerso entro il 2050: come d’altronde denunciato pure all’Assemblea generale dell’Onu dal suo Presidente, Ibrahim Mohamed Solih, lo scorso settembre. Il terreno delle Maldive, infatti, s’innalza di pochissimo sul livello del mare e già il 97% dei suoi atolli denuncia l’erosione delle coste, fenomeno costante nel 64% dei casi. Per la sua particolare posizione geografica Addu City — città per modo di dire, estesa com’è su 6 dei 30 isolotti che circondano la laguna dove nel 1941 si celava pure una base segreta della marina britannica — è particolarmente a rischio. Nel tentativo dunque di dare un futuro economico alla seconda area urbana più grande del Paese, dove vivono circa 30mila persone, è stato approvato l’ampliamento dei principali 6 isolotti di ben 194 ettari: terreno ricavato dalla sabbia dragata dalla laguna. Certo, l’ambizioso progetto da 200 milioni di dollari, finanziato col sostegno del governo indiano e realizzato dalla olandeseVan Oord, gode di un certo sostegno pubblico. Esaltato pure dal sindaco di Addu City Ali Nizar: «Abbiamo bisogno di nuovi investimenti. Il piano ci garantisce abbastanza terreno per i prossimi 50-100 anni e potremo realizzarci sopra almeno tre nuovi resort». Peccato che le valutazioni sull’impatto ambientale non sono altrettanto ottimiste. L’atollo è infatti una riserva dell’Unesco dal 2020 in virtù della sua «impressionante barriera corallina ed eccezionale biodiversità» come si legge sul sito dell’agenzia Onu. Comprende oltre 1.200 specie di pesci, praterie di fanerogame (una particolare pianta acquatica) e pure mangrovie, in grado di assorbire grandi quantità di Co2 mitigando gli effetti del cambiamento climatico. Ma la “bonifica” seppellirà 21 ettari di coralli e 120 di fanerogame, sollevando sedimenti capaci di «soffocare l’intero ecosistema, mettendo a rischio la fauna acquatica e l’economia basata sulla pesca», denuncia un rapporto della ong ambientalista Transparency Maldives. E pazienza se la Van Oord si è impegnata a usare tecniche sostenibili, ridurre la diffusione del limo e creare nuove barriere coralline sostenendo che «progetti così saranno sempre più comuni e già attirano l’interesse di altre comunità da Bali alle Bahamas». Gli ambientalisti non ci stanno e chiedono di fermare tutto: «È pensato solo per attirare turisti e arricchire grandi multinazionali. Non certo per il bene della popolazione locale».