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 2022  maggio 21 Sabato calendario

Le amiche della Ferrante a fumetti

iNadia Terranova
Si definiscono due neofite del fumetto ma la verità è che sono due geniali professioniste ciascuna del proprio mestiere. In più entrambe ne hanno anche un altro, sotterraneo e nascosto: sono due lettrici militanti. Chiara Lagani, drammaturga e traduttrice, e Mara Cerri, illustratrice, si sono incontrate tra le parole della scrittrice italiana più misteriosa e nota del mondo, Elena Ferrante, che hanno amato entrambe, e si sono avventurate insieme in un territorio nuovo e contiguo a entrambe: il fumetto.
Hanno lavorato insieme all’adattamento della tetralogia, così è venuto fuori il primo volume dell’Amica geniale edito da Coconino.
Vi immagino alla fine di un cammino lungo, che avete fatto insieme ma anche ciascuna per sé, e mi piacerebbe sapere qual è l’origine, da dove è cominciato tutto.
Chiara Lagani: «In origine avevamo un’altra idea, volevamo lavorare su un’altra scrittrice napoletana, Anna Maria Ortese».
Mara Cerri: «All’epoca Chiara lavorava alla trasposizione dell’opera di Elena Ferrante, io illustravo l’unico suo libro per bambini, La spiaggia di notte.Quando ci hanno controproposto L’amica genialeabbiamo deciso di accettare la sfida e tutte le strade si sono incrociate. Io avevo visto il lavoro che aveva fatto Chiara a teatro con Storia di un’amicizia e mi piaceva come si era mossa, aveva tirato fuori delle atmosfere oscure, molto familiari per me. C’era un’infanzia inquieta, c’erano le bambole di Lila e Lenù».
Proprio loro, le bambole: erano già presenti nel vostro immaginario.
Penso ai libri di Oz, di cui Chiara è curatrice.
CL:«Sì, anche lì c’è una bambola ed è importantissima, e poi io spiavo le bambole che disegnava Mara, le andavo cercando nel suo lavoro, per esempio nella Spiaggia di notte».
MC: «Lì in moltissime tavole non c’era traccia di umani, ma solo residui di una giornata al mare. Mi stimolava disegnare questi oggetti inanimati che prendevano vita, e in una c’era una bambola abbandonata sulla spiaggia.
Nell’Amica geniale disegnare le bambole era un po’ come disegnare Lila e Lenù. Pensa che ci hanno proposto di inserire dei disegni nelle nostre biografie, ci hanno chiesto di usare quelli delle due bambole, o delle due ragazze».
E voi?
CL:«Naturalmente ci siamo opposte, anche perché si sarebbe posto il problema: chi delle due è Elena?
Avremmo voluto essere tutte e due lo stesso personaggio, o Elena o Lila. In fondo non sono disgiungibili. Elena mostra le sue fragilità, le sue incompiutezze, vede sé stessa sempreun passo indietro, mentre la sua geniale selvatica amica riluce».
Mi piacerebbe sapere dall’interno come ha preso forma questo libro. Il risultato è aderente all’originale ma anche con una sua peculiarità, non sembra una replica né della saga né dei vostri lavori. Ci siete entrambe, ma c’è anche un terzo luogo in cui vi siete trovate.
MC: «Procedevamo insieme per frammenti, Chiara scriveva e io le sottoponevo le mie bozze a matita, per i primi storyboard non so come facesse a capirci qualcosa, mi sembrava un miracolo. Ma al di là di tutto il lavoro più importante è stato quello propedeutico. Abbiamo parlato, parlato, parlato. Parlare è importantissimo quando si crea qualcosa insieme. Per me è stato fondamentale il modo in cui Chiara si entusiasma nel guardare questa saga, il modo che ha di interpretarla. Il suo sguardo».
CL:«Abbiamo cominciato durante il lockdown, quando vedersi non era possibile, ma eravamo sempre in dialogo, anzi: forse di più, proprio per questo. Molti ci chiedono come abbiamo fatto a selezionare in un romanzo così lungo gli episodi da tenere e quelli da lasciare andare, ma per me non era difficile, la frequentazione dei romanzi per la scena teatrale ha aiutato. La cosa più difficile è stata la gestione dei vuoti da lasciare alle figure per prendere vita.
Vuoti da rispettare e amare».
L’amica geniale è un successo planetario, al punto che ha aperto la strada in America e nel resto del mondo a una riscoperta della letteratura italiana, soprattutto quella scritta dalle donne. Voi ne avete studiato da dentro le regole, le parole, vi siete fatte un’idea della ragione della sua popolarità?
CL:«Elena Ferrante è riuscita a centrare con esattezza un archetipo che ci riguarda tutte, quello dell’amicizia. Ma colpisce anche gli uomini, non si tratta solo di lettrici, perché in fondo l’amicizia è una dipendenza, e Ferrante ci racconta che da quella dipendenza non ci si libera mai».
MC: «E lo racconta con ferocia: la costruzione della tua identità non è mai da sola, è con l’altra, in relazione a lei».
Come misurate il modo in cui vi siete avvicinate al fumetto rispetto al vostro lavoro abituale?
MC:«Per me il fumetto si sovrappone al cinema, con il suo bisogno di inquadrature. È stato più simile ai lavori di animazione che agli albi illustrati».
CL:«A teatro tu scrivi, ipotizzi, metti giù un copione, poi arriva quel miracolo che è il corpo dell’attore e devi riscrivere quelle battute, quella scena. È qualcosa che ti sposta, un sisma. Anche con il disegno è stato così. Le posture, i volti che Mara mi proponeva erano anch’essi pezzi di testo, mi costringevano a fare e disfare parole. In fondo, ho scritto sempre attendendo un corpo».