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 2022  maggio 21 Sabato calendario

Il polittico ha cinquecento anni

Classicità: il Cristo («Non direi che balla, piuttosto sta per tirare un calcio di rigore», assicura il curatore Davide Dotti) che si ispira a quel Laocoonte ritrovato il 14 gennaio 1506 in una vigna sul colle Oppio, a Roma. Modernità: il San Sebastiano («legato con una corda che sembra letteralmente trapassargli le carni») che guarda ai Prigioni di Michelangelo. Luce e controluce: i riflessi sui capelli dell’Angelo, sulle corazze dei soldati, sulle stoffe e sulle carni. Tutto questo racconta il Polittico Averoldi dipinto da Tiziano nel 1522, da cinquecento anni (la messa in opera è del 31 maggio 1522) sospeso nel coro della Collegiata dei Santi Nazario e Celso a Brescia: polittico (278 x 292 centimetri) inamovibile a causa della sua fragilità che ora, in occasione del quinto centenario dell’arrivo a Brescia, sarà finalmente visibile a distanza ravvicinata grazie al progetto A tu per tu con Tiziano (ideato e curato da Davide Dotti con il contributo di Antares Vision) che dal 28 maggio al 3 luglio porterà i visitatori (massimo 15 persone per ogni passaggio) a sette metri di altezza e a soli due metri dall’ombelico di Cristo.
Sarà un modo per controllare lo stato di salute del polittico (l’ultimo restauro è della fine degli anni Novanta) che sembra «buono». Se non sarà necessario, non si procederà a nessun intervento e l’impalcatura resterà una buona occasione per scoprirlo più da vicino. Una struttura, quella del polittico, già superata dagli artisti veneziani dell’epoca, ma che Tiziano forse ripropone per la destinazione provinciale o forse per i gusti antiquati del committente, il potente vescovo Altobello Averoldi, legato pontificio a Venezia. Un capolavoro diviso in cinque parti. Al centro c’è il Cristo vittorioso, con il corpo in movimento e in torsione, che si staglia su un tramonto offuscato dalle nuvole. Nel registro superiore è rappresentato l’episodio dell’Annunciazione suddiviso in due distinti pannelli. In quello di sinistra, contro un fondo scuro, campeggia l’elegante e luminosa figura dell’Arcangelo Gabriele che srotola un filatterio con l’iscrizione Ave Gratia Plena; in quello di destra la Vergine, dai delicati lineamenti e il capo leggermente chino, porta la destra al petto in segno di accettazione. La tavola di sinistra del registro inferiore raffigura i santi patroni Nazario e Celso in armatura, in compagnia del committente Altobello Averoldi colto in preghiera con le mani giunte. Quella di destra è interamente occupata dalla splendida figura di San Sebastiano (che lo stesso maestro definiva «la megliore pictura ch’l facesse mai») dal corpo sfiancato sorretto dalle corde legate all’albero, una geniale idea tizianesca che deriva dalla conoscenza dei due Prigioni di Michelangelo oggi al Louvre risalenti al 1513 circa, noti come Lo schiavo morente e Lo schiavo ribelle, un tempo destinati a fare parte della tomba di papa Giulio II.
«Da storico dell’arte – afferma Davide Dotti – coltivo da sempre il sogno di poter ammirare da vicino il P olittico Averoldi, uno dei capolavori assoluti del Rinascimento italiano, che influenzò in maniera determinante il lessico espressivo dei contemporanei pittori bresciani, Moretto e Romanino su tutti». Ma cosa c’è di unico in questo Polittico (che Tiziano firma sulla colonna ai piedi di San Sebastiano con Ticianus Faciebat / MDXXII): «La qualità della stesura, l’equilibrio tra antico e moderno, il gioco della luce, il naturalismo, il gioco di spazi, forme, corpi, sguardi e gesti che si contrappongono e si richiamano superando la divisione degli scomparti». Tutti elementi che risulteranno ancora più evidenti con questa visita ravvicinata, assieme ai numerosi pentimenti, individuabili anche a occhio nudo, come il cambiamento della posizione delle gambe e del tessuto svolazzante che cinge i fianchi del Cristo. E poi ci sono le storie, più o meno misteriose, che ruotano attorno al Polittico. Come quella della sua nascita.
Il 29 settembre 1519 Alfonso I d’Este, duca di Ferrara, invia una lettera perentoria a Jacopo Tebaldi, suo ambasciatore a Venezia, perché sia sollecitato a Tiziano il compimento dei Baccanali per i Camerini d’alabastro, ovvero Bacco e Arianna, il Baccanale degli Andrii e la Festa degli amorini. Nella lettera di risposta, datata 10 ottobre, Tebaldi informa che il ritardo è dovuto al fatto che il prelato Altobello Averoldi, da lui indicato solamente con il rispettoso titolo di Reverentissimo, ha richiesto un’opera pittorica all’artista e che l’esecuzione di tale opera prevarica gli altri lavori già iniziati (Tiziano in quel momento ha molte commissioni ed è incapace di dire no a committenti d’alto rango). Nel novembre 1520 l’ambasciatore Tebaldi vede nello studio del pittore la tavola con il San Sebastiano ormai ultimato e scrive subito al suo signore, informandolo che Tiziano ha portato a termine, per Averoldi, una tavola con «uno Sancto Sebastiano, del quale multo si discorre in questa terra, per essere cosa bellissima». Così l’ambasciatore arriva addirittura a pianificare un furto del San Sebastiano e Tiziano pur con qualche perplessità acconsente alla messa in scena. Ma sarà proprio il duca Alfonso a tirarsi indietro, intimorito dall’autorità di Averoldi.
Un altro mistero tocca ancora San Sebastiano: negli schizzi preparatori conservati a Francoforte e Berlino si vede legato a una colonna e non a un albero come nel Polittico (lo stesso ambasciatore Tebaldi, descrivendo l’opera, riferisce di una colonna). Tanto che c’è chi ipotizza che la prima versione del San Sebastiano (legato alla colonna) abbia lasciato davvero la bottega di Tiziano, ma alla volta della corte di Mantova, dopo il rifiuto del duca di Ferrara, mentre per Averoldi sarebbe stata realizzata addirittura una seconda avversione (con San Sebastiano legato all’albero). Ennesimo mistero (e fascino) del Polittico Averoldi.