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 2022  maggio 22 Domenica calendario

L’olio di Hermon per contratare le crisi libanese

Il pieno costa un milione e 300 mila lire, l’equivalente del salario di un soldato. Quello che fino a poco fa tutti in Libano definivano un buon impiego. E davvero in pochi ad Hasbaya, oltre la linea blu e a una manciata di chilometri da Israele, possono comprare masud, il gasolio per far marciare auto e generatori, l’unico modo per avere corrente garantita. Lo “sprofondo” di due anni di recessione e inflazione stellari hanno svuotato case e – fatto inaudito per il Libano – riempito i primi barconi che da Beirut o Tripoli fanno rotta verso la sponda nord del Mediterraneo, Italia compresa. Si sopravvive in gran parte grazie alle rimesse dei libanesi all’estero: «Ormai sono più i sirani che i libanesi» è l’amara battuta di chi è rimasto mentre per tutta l’estate chi poteva si è imbarcato su voli aerei diretti verso le diverse capitali europee con biglietti di sola andata.
La scommessa di Celim (socio Focsiv) con il progetto «Olio e olive di qualità» è, nonostante tutto, di creare opportunità di lavoro per giovani, uomini e donne partendo dal basso. Uno di loro è Amin, che ha ereditato dal padre un terreno su cui, da sempre, la sua famiglia coltiva gli olivi. E paradossalmente la grande recessione, per lui come per altri contadini, è stata una opportunità ma carica di rischio e ambiguità: «L’olio d’oliva in questa crisi è diventato un bene rifugio: chi lo produce spesso riesce a venderlo direttamente in dollari ai libanesi della diaspora. Questa situazione provoca, a causa della svalutazione della valuta locale, forti guadagni immediati ma stravolge gli equilibri di produzione e non garantisce qualità e rispetto dei cicli di produzione» spiega Marco Benedetti, rappresentante Celim in Libano. Il progetto, avviato nel 2019, ha obiettivi semplici quanto ambiziosi: migliorare la qualità e abbassare i costi di produzione dell’olio, stabilire un accesso regolare al mercato interno e internazionale riuscendo a collocare una produzione che spesso rimane invenduta, e diminuire l’impatto ambientale. Una sfida per temerari, non solo perché nel cielo di Hasbaya sopra la sede del Celim non di rado passano missili che Israele lancia in risposta a quelli che partono dalle postazioni di Hezbollah sul monte Hermon, ma anche perché in questi mesi colossi dopo il fallimento di alcune banche si teme un “default” di tutto il sistema economico libanese.
In una regione fortemente impoverita dagli anni di occupazione israeliana e dove mancano vere politiche agricole, per rendere fruttuosa l’olivicoltura bisogna migliorare le tecniche di coltivazione, vanno introdotti controlli di qualità sull’olio e va pure contrastato un serio problema ambientale: gli scarti della lavorazione della filiera vengono riversati, senza essere smaltiti, nel fiume Hasbani o sui terreni agricoli con un forte inquinamento.
Restare in una regione svantaggiatga e creare sviluppo è invece l’obiettivo del consorzio “Mount Hermon” promosso da Celim in collaborazione con Ingegneria senza Frontiere, Chico Mendes Onlus, e i partner locali el-Khalil Foundation e Lebanese Agricultural Research Institute: il marchio deve ancora essere ufficialmente registrato ma ha già messo a disposizione di una settantina di agricoltori libanesi macchinari e ha attivato dei corsi di formazione agraria e amministrativa grazie alla presenza sul campo di un agronomo e di un ingegnere. Tre vasche per il trattamento delle acque reflue dei mulini sono già state attivate. E, anche grazie alla campagna “La pace va oltre”, si vuole costruire una stazione di imbottigliamento con una capacità di stoccaggio di 24.000 litri: «L’idea di poter riuscire a commercializzare un prodotto brandizzato “Mount Hermon” proveniente da Hasbaya rende tutti molto orgogliosi. In questi mesi abbiamo lavorato come una vera squadra nonostante la grave crisi economica» spiega sotto anonimto una agronoma dello staff Celim. E il mese prossimo le prime bottiglie Moujnt Hermon saranno una realtà.