Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  maggio 21 Sabato calendario

Intervista a Andrea Valcarenghi, quello che «adesso si chiama Majid»

Il mito del viaggio in India e dell’esperienza mistica parte da Siddhartha ma si divide in mille rivoli, dagli Arancioni agli Hare Krishna Parla uno dei pionieri di quella nuova spiritualità: Majid Valcarenghi fondatore della rivista- movimento
«E dopo il quindici giugno il tempo dell’utopia/ Fra poco il vecchio mondo lo spazzeremo via/ Si occupavano le case dalla radio si parlava/ Si faceva qualsiasi cosa con un’energia nuova / Ma all’ora del ’76 il mito era crollato / Perso nei calci ad un pollo surgelato/ Tra fiumi di cazzate nella foga del momento/ Ci si prende a sprangate anche dentro al movimento/ Adesso Andrea è stato in India ed ha cambiato nome/ Si chiama Majid e si veste da Arancione». Così cantava Eugenio Finardi inZerbo. Era il 1979 e la stagione della Musica ribelle cantata nel 1976 era già finita: Zerbo era il nome di una cittadina in provincia di Pavia dove nel giugno 1972 si era tenuto il secondo festival diRe Nudo, la rivista “alternativa” fondata nel 1970 da Andrea Valcarenghi, quello che «adesso si chiama Majid e si veste d’arancione».
Il riferimento ai polli surgelati è legato agli espropri durante l’ultimo festival diRe Nudo al Parco Lambro di Milano, quattro giorni pieni di contraddizioni dopo i quali Valcarenghi, stanco delle mille polemiche, intraprese un viaggio in India. Oggi vive in Toscana vicino all’Istituto Osho Miasto che ha contribuito a fondare. È una persona intelligente e gentile. Chiede subito di dargli del tu.
“Siddhartha” per te è stata una lettura importante?
«All’epoca lo leggevano tutti ma per me non è stato il libro fondamentale: mi è piaciuto, mi ha incuriosito ma non mi ha cambiato la vita mentre quando ho lettoLa rivoluzione interiore di Osho, lì sì, è scattato qualcosa di diverso».
Perché sei andato in India allora?
«Per un motivo molto banale e legato al mio ego: la mia fidanzata di allora c’era appena stata e mi aveva sfidato perché diceva: “Sì tu parli parli ma non ti muoverai mai da Milano”. Dopo tre mesi ero là e la mia vita è cambiata. Nel frattempo avevo letto appunto quel libro che, pur tradotto malissimo, mi aveva acceso la curiosità perché c’erano molti riferimenti di Osho e anche alla componente laica della spiritualità a Eraclito, Pitagora e perfino Nietzsche».
Così tu diventasti un “arancione” mentre Claudio Rocchi, anche lui sulla base di una sua ricerca spirituale, preferì gli Hare Krishna. Avete mai discusso delle vostre scelte?
«Ai tempi dicevo che era come rapportare un comunista e un nazista: gli Hare Krishna erano un gruppo ultratradizionalista all’interno della religione induista.
Osho invece era contro qualsiasi tipo di dogma. Una volta Claudio lo ha definito “un mago diabolico (ride)».
“Volo Magico” però, che è un disco stupendo, non ha niente a che fare con gli Hare Krishna…
«No, era nato molto prima, al tempo della Comune di Terrasini, dove c’eravamo io, Eugenio Finardi, Alberto Camerini, Claudio Rocchi, Mauro Rostagno, la cantante Donatella Bardi, Paola Pitagora, l’attrice Terry Savoy a casa del poeta e giornalista Carlo Silvestro. Sarà stato il ’64-’65: lì sono nate le prime canzoni di Claudio, di Eugenio e di Alberto. Per loro quello è stato uno spaziocreativo molto interessante».
Che cosa era il “Volo Magico”?
«È difficile dare una definizione, diciamo che si trattava di una ricerca con elementi spirituali, mistici e poetici che nasceva all’interno di quel gruppo, soprattutto da parte di Claudio mentre per Eugenio, Alberto, Donatella si trattava di una ricerca più di tipo esistenziale».
Proprio in questi giorni è morto Matteo Guarnaccia, un altro protagonista della scena underground di quel tempo…
«Non ci vedevamo da tanto. L’ultima volta eravamo stati invitati insieme a parlare a Torino proprio sul tema della controcultura e poi abbiamo passato una bella serata insieme. Lui è stato sempre distante da Re Nudo perché più vicino a un’idea poetico-attivistica e forse lo considerava un po’ troppo politico, non puro. Questo non toglie che ci fosse una sintonia, ma c’era un vissuto diverso. Anche se con il tempo certe sfumature appunto sfumano (ride)».
Qual è la tua visione della morte?
«Un grosso punto interrogativo.
L’insegnamento che più mi è piaciuto di Osho a riguardo è che il modo migliore per affrontarla è vivere al meglio».
In questo è molto diverso dall’insegnamento di Siddhartha…
«Osho è diverso da tutti. Diciamo che tendeva a non alimentare molto questa problematica puntando invece sull’importanza del vivere nel modo più totale, più ricco, possibile il che non significa meno spirituale perché se uno riesce a vivere così, poi il passaggio attraverso la morte sarà più leggero. Mi piace questa cosa perché porta l’energia sul presente, evitando di legarsi troppo al passato, alla nostalgia o al futuro, il paradiso e così via. L’unico tempo reale è il presente ed è quello che va vissuto».
Forse è questa la risposta a una delle criticità di Osho, quella per cui possedeva le famose 99 Rolls Royce…
«Lui queste Rolls Royce non le usava mai: quando un ricco tedesco gli ha regalato la prima tutti i media hanno iniziato a parlarne e così lui ha capito che era un mezzo potente per ottenere delle cose. Ma non gliene importava nulla. Grazie a questo simbolo di ricchezza però ha potuto ottenere i finanziamenti per costruire nell’Oregon Rajneeshpuram, la città dei sannyasin, perché le banche hanno dato prestiti enormi basandosi su quei simboli di estrema opulenza.
Quindi si trattava di un fatto in realtà molto pragmatico».
Avresti mai immaginato che ci saremmo trovati in una guerra come questa?
«Ho rivisto qualche sera fa il processo di Norimberga che si proponeva come messaggio attraverso un atto concreto e al tempo stesso simbolico per evitare che certe cose potessero ripetersi e invece, eccoci di nuovo qui».
Il pacifismo vacilla di fronte a questo.
«Io non sono mai stato pacifista anche quando mi dichiaravo “non violento”. Su Re Nudo ho sempre scritto che il valore più alto è la giustizia. Se non c’è giustizia non ha senso avere la pace».