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 2022  maggio 21 Sabato calendario

Intervista a Luca Zingaretti

Stand de La Stampa. C’è la fila. Boato. Applausi. Una signora arriva trafelata. Grida: dov’è, dov’è? E sembra che il cuore le voglia bucare lo sterno. Si tuffa in mezzo alla piccola folla. Grida: “Lucaaa, facciamoci un selfie”. Lucaaa si fa fare un selfie. Poi un altro e un altro e un altro, finché una mano amica non lo trascina lontano. Deve essere l’uomo che ha fatto più selfie al mondo. Certamente in Italia. Ogni volta che appare in tv lo share schizza aggrappandosi al 30%.
Quanti sono quelli come Luca Zingaretti? Si contano sulle dita di una mano. Ci si potrebbe passare la notte a parlare di cinema, di politica e di pallone. Ma una notte non c’è. Trenta minuti però sì. Così viene fuori un’intervista tonda, che va dalla banda della Magliana a Giorgiana Masi, da Aldo Moro e Vladimir Putin, passando per De Rossi, Draghi e Lancillotto. Stanno assieme tutte queste cose? Con lui sì, come se niente fosse.
Luca Zingaretti, qual è la prima favola che ricorda?
«Non me la ricordo. Cioè, ne ricordo molte, ma non so quale sia la prima».
La sua preferita?
«Cenerentola. Colpa del film di Walt Disney, magnifico».
Oggi qualcuno la considera politicamente scorretta: Cenerentola per emanciparsi ha bisogno del principe.
«Oggi è considerato tutto politicamente scorretto. E quindi non importa».
Lei legge le favole alle sue figlie?
«Preferisco inventarle io».
Per esempio?
«Ho un filone Lancillotto. La saga dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Uso Lancillotto quando voglio confrontarmi con loro con un obiettivo educativo. C’è stato un episodio di bullismo a scuola? Lancillotto lo risolverebbe così. E invento. C’è il Cavaliere Nero – sempre – ma poi arriva Lancillotto».
Funziona?
«Spero».
Il primo libro?
«Le avventure di Tom Sawyer di Mark Twain. Ci misi una vita a leggerlo. Perché pensavo bisognasse farlo tutto di un fiato».
Che ruolo hanno avuto i libri nella sua vita?
«Sono un lettore vorace. Il libro è un momento di piacere che dedichi a te stesso. Te ne vai in un mondo che non c’è e ti dimentichi di tutto».
La periferia romana nella quale è cresciuto l’ha dimenticata?
«Al contrario».
Magliana, Roma sud.
«I miei genitori presero quella casa perché i costruttori assicurarono a tutti che davanti ci sarebbero stati prati e campi da calcio e da tennis».
Non andò così.
«No. I lavori furono fatti al di sotto del livello del Tevere. Il progetto saltò e la zona fu occupata dai senza tetto. Divenne una borgata. Molto viva. Per me divertente. Ho avuto un’infanzia serena. E la strada ha contribuito a educarmi».
È un modo di dire.
«No. È vero. Certi insegnamenti me li porto dentro ancora».
Tipo?
«Capisco facilmente le persone. E mi accorgo dei pericoli. L’istinto mi porta a evitarli. E so come sciogliere le tensioni. Non che a Roma io corra rischi particolari, non è che frequenti i bar del porto. Ma nelle occasioni in cui tutti noi percepiamo qualcosa che non va, tendenzialmente so come cavarmela».
Andavo per strada, giocavo a pallone e se c’era da fare a cazzotti facevo a cazzotti. Lo ha detto lei ad Aldo Cazzullo.
«Sì. È vero. Perché ci rubavano il pallone. I bulletti del bar dietro casa mia. Erano un po’ più grande di noi. Io mi mettevo in mezzo».
Le prendeva o le dava?
«Ero più piccolo. Le prendevo. Poi sono cresciuto e qualche cazzotto ben assestato l’ho pure dato. Ma ho anche imparato che se non fai a pugni è meglio. Sempre».
Poteva fare il calciatore professionista.
«Col Rimini ci sono andato vicino. Mediano. Con questo fisico solo quello potevo fare».
Aveva i piedi buoni?
«Insomma. Però avevo una grande visione di gioco. Sapevo come stare in campo».
Se si dovesse paragonare?
«Grinta e tigna. Una via di mezzo tra De Rossi e Gattuso. Anche se De Rossi si offenderà».
Sarà lusingato.
«Dubito».
Suo padre portava lei e suo fratello Nicola alle manifestazioni politiche.
«Erano anni diversi. Chi faceva la scuola media superiore si interessava di politica per forza. Il Movimento del ’77. Anni tosti, meravigliosi e anche molto brutti. Oltre al terrorismo arrivò la droga. E io ho visto molti amici fare scelte sbagliate in politica oppure andarsene per overdose».
A Roma tra rossi e neri si rimaneva spesso stesi per terra.
«Bè, io ero a cento metri da Giorgiana Masi che venne uccisa a Ponte Garibaldi il 12 maggio del ’77».
Aveva 16 anni.
«Stavamo venendo giù da Monteverde dove c’era il liceo. Sentimmo gli spari e gente che gridava: hanno ucciso una ragazza. Un compagno mi disse: andiamo là. Io gli dissi: no. Attorni a noi molti piangevano. A Roma c’era una atmosfera plumbea, ma i ragazzi pensavano di poter cambiare il mondo».
Sono serviti a qualcosa quegli anni?
«Difficile dirlo. Nella storia di un Paese ci sono dei passaggi obbligati. Forse inevitabili. Certo io avrei fatto volentieri a meno di tutta quella violenza. Due giorni fa ero alle celebrazioni per i 50 anni della morte del commissario Calabresi. La violenza e la sofferenza di allora hanno lasciato cicatrici profonde».
Erano anche gli anni della banda della Magliana.
«Vero. Noi ragazzi lo sapevamo che la banda esisteva ma non è che la cosa ci condizionasse».
Si parlò di un loro coinvolgimento nel rapimento Moro.
«Non so se fosse vero. Ma so che uno dei covi in cui fu tenuto era a pochi metri da casa di un mio amico. E se si scoprisse che la Banda della Magliana sapeva che Moro era lì non mi stupirei».
Le è piaciuto Romanzo Criminale?
«La serie molto. Mi sarebbe piaciuto farne parte. Il Dandi, il Libanese, il Freddo. Uno dei tre. Ma sarebbe stato difficile fare meglio di chi li ha interpretati».
Perché ha scelto di fare l’attore?
«Mi sono sempre buttato in qualunque recita. Il mio primo ruolo è stato quello di maestro. Poi un amico mi portò a un provino per l’Accademia. Lo scartarono. Presero me».
Che ha fatto il suo amico nella vita?
«Il giornalista».
Ecco, appunto. Un fallimento.
«No, figuriamoci, è una delle tre persone più intelligenti che conosca. E ha avuto una vita complicata. Gli voglio molto bene».
Chi sono le altre due?
«Intelligenti?».
Esatto.
«Se rispondo si offende un sacco di gente».
Quando ha capito che era diventato Luca Zingaretti?
«Mai. Non sono cambiato. Ho fatto la gavetta. Lunghissima. Ma adoro questo lavoro. Sono un perfezionista. Mi piace tutto del mio mestiere. E la penso come Suso Cecchi D’Amico: il successo è come il meteo. Cambia. E non dice niente di chi sei davvero».
Ci sarà una cosa bella nel successo, no?
«Molte. L’affetto della gente. E la possibilità di scegliere cosa fare».
Nella serie Il Re veste i panni del malefico direttore di un carcere. Come ci si trasforma in un cattivo?
«Non mi metto mai di fronte ai personaggi come un giudice che decide se uno è buono o cattivo. Mi ci metto come un’analista che vuole capire come funzionano le persone. Per cui a Bruno Testori io voglio bene. Perché si sente investito da una missione. Poi però la trasforma in un un’ossessione che finisce per farlo perdere. Un po’come il colonnello Kurtz di Apocalypse Now».
Zingaretti, le piace Draghi?
«Credo che in questo periodo storico Draghi sia una figura necessaria».
Pace o condizionatori?
«Pace tutta la vita».
Le dà fastidio il modo in cui talk parlano di politica?
«Sì. Le discussioni non servono per chiarirsi. Ognuno cerca di spararla più grossa dell’altro a seconda della pubblicità che si vuole fare. Trovo che i talk siano vuoti di contenuti e pieni dell’ego di chi partecipa. Con delle eccezioni, naturalmente».
Giusto mandare le armi all’Ucraina?
«Diciamo che questa storia è stata gestita molto male perché ci siamo trovati di fronte a un’emergenza. E aggiungiamo che è sbagliato alimentare un’escalation e che bisogna ragionare su tutte le strade possibili per ristabilire la pace. Discutiamo di tutto. Tenendo però presente che c’è un popolo che si sta difendendo con le unghie e con i denti. E che quel popolo è sul confine (anche fisico) di un modo di pensare e di essere che sono identificabili con la nostra cultura occidentale».
Zingaretti-Lancillotto ha parlato dell’atomica alle sue figlie?
«No. Perché le ho viste molto impaurite dalle minacce di Putin. Mia figlia di undici anni mi ha fatto molte domande. Ho cercato di tranquillizzarla dicendole che non sono tutti matti».
Si è tranquillizzata?
«Credo. Ma non ne sono sicuro».
Zingaretti, qui al Salone l’hanno invitata a parlare di gentilezza. Che cos’è la gentilezza per lei?
«La capacità di percepire il prossimo. E di rispettarlo. Perché in fondo tutti noi abbiamo uno stesso unico grande desiderio: essere visti. Ecco, la gentilezza si fa carico di questa esigenza condivisa». —