la Repubblica, 22 maggio 2022
Il nuovo ingorgo dei porti globali
Guerra nel cuore dell’Europa, nuovi lockdown in Cina e contratti dei portuali che vanno discussi negli Stati Uniti. La crisi della logistica mondiale, che sembrava in via di superamento dopo il Covid, sta tornando a intasare i moli, mettendo in allarme le industrie che rischiano ritardi nelle forniture chiave. C’è chi l’ha definita la tempesta perfetta, tra ingorghi, colli di bottiglia che bloccano le merci, stop ai treni che attraversano la Russia, “effetti frusta” sui porti europei e statunitensi non appena riprenderà l’attività a pieno regime in Cina. Questo rimbalzo preoccupa gli Usa, da Los Angeles, che mostra problemi già oggi, a Long Beach, che si sta affollando. Ma Rotterdam, il più grande porto europeo, è già sovraffollato di container.
Chi vuole guardare le “code” che si creano negli scali del mondo può collegarsi con la piattaforma di Project44. Una sorta di Google Maps dei mari. A Shanghai è in aumento il trend delle navi in attesa di ormeggio (+64%), mentre diminuiscono quelle ormeggiate (-13%) causa calo di produzione. E poi ci sono i tassi di “rollover”, cioè i container caricati da una nave alla successiva nel tentativo di rispettare i tempi: cifre che aumentano rispetto al 2021, nonostante i cali di produzione e di domanda. Sono un indicatore chiave della puntualità delle spedizioni, e prefigurano un’impennata dei ritardi. Ad aprile il Logistics Manager’s Index Report, realizzato dalla Colorado State University, segnava 69,7, in discesa rispetto al 76,2 di marzo: dopo 23 mesi consecutivi di contrazione, la capacità di trasporto era finalmente tornata all’espansione. E i prezzi calati leggermente. Ma la guerra in Ucraina sta già invertendo il trend, almeno in Europa: a Rotterdam ci sono gli arretrati russi, container fermi e da ispezionare. Tempi di permanenza più 33%. Cresce il traffico anche ad Amburgo (+19% per la permanenza) e a Felixstowe, Regno Unito.
La Clepa, associazione europea della filiera d’auto, tra le più dipendenti dal flusso globale di componenti, dice che la situazione peggiorerà. «I fornitori cinesi che hanno ripreso il sistema a circuito chiuso, con i lavoratori che rimangono in fabbrica, producono con riduzioni di capacità del 50-70%», raccontano da Bruxelles. Se si aggiunge che «i tempi di spedizione sono superiori ai cento giorni e i volumi merci via terra sono diminuiti del 30% la situazione è molto difficile».
Il settore auto ha cercato di mettere una toppa, incrementando le importazioni dalla Cina: più 37% nel 2021 rispetto al 2020. «Tutto questo per fare scorte e magazzino», spiegano da Clepa, ma il risultato non sempre è efficace. «L’auto era un settore prevedibile nei tempi di reazione. Ora non più», sottolinea Marco Rollero, vicepresidente componentistica Anfia e responsabile acquisti della multinazionale Eaton. Lavora traEuropa e Stati Uniti. «Si stavano registrando i primi punti di flessione. Il prezzo dei container, dai 20 mila dollari stava scendendo verso i 15-16 mila. Prima della pandemia si pagavano 3.500 dollari», racconta. E indica il vero paradosso: «Il rischio è che costi più la scatola che il contenuto». Gli effetti della politica “Zero Covid” si sentono pure in Cina: gli ultimi dati del mercato auto indicano un crollo superiore al 40%. Colpa dei lockdown e della scarsità dei componenti. «Guardiamo alla Cina, ma in realtà i problemi sono anche al porto di Los Angeles – sottolineaRollero – e i conti delle società sono già sotto pressione». Altro paradosso: truck da oltre 100 mila euro che rimangono fermi perché manca un pezzo dal valore di 100 euro. «Le case affittano aeroporti dismessi come depositi – dice Adolfo De Stefani Cosentino, presidente Federauto, associazione che raggruppa i dealer – chi vuole un’auto oggi deve aspettare dai sei mesi all’anno e mezzo».
La situazione non riguarda solo l’auto, ma altri settori industriali e commerciali. «Non si vede un punto di uscita chiaro – dice Igino Colella Garofalo, Presidente di Cscmp ItalyRoundtable, associazione mondiale dei manager della logistica – è da oltre due anni che siamo sull’altalena. Il sistema è sotto stress e non è chiaro quando migliorerà». Anche l’elettronica sta subendo effetti, causa scarsità dei chip, così come l’edilizia per le materie prime e la componentistica l’idraulica. Poi c’è l’abbigliamento. I marchi del tessile hanno nel Sud-Est asiatico la roccaforte produttiva ma la “via della seta” è bloccata. Da H&M a Nike, molti stanno riorganizzando le loro catene di forniture, accorciandole. Ma ci vuole tempo.