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 2022  maggio 21 Sabato calendario

Siddartha e il senso della vita

Quando lo pubblicò, nel 1922, Hermann Hesse non immaginava che quel libro avrebbe accompagnato intere generazioni sulla soglia dell’età adulta. Veicolando l’idea di una salvezza possibile e di una spiritualità alternativa all’educazione dominante
Ne L’ultimo bacio di Gabriele Muccino, la diciottenne Francesca raggiunge per strada Carlo che, pentito della passione per lei, vuole andare in cerca della sua compagna che aspetta un figlio ed è sparita dopo aver scoperto tutto. Francesca gli dice che ha portato un piccolo regalo, un libro. Carlo straccia l’involucro con ansia, e lì dentro c’èSiddhartha di Hermann Hesse. Carlo le dice che tra loro è finita e poi parte con la macchina scappando, e dimenticando sul tetto il regalo, che rotola in strada alla prima curva. Siddhartha è in quel film perché è un simbolo condiviso. Qualsiasi spettatore capisce cosa vuole dire quel regalo: serve a raccontare l’ingenuità adolescenziale di Francesca. La distanza tra i due. E basta un libro a raccontare tutto questo, perché su quel libro da decenni siamo tutti d’accordo. Tranne Henry Miller, che in una lettera a Erica Jong del 1974 scriveva: «Avevo chissà come l’impressione che Hermann Hesse fosse uno scrittore appartenente alla tua giovinezza – da non prendersi troppo sul serio. Probabilmente mi sbaglio. Spero anzi ( chissà perché) che tu lo consideri di prim’ordine. Per me, sotto certi aspetti, è un maestro. Mi piacerebbe essere capace di scrivere un libro come Siddhartha o come Narciso e Boccadoro». Miller aveva autorevolezza nel campo, essendo appassionato da molti anni di Krishnamurti, filosofo indiano dal pensiero sapienziale, che Siddhartha esprime nel libro pubblicato per la prima volta cento anni fa e arrivato in Italia alla fine della guerra, sulla spinta del Nobel al suo autore. Ma poi, ripubblicato e rinvigorito nel mondo; nel 1973 lo pubblica Adelphi, e quella copertina verde acqua è diventata consueta in tutte le case. Prima divorato e sottolineato da ragazzi ( praticamente tutti, me compreso), poi abbandonato per sempre e forse perfino nascosto o dato via per non far pensare a nessuno che ancora leggi Siddhartha.
Probabilmente questo breve ma leggendario romanzo di Hesse è il libro più rinnegato della storia dei libri. Dai quindici ai diciotto anni ti sembrava imprescindibile,a ventitré dicevi: che schifo. È stata la sua
condanna.
In realtà, oggi Siddhartha non è più nemmeno quel simbolo anche se resiste, però a fatica. Le ragioni ci sono: la sua fortuna si deve al fatto che dava un’idea dell’India, anzi più genericamente della cultura d’Oriente, plausibile, verosimile, digeribile per la chiarezza di intenti che la scrittura dell’autore tedesco ha sempre avuto, fino a essere diretto e didascalico, il suo grande limite. Allora, sia nel dopoguerra, sia nelle province del mondo all’alba degli anni Settanta, quando la cultura orientale cominciava a diventare un’attrazione poi circostanziata e approfondita ( ma sulle prime un po’ generica e raffazzonata), Siddhartha è stato una porta d’ingresso, ingenua, ma ti dava l’idea della maniera. Se volevi capire qualcosa di quell’esotico che ti seduceva, ed eri un ragazzino alla ricerca del senso della vita, quel libro ti parlava e ti aiutava; poi scoprivi che potevi avere un rapporto più diretto e autentico con l’Oriente, e abbandonavi Siddartha come se ti avesse ingannato. In realtà, le culture beat e hippie erano più attratte dal misticismo gioioso ed erotico de Il lupo della steppa, ma Siddhartha insegnava comunque una buona quantità di cose che da ragazzi apparivano o sufficienti o addirittura necessarie: una prima idea di spiritualità che non fosse quella dell’oratorio; una prima possibilità di un’altra vita, lontano da quella che stavi vivendo, libera ed essenziale; il librodi Hesse ti faceva provare anche il desiderio di Assoluto, mentre l’educazione borghese ti impartiva regole poco interessanti per chi voleva spaccare il mondo con la vitalità; la ricerca di sé stessi, una questione che nell’adolescenza è fondamentale, e si apparenta alla costruzione molto faticosa di una personalità; e in più l’approdo alla consapevolezza di fare esperienza del mondo. È quello che Siddharta, nell’India di molti secoli avanti Cristo, afferra del senso della vita: non solo meditare e capire, che secondo Siddhartha è insufficiente per raggiungere lo stadio ultimo della conoscenza, ma fare esperienza del mondo, anche dei vizi oltre che delle virtù – discorso non poco affascinante per chi si sta affacciando alla vita adulta; e anche piuttosto liberatorio.
Tutti questi possiamo definirli sia concetti ingenui, sia concetti essenziali, ed è un po’ il bivio davanti al quale stanno senz’altro l’ingenuità adolescenziale e il cinismo adulto; ma è anche, allargando il campo, la predisposizione filosofica essenziale o complessa – orientale o occidentale. Però, senza complicare troppo la questione, ci si allontana in seguito dal romanzo di Hesse o perché ti ha aperto un mondo che percorrendolo ti accorgi essere più grande e autentico di quello del romanzo; o perché non è riuscito ad aprirtelo e ti sembra astratto e inconcludente.
Però dopo tanti anni, la cosa da fare è stata riprenderlo in mano, riaprire quella edizione Adelphi che ancora oggi resiste, e rileggere quel libro che non ho più ritrovato nella mia libreria ( me ne sarò sbarazzato per tempo), e quindi sono andato a ricomprare. E adesso è davvero difficile averci a che fare, a meno che non rintracci una sapienza anche appena impalcata, ma riconoscibile; per me invece, che faccio molta fatica con la spiritualità, che penetra dentro di me solo se mi distraggo, è una lettura ostica: Siddhartha è enfatico, sfocato, i due amici che vanno via da casa lasciando tutti i beni per accostarsi alla conoscenza ( riconosciamo facilmente l’analogia con Francesco d’Assisi) dialogano con pedanteria. E si parla troppo spesso di abluzioni. Però quando ti imbatti in frasi come «Sai che c’è più forza nel molle che nel duro, sai che l’acqua è più forte che la pietra, che l’amore è più forte che la violenza»; o nell’idea del fiume che detta la verità del tempo, e cioè che è fermo e che scorre allo stesso tempo, ricordi cosa ti ha detto questo libro quando eri un ragazzo. Forse il destino del romanzo di Hesse, se vogliamo usare lo stesso metodo che usa Siddhartha, è stato e resterà quello: indirizzare dei ragazzini alla ricerca del senso della vita, e poi essere abbandonato da qualche parte. O dimenticato sul tetto di una macchina che parte scappando via.