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 2022  maggio 22 Domenica calendario

Il politologo russo Suslov: «Si rischia la guerra infinita»

«L’Occidente vuole una sconfitta russa. E non è disposto a sottoscrivere un accordo per noi accettabile. Guardi l’ultimo comunicato del G7, dove si dice chiaramente che rifiuterà qualsiasi modifica dei confini. Ma è ovvio che la Russia chiederà come minimo il riconoscimento della Crimea in quanto parte della Federazione russa e del Donbass in quanto non parte dell’Ucraina. Molto probabilmente solleverà anche il problema di Kherson e altre zone controllate dalle truppe russe. Se la posizione occidentale è questa non ci può essere accordo. Ciò significa che la guerra continuerà e che la Russia probabilmente lancerà un attacco contro Odessa per tagliare l’Ucraina dal Mar Nero». 
È la terza volta dall’inizio del conflitto che sentiamo Dmitrij Suslov, direttore del Centro studi europei e internazionali presso la Scuola superiore di Economia di Mosca, uno dei pensatoi del Cremlino. E ogni volta, l’impressione è stata quella di un maggior indurimento, dell’emergere di una linea progressivamente più oltranzista nel gruppo dirigente russo. 
Qual è la sua fotografia della situazione? Le truppe russe avanzano a fatica. 
«La Russia è ancora concentrata soprattutto sul Donbass. Il ritmo dell’avanzata non è così rapido come il Cremlino vorrebbe. Ci sono complicazioni che hanno molteplici motivi. In primo luogo, la leadership politica russa esita ad aumentare il livello delle truppe impegnate nella guerra, che pure molti esperti consigliano. Il governo è impegnato a continuare la lotta con un numero limitato di forze. Per quanto ne so, la ragione dietro questa scelta è che si vuole preservare una percezione di vita normale in Russia. Vogliono che il popolo pensi che c’è una operazione speciale in corso da qualche parte, che però non ha alcun impatto sul quotidiano. E in verità dal punto di vista economico, culturale e del tempo libero la vita in Russia continua come prima. Non c’è il senso di una mobilitazione e se non guardi la tv non hai l’impressione che combattiamo una guerra in Ucraina. Questo è considerato molto importante per preservare la stabilità politica e quindi non ci sarà alcun incremento dello sforzo bellico». 
Non vorrà dire che la Russia non vince perché, come si diceva una volta, «combatte con un braccio legato»? 
«No. Sulla lentezza dell’offensiva pesano anche la determinazione a ridurre il numero di vittime tra i soldati russi e il fatto che gli Stati Uniti e gli occidentali forniscono un sostanziale aiuto militare e di intelligence agli ucraini. Nonostante questo, la missione procede e la convinzione prevalente è che la Russia sia in grado di vincere la battaglia per il Donbass, anche con questo livello di truppe, che è molto inferiore a quello dell’Ucraina anche se dispone di una maggiore potenza di fuoco. Le perdite ucraine sono alte e ci sono dubbi su quanto ancora possano sostenere l’attuale pressione». 
L’ex colonnello e analista strategico Khodaryonok però ha descritto pubblicamente un quadro molto negativo della vostra situazione sul campo, affermando che può anche peggiorare e che la Russia è isolata. 
«Questa è la narrazione dominante in Occidente». 
Sarà, ma sorprende che a dirlo sia stato un ex militare russo ed esperto di difesa. 
«Vero. Ma quello di Khodayonok non è quadro oggettivo, anche sulla base delle valutazioni confidenziali che mi vengono fatte. Non c’è un successo miracoloso e sappiamo che le forze russe si sono dovute ritirare da alcune posizioni in Ucraina, hanno subito pesanti perdite, hanno perso l’ammiraglia della flotta del Mar Nero, diversi generali sono morti e così via. Teniamo presente che stiamo combattendo una proxy war, questa non è una guerra Russia-Ucraina ma una guerra Russia-Nato o Russia-Usa. Oltre alle armi ricordo l’importanza delle informazioni sugli obiettivi contro cui puntare: ogni singolo missile o colpo di cannone ucraino è basato sui dati forniti dalle intelligence occidentali. Dunque, non parlerei di un grande successo russo, ma la situazione non è quella che descrivono Khodaryonok e i media occidentali, che tacciono sulla situazione dell’Ucraina: il numero delle vittime fra i soldati di Kiev è altissimo, un terzo della popolazione è fuggito dalle loro case, un terzo dell’infrastruttura è stata distrutta, mentre l’economia si è contratta del 50%. Non mi pare che l’Ucraina stia vincendo». 
Ma resta che siete isolati. 
«Non c’è alcun senso di isolamento in Russia. L’Occidente si è dimostrato quasi incapace di mobilitare i Paesi non occidentali. E ci sono frizioni anche interne all’Occidente: guardi per esempio al sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ancora bloccato sull’embargo sul petrolio. Divisioni sono visibili anche sulle truppe da schierare nei Paesi di frontiera della Nato, che vorrebbero un numero molto più alto di quello in effetti deciso». 
Cosa succederà, una volta conquistato il Donbass? Esistono ancora due linee al Cremlino, una che dice di fermarsi lì e cercare un accordo e l’altra che dice di continuare la guerra a oltranza? 
«Sono due ipotesi. Ma sfortunatamente le chance della prima opzione si sono ridotte di molto e quelle di una guerra senza fine sono fortemente aumentate». 
Non ci sarà alcuna de-escalation quindi. 
«Non è così. Paradossalmente dopo aver tagliato l’accesso dell’Ucraina al Mar Nero potrebbe esserci una de-escalation per esaustione di tutte le parti. E quando dico parti esauste non voglio dire solo Russia e Ucraina ma anche l’Occidente, il cui potenziale di fornitura d’armi è già al limite, soprattutto in Europa. Diverso è per gli Stati Uniti, dove però i fattori politici interni stanno già cominciando a pesare. Sarà un fatto fisiologico, ma la guerra potrebbe andare avanti a più bassa intensità almeno per un anno. Poi ci potrebbe essere una ripresa violenta delle ostilità». 
Insomma, è un fatto che non stiate dando alcuna chance alla diplomazia. 
«Al contrario. Personalmente vorrei tanto avere una soluzione negoziata e saluto l’iniziativa del governo italiano, che ha appena proposto un piano. Possiamo non essere d’accordo con alcune idee, ma l’iniziativa va lodata ed è utile. Ci sono Paesi e leader in Europa che vogliono mettere fine a questa guerra senza una sconfitta per nessuno dei due contendenti, ma con un compromesso: fra questi sono Draghi, Macron e Scholz. Ma sfortunatamente il Regno Unito, la Polonia, i Paesi baltici insieme agli americani vogliono una guerra di attrito e la sconfitta strategica della Russia». 
Vuol dire che l’iniziativa italiana è frenata da questi Paesi? 
«Mi pare ovvio. La Russia è pronta. Sono stati gli ucraini a lasciare il tavolo negoziale, perché gli Usa e il Regno Unito li hanno incoraggiati a massimizzare le loro richieste. La nostra posizione non è mai ufficialmente cambiata da prima del conflitto: Crimea, Donbass, status neutrale, demilitarizzazione». 
Come reagirete all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato? Putin è sembrato minimizzarne l’impatto. 
«È una deliberata e voluta violazione delle linee rosse indicate dalla Russia, un’altra prova dell’intenzione di umiliarci. Naturalmente ci saranno cambiamenti: la Finlandia non sarà più considerata un partner e un Paese amico. La Russia militarizzerà molto di più il Nord-Ovest e in particolare la Carelia, come reazione al disequilibrio che emerge nella regione e al tentativo di fare del Baltico un mare interno alla Nato. Il confine russo-finlandese non sarà più una frontiera amichevole e la Finlandia sarà un potenziale teatro di guerra, anche se fosse solo una cyberwar. Nel caso poi di truppe o basi Nato in Finlandia, allora non ho dubbi che la Russia spiegherebbe e punterebbe armi nucleari tattiche contro la Finlandia». 
Ma la società russa è disposta ad accettare una guerra protratta? 
«La società russa a mio avviso è su una posizione ambigua o meglio contraddittoria. Da un lato, c’è un forte appoggio alla guerra e molti hanno cominciato ad accettare la narrazione ufficiale, secondo cui quella in Ucraina è una guerra patriottica della Russia contro l’Occidente, per la sua sopravvivenza. Allo stesso tempo, non vedo una disponibilità della maggioranza della popolazione a cambiare il proprio stile di vita e a fare sacrifici. E questo spiega la riluttanza del Cremlino a lanciare una mobilitazione generale».