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 2022  maggio 22 Domenica calendario


Intervista a Tilda Swinton

Le tremila e una notte di George Miller incantano il festival di Cannes. Il regista australiano che nel 2015 aveva travolto la Croisette con la violenza post-apocalittica diMad Max: Fury road consegna ora una fiaba moderna piena di dolcezza e malinconia, un’ode al potere del racconto.
Tratto dal libro di Antonia S. Byatt Il genio nell’occhio d’usignolo , Three thousand years of longing (tremila anni di attesa) racconta il lungo incontro in una stanza d’albergo a Istanbul tra una studiosa di narrazione, Tilda Swinton, e un genio, Idris Elba, che fuoriesce da un’ampolla comprata al Gran Bazar e che le chiede di esprimere tre desideri, per poter essere libero. Lei però, un matrimonio fallito e un bimbo mai nato, non ha nulla da chiedere, se non che il Djinn si racconti, dal regno della regina di Saba e re Salomone, che lo imprigiona in un’ampolla in fondo al mar Rosso, ritrovata duemila anni dopo da una schiava innamorata del principe Mustafa, che non riesce a esprimere l’ultimo desiderio. Altri secoli di ampolla, finché una concubina assetata di conoscenza viene esaudita al punto da desiderare di non aver mai conosciuto il genio. Racconto dopo racconto, il film mette in scena il rapporto tra l’antico senso di meraviglia e le certezze scientifiche e ragiona sull’amore. Incontriamo Tilda Swinton, diafana come il suo abito, in una stanza dell’hotel Majestic, la finestra spalancata sul vento della Croisette.
Miller dice che questo film non ci sarebbe senza il vostro incontro qui, cinque anni fa.
«Cannes per me è soprattutto l’occasione di incontrare colleghi, autori. È successo facendo colazione con Bong Joon, ritrovando come vicino di tavolo a cena Miller. È un luogo magico».
Ci sono voluti cinque anni, attraversati dalla pandemia.
«Idris e io abbiamo trascorso laquarantena in Australia vicini di stanza, la sera facevamo le prove guardandoci dal balcone. E anche se George voleva fare questo film anni fa, non c’è mai stato momento migliore per il pubblico di oggi, per riconsiderare l’importanza della narrazione nelle nostre vite, per la nostra salute mentale. È pericoloso anche avere un’unica narrazione, quando succede le cose volgono subito al peggio. Devono essere tante, diverse».
Le storie di per sé possono essere pericolose, non importa quante ce ne siano. Voi attori, registi, siete diventati più consapevoli del vostro ruolo di narratori in questa era di post-verità, in cui una storia contraddice le altre?
«A differenza della maggior parte delle persone, non sono sui social media. Non mi vedo come influencer al di là del mio lavoro e come madredei miei figli. Magari può valere per altri. Ma parlando di era della post-verità, sinceramente mi chiedo se ci sia mai stata un’era che non fosse di post-verità».
La sua narratologa cerca somiglianze e legami tra i miti di varie epoche e civiltà per capire l’essenziale verità comune.
«L’umanità viene definita homo sapiens, ma in realtà è homo-narrans, siamo scimmie narratrici, più che sagge. O forse la saggezza viene dall’essere narratori. La mia Alithea ha tante conoscenze, ma è una osservatrice delle vite di altri, si è ritirata dalla vita. Dice di non avere desideri ma impara a conoscerli, volerli, chiederli. È la sua evoluzione».
È un film sul potere dell’amore?
«Sì, ma un amore poco ortodosso.
L’idea che due esseri restino nella loro solitudine, si raccontino, si sostengano e si lascino andare, non è un mito romantico. Non si tratta di fondersi o perdersi nell’altro, cosa che ci viene venduta costantemente negli ultimi cent’anni. Si tratta della consapevolezza che siamo soli, per citare Raymond Williams, moriamo soli. Questa è la cosa che li unisce, un tipo di amore molto particolare».
Quando ha capito quanto fosse importante per lei far parte della narrazione, come attrice?
«Mia nonna leggeva i libri a me e i miei fratelli come nessun altro, sapeva abbellire le frasi, le descrizioni, fare le voci, da ragazzina mi sentivo trasportata dalle sue letture, dal colore delle tende, l’odore nell’aria.
Lo scrittore Nigel Nicholson da ragazzino prendeva il tè con Virginia Woolf. Lei chiedeva “Cosa hai fatto oggi?” E lui: “Nulla”. “Ti sei svegliato, da che parte eri sdraiato? Qual è la prima cosa che hai visto, pensato, annusato? Sono dettagli che hanno reso Nigel uno scrittore e così mia nonna ha influenzato me».