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 2022  maggio 23 Lunedì calendario

Intervista a Erri De Luca

Nessuno troverà pace in Europa finché non sarà restituita agli ucraini». Si esprimeva in questi termini Erri De Luca nel marzo scorso proprio su La Stampa. A quasi tre mesi di distanza il suo giudizio non è cambiato e rivendica «il diritto di ribellarsi» da parte del popolo ucraino. Lo fa con un altro, deciso appello lanciato dal Salone del Libro di Torino dove, ospite dello stand de La Stampa, presenta la sua nuova fatica letteraria: Spizzichi e bocconi (edito da Feltrinelli). Proprio nel capitolo introduttivo del libro utilizza queste parole che, lette oggi, nel pieno del conflitto bellico tra Russia e Ucraina, suonano come un inequivocabile spunto di riflessione: «La mia generazione nata in Europa a metà del 1900 è la prima ad avere solo sfiorato la fame e la prima a ignorare la guerra, privilegi impensabili per tutte le epoche precedenti».
Che cosa le suscita questa citazione, tratta dal suo libro, alla luce di quanto sta succedendo in Ucraina?
«La fame è impossibilità di nutrirsi, è ossessione di cercare in qualunque modo di sopravvivere, talvolta è persecuzione. E vorrei ricordare che l’Ucraina già negli anni 30 subì una decimazione della sua popolazione dovuta alla fame. Il granaio d’Europa causò la morte di milioni di persone. Di tutte le persecuzioni che hanno colpito la storia dell’umanità, la fame è certamente la peggiore insieme alle guerre».
Lei non si è mai sottratto dal prendere posizione non solo su questa guerra, ma su qualsiasi ingiustizia perpetrata dall’uomo contro i propri simili. Con che spirito sta vivendo questo momento storico?
«La guerra è tornata in modo massiccio in Europa e dobbiamo prenderne atto. Questa della Russia in Ucraina è un’invasione, è un modo bellico di agire che ci riporta al secolo scorso, se non addirittura all’Ottocento. Di fatto è stata violata l’integrità fisica delle nazioni che era un tabù assoluto. Siamo in una guerra moderna che usa sistemi antichi, fatti con lotte di fanteria casa per casa, come fosse una grande Stalingrado».
Si sente coinvolto personalmente dalle vicende ucraine?
«Sì, perché ci riguardano in primis come persone, e poi come comunità europea. E devo dire che l’Europa ha reagito improvvisamente e inaspettatamente come una nazione unica: lo ha fatto spalancando le porte prima ancora che i governi potessero esporsi e aprire i propri confini».
E poi ci sono le sanzioni.
«Esatto. E il fatto di avere deciso di applicare queste sanzioni così impegnative e pesanti è il segnale che siamo entrati in un’economia di guerra responsabilmente, non la stiamo subendo. Le sanzioni sono efficaci solo quando colpiscono anche la propria economia, non solamente quella che si vuole indebolire».
Ma lei si considera pacifista?
«No, non posso assumermi questo titolo nobile. Io sento che un popolo ha tutto il diritto di reagire ad un’invasione. Credo fortemente nel diritto dei popoli di ribellarsi sia contro le invasioni esterne, sia contro le dittature interne dei tiranni. Dunque, non mi posso prendere questo nobile titolo di pacifista. In questo caso non sono neanche neutrale perché mi sento, come gran parte dell’Europa, parte lesa di questa invasione».
E quindi è favorevole all’invio di armi per sostenere la resistenza ucraina?
«Sono favorevole all’aiuto totale alla popolazione ucraina. Un aiuto che passa attraverso l’accoglienza dei profughi, le sanzioni imposte all’invasore e anche attraverso il sostegno bellico per poter reagire nella maniera più efficace possibile. Curiosamente questa è una guerra in cui l’aviazione conta quasi niente, perché la contraerea è così forte che non permette l’intervento dei bombardieri. E quindi è una guerra che si è ridotta ad uno scontro tra fanterie contrapposte».
Agli scrittori si chiede sovente un esercizio di immaginazione che altri non hanno. Lei come si immagina il futuro prossimo di questo conflitto?
«Di una guerra si sa esattamente il giorno in cui comincia, ma è impronosticabile il giorno della fine perché le guerre sono bestie indomabili. Prima o poi finiscono tutte, ma lasciano delle ferite che hanno bisogno di generazioni per essere medicate. Quindi è impossibile immaginare come andrà a finire: posso solo dire che continuerà a oltranza il mio sostegno al diritto dell’Ucraina di resistere».
Resistere anche alla fame - per tornare al tema del suo libro -. Una mancanza, quella della fame, che lei tiene a distinguere dalla sensazione di appetito.
«Solo in questo nostro tempo possiamo rendere sinonimi fame e appetito. Nelle epoche precedenti non era affatto così. L’appetito è un languore che proviamo tra un pasto e l’altro; la fame, come dicevo prima, è una piaga. Ed è per questo che le persone che offrono un servizio di fornitura di cibo agli affamati io le considero al pari della manna biblica: quella sorta di pane che cadeva nel deserto serviva a nutrire il popolo di Israele che poi lo ripartiva in parti uguali. E anche questo dovrebbe essere un grande insegnamento: la ripartizione del cibo».
In Spizzichi e bocconi associa i cibi ai ricordi di giovinezza, alle persone, ai luoghi. A quale cibo-ricordo è più affezionato?
«Certamente alla parmigiana di melanzane perché lo lego indissolubilmente a mia madre: ogni volta che mi spostavo anche solo per pochi giorni, al mio ritorno mi faceva trovare la parmigiana di melanzane. Da quando lei è morta ho smesso di consumare questo cibo, non lo accetto più. Però il profumo e il sapore sono ben piantati dentro al mio naso e alle mie papille gustative».
Come è cambiata la sua tavola dalla giovinezza napoletana ad oggi?
«Per me la tavola è il mobile più bello delle nostre case. È il posto dove si fa tregua e dove le persone staccano dalle loro attività quotidiane. La mia tavola è cambiata molto perché è cambiato il panorama che ho intorno: prima era una tavola piena di gente, adesso è vuota, è solitaria. Tuttavia, quando mi siedo al mio posto è come se intorno a me si rianimasse una tavolata di assenti e questo accade grazie al cibo. Sono tutti lì, presenti, e io ne onoro l’assenza e li ricordo. Questo mi fa percepire la tavola come il posto dove si elabora e si smaltisce il lutto».