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 2022  maggio 21 Sabato calendario

Cechov è meglio di Hemingway

I personaggi di Cechov, secondo Somerset Maugham, «non sono illuminati dalla normale, nitida luce del giorno, ma soffusi di un misterioso grigiore. Si muovono in questa foschia come spiriti disincarnati: ti par di vedere le loro anime. Creature strane e futili... si muovono misteriosamente come le anime sofferenti che si accalcavano intorno a Dante all’inferno. Si ha la sensazione di una folla vasta, grigia e perduta che vaga senza meta in un oscuro mondo sotterraneo».
Secondo Virginia Woolf, «la nostra prima impressione, leggendo Cechov, è lo smarrimento. Qual è il punto – e perché ha scritto questa storia? – ci chiediamo mentre leggiamo una storia dopo l’altra... Queste storie sono inconcludenti, pensiamo, basandoci sul presupposto che le storie dovrebbero concludersi in un modo a noi riconoscibile... Queste storie ci mostrano sempre un po’ di affettazione, di insincerità».
Perché è così difficile, per scrittori indubbiamente grandi come Somerset Maugham e Woolf, entrare nel mondo di Anton Cechov? Edmund Wilson, uno dei più grandi critici americani, che una volta litigò con Vladimir Nabokov correggendo il russo di quel grande, dava la colpa in parte (una sua classicissima obiezione) alle traduzioni. Ma, soprattutto, alla complessità: «Cominciò con sketch umoristici sui giornaletti, alternandoli alle storie più serie. Ma anche quando è serio, aggiunge livelli diversi – un aneddoto ironico, prima buffo poi triste; la piena drammatizzazione del personaggio e della situazione; e quello che Ronald Hingley ha definito il suo periodo tolstoiano, con la comparsa di nuove preoccupazioni morali, nuovi interessi psicologici; e infine i complessi studi sulla società russa».
George Saunders, uno dei più bravi scrittori di racconti della nostra epoca – «Nelle sue mani ciò che è quasi impossibile appare facile e naturale», ha detto di lui Jonathan Franzen – ha deciso di affrontare un tema quasi impossibile, dopo il successo (vendite, recensioni entusiaste, il Man Booker Prize) del suo primo romanzo, Lincoln nel Bardo (Feltrinelli). Ha deciso di prendere sette racconti di grandi scrittori russi tra cui Cechov, di smontarli pagina per pagina, frase per frase, e di cercare di carpire i loro segreti. Come un meccanico, ha alzato il cofano per guardare cosa c’è sotto. Ha smontato il motore, ha controllato il telaio. Ecco così Un bagno nello stagno sotto la pioggia. In cui quattro scrittori russi tengono una master class sulla scrittura, la lettura e la vita, in uscita da Feltrinelli.
I racconti di Cechov, suo autore del cuore, sono tre (Viaggio sul carro, da Racconti e teatro, Sansoni, tradotto da Giovanni Faccioli; Anima cara e L’uva spina da I racconti, Bur, traduzione italiana di Alfredo Polledro). Due di Lev Tolstoj (Alëša Bricco, da Tutti i racconti, Mondadori, traduzione italiana di Serena Prina; Il padrone e il lavorante, I Meridiani Mondadori, traduzione italiana di Igor Sibaldi), uno di Ivan Turgenev (I cantori, da Memorie di un cacciatore, Bur, traduzione italiana di Silvio Polledro), e il celebre Il naso di Nikolaj Gogol’ (dai Racconti di Pietroburgo, Feltrinelli, traduzione italiana di Damiano Rebecchini).
Sette storie, quattro giganti. Come se non bastasse, Saunders non sa il russo. Edmund Wilson si sarebbe strappato i (pochissimi) capelli, lui che faceva le pulci al russo di Vladimir Vladimirovich Nabokov.
«Quando ero al college, studiavo ingegneria – spiega Saunders a “la Lettura” —. Non leggevo letteratura importante, magari qualche libro di self-help, qualcosa di commerciale. Non sono uno di quelli folgorati da ragazzini da Guerra e pace, per capirci, che è un problema ma anche un vantaggio perché chi ha letto tutti i classici o quasi al liceo mi dice che poi, da adulto, li rileggi e scopri che ci avevi capito poco o niente, come è naturale. Un’estate mio padre trovò lavoro in New Mexico, un posto sperduto: Rosebud. Ero là per aiutarlo, cominciai a leggere, non c’era altro da fare per passare il tempo. Lessi Dostoevskij. Vidi in tv Il dottor Živago. Mi scattò qualcosa nella testa: i russi scrivevano cose davvero interessanti. Passarono anni, finché mi ritrovo ventottenne a studiare scrittura creativa a Syracuse, con Tobias Wolff, il mio insegnante, mio eroe, lo scrittore che volevo diventare. Lo ascolto mentre legge Cechov. È successo allora: non ne sono più uscito. Sono uno di Amarillo, Texas, vengo dalla working class, ho studiato ingegneria e mi piace capire come funzionano le cose. Mi piacciono le storie che ti insegnano qualcosa, che ti fanno capire qualcosa, possibilmente sulla vita, su te stesso. Dentro Cechov, dentro gli altri russi, anche quelli che non sono inclusi in questo libro come Isaac Babel, un gigante che in America viene purtroppo poco letto, ci sono universi da scoprire. Anche se non sai il russo, con buona pace di Edmund Wilson».
Il libro è nato dalle lezioni di scrittura creativa di Saunders, «un corso selettivo, gli studenti sono già scrittori. Scrittori che leggono scrittori. I russi sono la mia fissazione perché insegnano così tanto proprio sotto il profilo tecnico». È il professore che molti sognerebbero di avere, ma questo libro è nato per caso. «Sono stato un anno in tour per promuovere Lincoln nel Bardo, senza insegnare. Sono tornato e mi sono reso conto che gli studenti avevano bisogno di qualcosa di speciale, che desse un senso alle mie lezioni. Smontare pezzo a pezzo i racconti dei russi è secondo me il modo migliore per capire due cose: capire tecnicamente come si scrive un racconto, e capire come lavora uno scrittore. Avevo tanti appunti, tante idee. Parlavo, in classe, e vedevo le facce degli studenti che s’illuminavano. Ho pensato: cosa succederà a tutta questa conoscenza se morirò? Avevo paura che tutto andasse perso: ho chiamato il mio editor alla Random House, Andy Ward, che lavora con me dal 2005, gli ho detto che secondo me queste lezioni potevano diventare un libro. Andy non sa mai cosa aspettarsi da me, un giorno gli mandai Lincoln in the Bardo nell’email senza avvertirlo prima...».
Saunders, maestro del racconto – «Un romanzo è un racconto che non ha ancora capito come fare ad accorciarsi», era solito dire prima di Lincoln nel Bardo – sostiene la superiorità della forma breve nel creare un legame tra scrittore e lettore, «perché se leggi una cosa tutta d’un fiato è diverso, Guerra e pace è una vetta altissima ma ti accompagna per qualche mese della vita, un racconto comincio a leggerlo ed è finito presto, senza tempo di raccogliere le idee, di distrarti. È una cosa che diceva già Poe. A me il racconto calza a pennello perché ho sempre bisogno di sapere qual è il senso di quello che sto scrivendo, con un racconto è difficile perdere il filo. E la scrittura è un atto di performance, specialmente in una storia breve. Performance dello scrittore ma anche del lettore. Invece se vai oltre la performance – se convinci il lettore della realtà di quel che stai scrivendo – la scrittura diventa un atto di verità».
Invecchiando – quest’anno saranno 64 – Saunders ha capito che «la mia vecchia visione della scrittura come atto mistico, magico, è cambiata. È magico il rapporto con il lettore, ma ci sono diverse strategie per completare un racconto, per strutturare un romanzo». Gli pare sempre più un meccanismo, quello della scrittura: «Per questo non mi preoccupo della traduzione, posso leggere un russo o un giapponese e anche se è tradotto in modo non ideale capisco quel che lo scrittore ha cercato di fare. Sono meccanismi che ormai so riconoscere. Cechov, per esempio: la prima volta che l’ho letto ho pensato, be’, non è così difficile. Invece è difficilissimo fare quello che fa lui, altroché. Ti inganna con l’apparenza della semplicità ma lavora in modo sofisticatissimo. La cosa che mi attrae più di tutte, in Cechov, è la sua resistenza profonda, dire temperamentale, all’effetto drammatico di bassa lega. È allergico a tutto quello che è cheap. Con Cechov vedi che riesce a guadagnarsi tutto, fino all’ultima goccia di emozione, non scende a compromessi, non usa stratagemmi tecnici che sarebbe benissimo in grado di utilizzare, grande com’è, padrone com’è della tecnica. Invece niente. È una forma di integrità che dovrebbe secondo me essere d’ispirazione agli scrittori. Cechov è Cechov perché ha il totale dominio sulla struttura del racconto, e del teatro: costruisce edifici talmente belli che gli perdoni qualsiasi cosa. E un narratore che legge Cechov ha un vantaggio: conosciamo i trucchi del mestiere, gli stratagemmi per uscire da un vicolo cieco incontrato strada facendo nella scrittura. Lui non usa mai stratagemmi, li ritiene al di sotto del suo livello».
Saunders, maestro della short story americana del nostro tempo, affronta con garbo un tema che riconosce spinoso: con una certa circospezione, come farebbe un ateo chiamato suo malgrado a leggere le Scritture durante una messa, affronta la «questione Hemingway». Perché «Papa» con i suoi magici quarantanove racconti che hanno cambiato la letteratura del Novecento, americana ma non solo, è anche il padre nobile della short story moderna, studiato nelle scuole e negli atenei. «Vede, io sono fermamente convinto che Cechov sia più grande di Hemingway. Ma senza alcun dubbio. Per me Cechov non è una spanna più sopra di Hemingway: è un miglio più sopra. E guardi che io trent’anni fa le avrei detto che ero un hemingwayano convinto, un realista, un suo seguace». In ogni caso Hemingway serve a Saunders, nel libro, per un riferimento significativo: la teoria dell’autore di Addio alle armi secondo la quale siamo circondati ogni giorno da persone che vogliono farci fare qualcosa ma dentro di noi abbiamo un infallibile shit detector, un «rilevatore di merda»: leggere, e scrivere, spiega Saunders, ci aiutano a migliorare il funzionamento di quel detector interiore.
Quando tocca l’argomento Hemingway, in classe, spesso con ragazzi che come lui da giovane si definirebbero hemingwayani senza se e senza ma, scatta la discussione. Il dibattito. Anche sul suo sito: Saunders ha infatti un sito, pubblicato da substack, nel quale gli abbonati (per 50 dollari l’anno, indirizzo http://georgesaunders.substack.com) possono leggere i suoi appunti, le sue recensioni, curiosare tra le sue idee.
Garbato com’è, Saunders si sente a disagio nei panni del profanatore di idoli, del macellaio di vacche sacre: «Tra i classici americani ho sempre amato Kerouac. Che per me è anche più cool di Hemingway». All’intervistatore che fa notare come per qualche motivo gli scrittori americani avevano quasi tutti il physique du rôle – Hemingway inviato di guerra, Fitzgerald e i suoi party senza fine, per l’appunto Kerouac con i capelli impomatati e la giacchetta da boscaiolo ora molto copiata dagli stilisti – Saunders risponde che «anche Cechov era cool: nelle foto giovanili vediamo un bel ragazzo, e amici russi mi hanno detto che era anche alto. Ma era anche un uomo normale che non ebbe una vita straordinaria. Me lo fa sentire più vicino».
L’ultima domanda, inevitabile: ha appena pubblicato un’ode ai giganti della letteratura russa, ora la Russia dopo l’aggressione in Ucraina è al centro di sanzioni, anche culturali, perfino sportive. «Guardi, io non sono ben addestrato come intellettuale, ci sono miei colleghi che si impegnano con fervore, capaci di discutere di ogni argomento. Io mi limito a riflettere su certe cose: quanto potere ha il russo medio per fermare questa guerra? Io da ingegnere cerco sempre di definire la mia tesi. Di essere specifico. Io nello specifico posso dire da scrittore che i libri purtroppo non fermano la sofferenza umana, ma possono mitigarla. L’11 settembre 2001 ero chiuso in una stanza a scrivere, con fervore, e seppi degli attacchi soltanto alla sera. Per anni mi sentii a disagio. Poi ho capito che anche se avessi seguito tutto in diretta non sarebbe cambiato niente».