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 2022  maggio 23 Lunedì calendario

Alessandro Gassmann: «Sono un ragazzo selvaggio»

Sua madre, l’attrice Juliette Mayniel, lo chiamava l’enfant sauvage, per quella passione che aveva di starsene arrampicato per ore sugli alberi come Cosimo ne Il barone rampante, trattenere il respiro per «fare amicizia» con le ghiandaie, amare i trattori più che le macchinine. Alessandro Gassmann arriva con quel soprannome perfetto al Salone di Torino, dedicato ai «Cuori selvaggi», per parlare della missione che ha fatto sua, «usando la popolarità», esponendosi su Twitter: avviare qualcosa di concreto per il futuro del Pianeta, preoccupandosi dei rischi del cambiamento climatico, dello spreco di risorse. La scritta sulla maglietta, «Because there is no Planet B», se ce ne fosse bisogno, rafforza il messaggio. Porta avanti, con gli scienziati e gli esperti del Kyoto Club e con l’ingegnera meccanica ed ecologista Annalisa Corrado, un progetto per immaginare una rivoluzione davvero ecosostenibile. Lo racconta, ospite dello Stand de La Stampa e nel libro per Piemme, Io e i #Green Heroes, perché ho deciso di pensare verde, in cui le storie di imprenditori virtuosi accompagnano quella della sua vita, mettendo in chiaro il senso di una battaglia legata al concetto greco di polis, con i cittadini che si mettono al servizio della comunità: «A chi mi chiede se mai vorrò impegnarmi in politica dico: sono già impegnato, pensavo fosse evidente», non si tira indietro nel sostenere che sulla transizione verso le energie rinnovabili il ministro Cingolani dovrebbe cedere il passo. Alterna ricordi di famiglia, cinema e teatro, ma tutto alla fine torna lì: il viaggio con il padre Vittorio alle cascate dell’Iguazú, «la cui portata si è drammaticamente ridotta per la scarsità di precipitazioni»; l’emozione per la biodiversità del Borneo Malese, con l’amico Gianmarco Tognazzi, inseguito dagli orangotango durante le riprese di un film, l’infanzia nella casa materna all’Argentario.
L’impegno ecologista, quindi, non è scoppiato all’improvviso, covava dentro?
«Mia madre era nata in una famiglia contadina. È diventata un’attrice, una pittrice, un’intellettuale, ma ha sempre mantenuto questo rapporto fisico con la terra e i frutti della natura, che mi ha trasmesso. Da quando sono diventato padre, mio figlio oggi ha 23 anni, ho cominciato a pensare non più alla fine della mia esistenza su questo Pianeta, ma alla sua».
Le aziende che racconta hanno in comune la scelta di non delocalizzare, non sprecare, avere un impatto positivo sulla società.
«Dalla cartiera piemontese, che si è risollevata da un fallimento che rischiava di cancellare una storia di 130 anni, all’azienda che produce vernici per ambienti in grado di assorbire l’anidride carbonica, i Green Heroes hanno individuato prima di tutti delle possibilità: è una questione di sensibilità e determinazione. A Roma, per esempio, si sta dibattendo di risolvere il problema della nettezza urbana con un inceneritore. La capitale ha una percentuale di raccolta differenziata solo del 45%. Certo, è più facile bruciare piuttosto che dividere, ma non può essere l’unica soluzione. Noi intanto, con i proventi del libro, piantiamo alberi da frutta su terreni gestiti da cooperative sociali».
E noi cosa possiamo fare?
«Capire che facciamo parte di un ecosistema, non ne siamo proprietari. Dobbiamo proteggerlo e non essere causa della sua rovina, guardare come a cose che non ci appartengono i 56° a Bombay, gli incendi in California o la deforestazione dell’Amazzonia. Dobbiamo, ora, pensare a questo come il nostro primo problema: abbiamo le tecnologie per rimediare, sono pronte e basta usarle, purtroppo in Italia c’è una burocrazia che rallenta. Il nostro Paese è molto arretrato e questo va cambiato».
Se mai ce ne fosse stato bisogno, la guerra ci ha dimostrato che quello dell’approvvigionamento energetico è una priorità.
«La transizione energetica è fondamentale, può e deve voler dire democrazia e libertà. Noi possiamo liberarci delle energie fossili in tempi relativamente brevi, abbiamo un passaggio da fare, ma dovevamo cominciare ieri, non domani. Il ministro Cingolani non la sta portando avanti, anzi, la sta ostacolando, rallenta le operazioni».
L’amore per la natura arriva da sua madre, da suo padre quello per la letteratura?
«Mio padre parlava correntemente greco antico, in vacanza a Paxos ci restò malissimo che i pescatori dell’isola non lo capissero: ha tradotto tutte le tragedie greche che ha messo in scena. Era un grandissimo lettore, aveva una cultura smisurata ed era un padre esigente. Da ragazzo avevo l’obbligo di lettura di un libro a settimana e con il riassunto».
Non un’idea malvagia, con il senno di poi.
«Sulla carta era perfetta, ma io, per l’educazione severa che ho ricevuto, quasi un addestramento paramilitare, a 16-18 anni ho smesso di studiare, come può succedere a chi ha un un’indole refrattaria a sopportare le imposizioni. I miei impegni primari erano la Roma, la curva e i fumogeni ».
E lui?
«Mio padre mi prese per un orecchio: mi fece fare il servizio militare, poi mi portò in tournée, unendo la mia passione calcistica all’arte. Da una botola, come attrezzista, ho visto almeno 250 repliche del suo meraviglioso Macbeth: ero l’addetto ai fumi».
Da attore come ha guardato al Teatro di Mariupol e alla Casa della cultura di Lozova bombardati?
«È una guerra che ci fa più paura perché è vicina, ma non per questo è più mostruosa di altre. In Siria sono morti 600 mila innocenti e non se ne parla più, come del Kurdistan. Distruggere storia e cultura di un Paese è una violenza inaudita, di tutti i Paesi. Ho amici, attorie e registi russi, che stanno cercando di andarsene, gli intellettuali che si sono opposti a Putin sono stati tagliati fuori. La libertà degli artisti e degli scrittori a Mosca è finita. E poi mi fanno effetto le foto di quei soldati russi poco più che ragazzini. È come se avessimo reclutato i nostri ultrà, gli avessimo dato un fucile in mano e gli avessimo detto: prendete l’Istria».