la Repubblica, 23 maggio 2022
Valeria Bruni Tedeschi parla del suo nuovo film
Gli anni Ottanta al Festival di Cannes. Quelli del sogno americano, tra ottimismo e nostalgia, di Tom Cruise e Top Gun, quelli malinconici di James Gray, che in Armageddon Time scatta l’istantanea del 1980, Ronald Reagan non ancora eletto e John Lennon ancora vivo. Valeria Bruni Tedeschi porta invece la fine del decennio, tra Parigi e New York, la giovinezza, le ambizioni, il desiderio, l’amore, le paure, l’Aids, la droga, un gruppo di allievi di Les Amandiers, la scuola-teatro di Patrice Chéreau che dà il titolo al film in concorso, sarà in sala con Lucky Red.
Questo film contiene sentimenti intimi, ma anche la storia di una generazione cresciuta con la vitalità e l’allegria di quegli anni, con i problemi a volte rimossi.
«Sì, questo doppio elemento, Eros e Thanatos, era importante quando scrivevamo. In quegli anni allo stesso tempo c’era la grande vitalità della giovinezza e un grande pericolo di morte. Anche ai giovani attori alle prove ho comunicato questo conflitto che è buono: Eros e Thanatos fanno una bella guerra interiore che dà forza al film».
La colonna sonora mescola musica pop, rock, classica, era quella che ascoltava allora?
«Alcuni brani sono figli delle mie ossessioni, Me and Bobby McGee di Janis Joplin l’ho ascoltata per una vita: “La libertà è solo un’altra parola per dire che non hai niente da perdere”. Ci sono tante canzoni di quel periodo che mi provocano in un attimo un fiume di emozioni»
E che viaggio è stato in quei suoi anni?
«È stato un lavoro commovente, a volte doloroso, però molto vitale, che ho fatto con Noémie Lvovsky e Agnès De Sacy. Eravamo molto concentrate, per due anni, è stato un lavoro pieno di gioia ma con periodi difficili».
Cosa ha riscoperto di se stessa, cosa direbbe ora a quella giovane ragazza che era?
«Eh, forse le direi che è difficile salvare gli altri perché nel suo rapporto amoroso, ha una voglia di salvare. E forse è difficile, Noémie aveva fatto un bel film, Camille Redouble in cui lei stessa saltava nella sua giovinezza con l’esperienza e la faccia di adesso, e nessuno sirendeva conto che lei era adulta. E riviveva, rincontrava ma alla fine faceva sempre gli stessi sbagli. Ci avevo pensato anche io per questo film, poi Louis Garrel mi ha detto “ma cos’è una commedia allaHarold e Maude ?” allora ho desistito. Penso che sia molto difficile dare dei consigli ai giovani, perché penso che li si possa un pochino guidare, raccontare la nostra esperienza, però è difficile dare dei consigli».
Cosa le manca di allora, di quegli anni, di quel vissuto?
«Chéreau mi manca molto, da quando è morto mi manca, ma è sempre presente, ancora di più di prima. In ogni cosa che faccio, anche nelle piccole cose, lo sento sempre segretamente presente. Mipare di fare sempre film sulla famiglia, biologica o artistica, Chéreau era il mio padre artistico»
Il film è una commedia tragica.
«Sì, un gusto personale che deriva dalla mia infanzia, dai miei genitori, dal subconscio legato al cinema italiano. Ho bisogno di ridere della nostra esistenza e della nostra miseria».
Che rapporto ha con il tempo che passa?
«Mi ha sempre fatto soffrire, da adolescente continuavo a tenere il
costume fino all’autunno perché non volevo che l’estate finisse».
Colpisce la sintonia e il dialogo costante con Louis Garrel. Come avete ricostruito il vostro rapporto?
«Penso che la difficoltà prima di tutto sia stata di costruire un rapporto di amicizia, perché quando ci si separa è difficile restare amici.
Abbiamo fatto molti sforzi, molto lavoro anche per nostra figlia. Però girare questo film insieme è stato come una conseguenza del lavoro che avevamo fatto nella vita: ah, allora possiamo anche fare un altro film insieme. Molte persone mi dicevano “Ma cosa fate a fare questo film insieme? Rischiate di smuovere cose...” Invece no, facendo questo film il nostro rapporto è migliorato.
Secondo me il lavoro è sempre una fonte benefica, lo è stato con mia madre, quando abbiamo condiviso il set. Quando ho cantato con mia sorella nel suo disco, l’esperienza ci ha riavvicinato, con mia figlia è successo lo stesso. Utilizzo il lavoro per migliorare la vita».
Per i suoi giovani attori il Festival è la grande occasione?
«Sì. Il mio più grande sogno è che la gente li amasse, li facesse lavorare.
Vorrei anche che loro prendessero le strade giuste e lavorassero con le persone giuste. Che non si perdessero in questo mestiere. E più di tutto desidero che abbiano una bella vita».