Corriere della Sera, 21 maggio 2022
Intervista a Chris Evert, tra chemio e tennis
«Ho appena finito sei cicli di chemio per il cancro alle ovaie. È stata meno brutale di quanto temevo. Mi mancano la forza e il tennis giocato, ma ogni giorno va meglio. Non me la sento ancora di prendere un volo per l’Europa: commenterò il Roland Garros per Discovery da casa». Chris Evert su Zoom dalla Florida non è meno lucida nelle analisi che di persona. La quarantena per la pandemia, poi la malattia: la campionessa Usa dei 18 titoli Slam, 67 anni, ha voglia di condivisione.
Chris, la scelta di raccontare le fasi del tumore sui social: perché?
«Io sono fortunata, io sono qui. Mia sorella Jeanne non c’è più: l’ha portata via la mia stessa malattia. Ecco, io credo di essere viva grazie a lei. La famigliarità con il male, la possibilità di scoprirlo per tempo in assenza di sintomi né dolore, l’isterectomia, la chemio: io ho avuto possibilità che a Jeanne sono state negate».
E adesso cosa vuole gridare al mondo?
«Non saltate gli appuntamenti con il dottore, fatevi controllare, informatevi sulla storia medica della vostra famiglia. Il cancro alle ovaie è subdolo e silenzioso. Ecco perché sulla mia malattia sono stata così aperta».
Il tennis l’ha aiutata?
«Oh sì. Il passato da atleta mi ha reso resiliente, il tennis alla tv (ne ho visto a tonnellate!) mi ha intrattenuta piacevolmente».
Tra le donne è iniziato il dominio di Iga Swiatek, la prima n.1 polacca.
«La più affamata, determinata, lucida: Iga ha un percorso in testa. Ma mi piace tanto anche Ons Jabeur, Bianca Andrescu mi diverte e Naomi Osaka mi affascina: la sua è la favola di Cenerentola, dall’anonimato alla sovraesposizione. E i social media, mio Dio, hanno enormemente aumentato la pressione su queste ragazze. Negli staff sono entrati i mental coach: ai miei tempi io viaggiavo sola, figuriamoci. E la salute mentale delle atlete, da Simone Biles a Naomi Osaka, è diventato un argomento all’ordine del giorno. Ed è un bene che se ne parli».
Viviamo tempi difficili: c’è una guerra in corso. Come giudica il bando dei russi da parte di Wimbledon (è di ieri la decisione dell’Atp di togliere i punti al torneo)?
«In condizioni normali mi sarei schierata per gli atleti come singoli individui. Ma questa guerra è così distruttiva e catastrofica che sì, capisco e condivido la scelta drastica di Wimbledon. Non possiamo restare indifferenti. Non possiamo offrire visibilità e prestigio alla Russia attraverso il più importante torneo di tennis del mondo».
Prima di Wimbledon, il Roland Garros di cui è stata 7 volte regina, Chris.
«Mi sta chiedendo chi vincerà? Djokovic a Montecarlo era arrugginito, ma a Roma le sue gambe e il suo braccio sono tornati a produrre tennis perfetto: il favorito di Parigi è lui. Alcaraz va verificato sui tre set su cinque, Nadal dipende dall’enorme incognita del piede. Sappiamo che Rafa sul rosso non è umano ma la terra chiede moltissimo al corpo».
Come valuta i progressi di Jannik Sinner?
«Premetto che sette anni con un coach sono tanti: non ci vedo nulla di sbagliato nella sua volontà di cambiamento. Se vuoi salire di livello, sentire un’altra voce è utile. È arrivato il momento del salto di qualità, però: a Jannik servono come ossigeno più varietà di gioco e più robustezza nel fisico. La sua maturità in campo è già impressionante: sa come gestire la pressione. Alcaraz è un buono stimolo per lui: io sono ottimista».
Emma Raducanu, campionessa dell’Open Usa a 18 anni, non riesce a trovare una stabilità tecnica: perché, secondo lei?
«Emma va capita. Quando ho vinto il mio primo Slam, a Parigi nel ‘74, avevo 19 anni. La mia vita non è mai più stata la stessa. Il magazine Life venne al college per fare un servizio su di me: comportati normalmente, mi dissero... Come se fosse facile! A tenermi con i piedi per terra furono i miei: mia madre continuò a chiedermi di rifare la stanza e svuotare la lavatrice. Spero che Emma, inseguita dai tabloid inglesi, abbia intorno persone solide, quadrate».
Vede in circolazione una nuova Evert?
«Oh no, non me lo chieda... È cambiato tutto: campi, racchette, palle, stringhe. Diciamo che io ero regolare come Badosa e affamata come Swiatek, una donna in missione. Ma la migliore di tutte è stata Serena Williams».
E lei, Chris?
«Io vengo dopo. Oggi conta solo che io sia viva».