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 2022  maggio 23 Lunedì calendario

Il batterista Copeland esclude la reunion dei Police

C’è stato un tempo in cui non c’erano pandemie e (quasi) terze guerre mondiali a frapporre barriere tra i luoghi e le culture. E c’è stato un tempo in cui c’era una grandissima band, a cui quel mondo, libero, piaceva girarlo: parliamo del biennio 1979-80. E dei Police e di «Around the World», copioso progetto, tra dvd, cd e quant’altro, con materiali inediti, della tournée con cui il gruppo conquistò il pianeta, da Hong Kong al Cairo, da Atene a Bombay. Senza dimenticare i due storici concerti, per noi, di Milano e Reggio Emilia. Stagione eroica che ci racconta Steve Copeland, della band l’estroso batterista (nonché ritenuto uno dei più validi di sempre), amico-nemico, come vedremo, dell’altro totem dei Police, Sting, con il povero Andy Summers, il chitarrista, a fare da cuscinetto. A luglio Copeland compirà 70 anni e ama molto il nostro Paese, con varie escursioni passate (ha collaborato con Max Gazzé e la Notte della Taranta) e future (un’opera rock con Irene Grandi, di cui ha scritto le musiche). 
Come mai questo progetto “Around the World”? 
«Andy ha scoperto questo materiale quasi dimenticato. E abbiamo ritenuto meritasse una nuova vita». 
In quelle immagini e in quei suoni siete potentissimi: qual era il segreto di una macchina da live come voi? 
«Eravamo interdipendenti, tutto aveva senso in funzione degli altri, perché eravamo solo in tre. E se uno riempiva gli spazi, l’altro li lasciava, in modo molto fluido. Pochi ma buoni, insomma». 
L’altra forza è stata la vostra non incasellabilità: né punk, né reggae, né rock, né pop, ma un po’ di tutto questo 
«Quando iniziammo nel 1976-77, volevamo in realtà essere punk, dogmaticamente punk. Poi scoprimmo che Sting non era un urlatore, ma un superbo cantante. Che io sapevo improvvisare come un jazzista e Andy anche. E che forse eravamo qualcosa di diverso. E di più». 
Il posto più strano in cui suonaste? 
«Bombay, non ci conosceva nessuno. Suonammo all’aperto, la gente ci sentì per le strade e riempi all’inverosimile lo spazio. Una magia unica». 
E poi l’Italia: non era semplice per il rock, allora. 
«Ricordo perfettamente le cariche della polizia e la gente che non voleva pagare il biglietto, era un posto spaventoso per i musicisti. Incredibile, perché poi è diventato uno dei luoghi più belli dove suonare, tra piazze e castelli». 
Eravate molto giovani, ma anche poco inclini ai cliché del rock donnaiolo e tossico. Sting però praticava anche allora le famose cinque ore di sesso tantrico? 
«Ma va, non ne avrebbe mai avuto il tempo, tra un tourbus e l’altro» 
Ritornando seri: perché la magia non è continuata? 
«A un certo punto abbiamo avuto diverse idee sulla musica: Sting era ossessionato dal perfezionismo, io avevo una concezione più anarchica del mestiere e la combinazione non ha più funzionato» 
E ci avete riprovato 14 anni fa, ma è stato un unicum. 
«Alle prove liti come un tempo, poi al concerto tutto passava, alla sera davanti a un bicchiere di vino eravamo degli amiconi. Poi alle 9 di mattina, alle nuove prove, giù di nuovo a litigare come dei pazzi. Perché io e Sting andiamo d’accordissimo, basta che non parliamo di musica». 
Per questo esclude future reunion? 
«Sì, i Police me li porto in giro a modo mio, con delle partiture orchestrali. Così non devo discutere con nessuno».