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 2022  maggio 21 Sabato calendario

La nuovo sociologia di Bruno Latour

Bruno Latour è uno dei più importanti intellettuali francesi. Antropologo, filosofo, sociologo della scienza, ha insegnato all’École des Mines e all’Istituto di studi politici di Parigi, dove ha ricoperto la carica di direttore scientifico. I suoi studi, fin dagli anni Ottanta, hanno riguardato il campo della ricerca scientifica come costruzione sociale, per poi abbracciare la teoria dell’attore-rete (Ant: Actor-Network Theory) con Michel Callon e John Law: un’innovativa metodologia per la descrizione delle questioni scientifiche e dei rapporti sociali. I suoi ultimi lavori hanno interessato soprattutto le tematiche ambientaliste, come La sfida di Gaia (Meltemi, 2020). Tra le traduzioni italiane mancava Riassemblare il sociale, quasi un prequel, un testo teorico innovativo, indispensabile per comprendere il pensiero di Latour alla luce dei suoi lavori più recenti.
Riassemblare il sociale, che inaugura la nuova collana «Atlantide» di Meltemi, viene dal passato: l’edizione originale è del 2005. È un libro difficile, in cui il sapere dell’antropologo si unisce a quello del sociologo, che scruta a fondo gli elementi strutturali della società, discute e fa discutere. Di questo travaglio si trova traccia nella prima parte, dove esamina le cinque fonti di indeterminazione, le incertezze e le criticità delle scienze sociali, partendo dal presupposto che ogni fatto sociale, come ogni concezione scientifica, è il risultato di una rete fittissima di relazioni tra esseri umani e non umani. Da qui si comprende perché per l’autore lo stato attuale degli studi sociologici non sia soddisfacente e si renda necessario un aggiornamento, se non una rifondazione. Una scienza sociale è possibile, afferma, solo se ci si interroga su cosa s’intende per sociale e per scienza. Soprattutto se finalmente i sociologi si rendono conto che il sociale è composto anche di materiale non-sociale. Come procedere alla sua rifondazione?
Latour propone l’impiego di tre azioni successive: dispiegamento, stabilizzazione, composizione. Non si può analizzare la società come se fosse un fatto compiuto: è necessario, in primo luogo, scomporre il sistema sociale nei singoli elementi. Quasi una «decostruzione» alla Jacques Derrida, seguendo un processo di restituzione finalizzato a ricomporre l’insieme. Dopo il divieto di «assembramenti» da Covid, questo libro – benché scritto prima della pandemia – ci spinge a stringerci in un abbraccio totalizzante, dove gli umani ricompongono l’antica alleanza con tutti gli esseri, vegetali e minerali compresi. Non è questo un modo per raggiungere la totalità? Abbiamo chiesto a Bruno Latour di parlarci di Riassemblare il sociale.
Il suo libro mette in discussione la sociologia come scienza, giocando lo stesso ruolo che ebbe «La crisi della sociologia» di Alvin Gouldner negli anni Settanta. Perché la sociologia non è più attuale?
«Credo semplicemente che la sociologia, nata nel XIX secolo, si sia interessata inizialmente alle relazioni sociali di massa, che apparivano totalmente nuove e problematiche. Quando siamo arrivati alle questioni della scienza, della tecnologia e poi dell’ecologia, le relazioni sociali erano il soggetto unico e la sociologia è rimasta completamente cieca di fronte alle nuove relazioni, non riuscendo a integrarle alle relazioni sociali classiche. Qui siamo entrati in gioco noi, i sociologi della scienza e della tecnologia, con quelli che sono stati chiamati Sts, science and technology studies. Ma per farlo, abbiamo dovuto cambiare la definizione di sociologia, passando dalla scienza del sociale alla scienza delle associazioni. Le associazioni sono ovviamente molteplici e mobilitano entità di ogni tipo, siano esse oggetti tecnici, fatti scientifici, elementi giuridici, forme di organizzazione o ideologie. È ciò che questo libro ci permette di fare. Non significa affatto che la sociologia classica sia inutile, ma solo che va integrata in un campo più ampio e con altri metodi, in grado di superare i limiti imposti a questa disciplina, come avveniva in precedenza».
Lei scrive che la sociologia critica non può essere sociologia, perché non ha rinnovato il suo equipaggiamento per considerare gli elementi non sociali. Come può rinnovarsi?
«La critica corrispondeva a un certo stato della società, quando le istituzioni erano ancora così forti da poter essere criticate per migliorarle. Ma la critica si trova ora a corto di energie, come ho scritto, dal momento che le stesse istituzioni, siano esse le autorità scientifiche, religiose o politiche, si sono talmente indebolite che criticarle equivale ad annientare qualcosa che è già distrutto. Si può dire che, a partire dagli anni Ottanta, il compito è stato piuttosto quello di restituire alle istituzioni la loro antica forza, invece di criticarle. È quello che abbiamo cercato di fare con la pratica scientifica, trovare il modo di ripristinare la sua autorità con mezzi diversi dall’epistemologia ufficiale, che non la metteva al riparo dal dubbio. Lo vediamo con le fake news. Credo sia compito degli intellettuali e dei ricercatori ripristinare la fiducia nelle istituzioni, piuttosto che continuare a considerare la pratica intellettuale in forma di critica, traducendola in teorie del complotto».
Nel testo fa riferimento a un materiale non-sociale di cui si compone il sociale. Di quali materiali si dovrebbe tener conto?
«È ovvio che se si segue il percorso ordinario, si incontrano tipi di realtà che ben si legano a questo percorso, ma i cui agenti, gli attori, sono ad esempio il computer e la rete Internet nel suo utilizzo, la complessa legislazione che protegge il proprio lavoro dal plagio, così come le relazioni con il proprio datore di lavoro o con i propri amici. Senza dimenticare, ovviamente, la possibile azione del Covid-19, che può intervenire in qualsiasi momento nelle cosiddette relazioni sociali. Con il virus vediamo infatti come un essere estraneo agisca nelle relazioni sociali al punto di modificarle profondamente. Si può ovviamente decidere di ignorare queste relazioni, ma se si vuole seguire un percorso e capire che cosa sia un collettivo, mi sembra più interessante capire con quale metodo sia possibile integrarle nella definizione di cos’è un ordine sociale».
Nel suo libro, scritto nel 2005, afferma che la questione sociale emerge quando i legami cominciano a disfarsi. C’è qualche relazione con l’idea di «Fine delle società» di cui ha parlato Alain Touraine otto anni dopo?
«Non ho letto il libro di Touraine, ma dubito si tratti dello stesso problema. Non si può dire che i legami si spezzino in un dato periodo o, al contrario, che si moltiplichino tra quanti in realtà non assomigliano agli esseri sociali della tradizione sociologica. Non è la questione sociale che oggi emerge: quello era il tema del XIX secolo, all’epoca del grande sconcerto di fronte alla crescita di industrie, città e classi lavoratrici. Ciò che emerge oggi è la moltiplicazione delle associazioni, che richiede una nuova definizione del sociale adatta al problema ecologico e che soprattutto sia decisiva per tutte le esistenze di cui le società industriali europee hanno beneficiato finora e da cui hanno tratto abbondanza e libertà. Per uscire dal binomio coal and colonies, le risorse naturali e i popoli colonizzati».