Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  maggio 21 Sabato calendario

Polemiche al Salone /2

Discutere di guerra e di pace oggi, con quel che accade in Europa, può portare dovunque. Anche, in un Salone del Libro pur lontano dal clima un po’ delirante di certi talk show, a una contrapposizione frontale tra due consumati uomini di spettacolo che si trasforma in un momento di tensione, e diremmo non poco significativo.
È accaduto ieri sera, quasi alla conclusione dell’incontro su Gino Strada intorno al suo libro postumo Una persona alla volta (Feltrinelli): quando alla fine di una lungo ragionamento, forse sedotto dalle sue parole, Elio Germano – che per il resto ha letto benissimo pagine del libro di Strada – si lancia in affermazioni piuttosto enormi, volendo contestare l’idea ricorrente di contrapporre nella storia e nella cronaca il «buono» al «cattivo» come nei film western. E proclama che Hitler stesso, certo, non pensava di essere il Male: il che può essere interpretata in molti modi, dal più ovvio e tautologico al più sinistro.
Ma Pif (al secolo, com’è noto, Pierfrancesco Diliberto) perde le staffe, si alza come disperato e anche lui, da bravo comunicatore, dà fiato all’indignazione con una irresistibile retorica del sorriso, anzi ridendo davvero a crepapelle, aggirandosi per il palco come un orso, abbracciando persino l’interprete che si occupa del linguaggio gestuale per non udenti come chiedendo a lei, silenziosa, un ultimo soccorso. Una risata vi seppellirà.
Viene a fatica richiamato all’ordine dal direttore de La Stampa, Massimo Giannini; si scusa sempre ridendo e ammette che, per una volta, «ha fatto lo Sgarbi». Giannini, che conduce l’incontro a cui partecipa, oltre ai duellanti, Simonetta Gola, vedova, collaboratrice e continuatrice del lavoro e, diremmo, dell’insegnamento stesso di Gino Strada. Certo ha buon gioco nel ricordare – il direttore de La Stampa – che la dichiarazione di rispetto per l’altro, il sapersi mettere nei suoi panni proprio come fa l’attore, è certo una forma di civiltà; però, se ogni posizione è accettabile in quanto tale (in altre parole, diremmo, se tutti anche i più sinistri figuri sono in buonafede), si arriva al risultato opposto rispetto a ciò che ad esempio cercava Strada. Se tutto è, in un certo senso, accettabile, lo è anche la guerra. E a maggior ragione quella di aggressione, come sta avvenendo in Ucraina.
Strada è stato un grande testimone, oltre che un protagonista nel resistere alla guerra, nell’alleviarne gli effetti, nel salvare vite. Rileggere le sue parole mette indubbiamente in crisi, spiazza e costringe a un di più di riflessione.
Strada usava spiegare, ricorda Giannini, che gli fu amico: «Non sono pacifista sono contro la guerra». Sapeva dire cose «anche urticanti, ma se lo poteva permettere». Aveva visto e curato le piaghe più orribili, parlava a ragion veduta. Ovvero, aggiunge Simonetta Gola, ci ripeteva incessantemente che «l’esperienza della guerra dovrebbe solo servire a farci capire che non possiamo più permettercela». Pif lo paragona San Francesco, che certo «non faceva i miracoli», ma era in grado di mettere in crisi gli interlocutori (ed è davvero una bella immagine). E chiarisce: «Io dico, ora e sempre, resistenza. Mi indigno, sto con gli ucraini aggrediti, sono ovviamente per mandare le armi... poi esce il libro di Strada lo leggo ed entro in crisi». È la grande contraddizione il vero tema del nostro tempo: abbiamo di fronte, non contrapposti ma giustapposti, «un nemico assoluto della guerra – sono parole ancora di Giannini – e un popolo aggredito che dice “veniteci ad aiutare"». Che cosa dobbiamo fare?
Le risposte, nonostante la pacatezza e la cortesia reciproca, divergono. «Io penso: lo dobbiamo aiutare», è quella di Giannini. «Nessuno mette in dubbio che l’Ucraina aggredita non debba avere la possibilità di difendersi» – è quella di Simonetta Gola, che implica un grosso «ma» – «ma abbiamo lasciato che l’Onu diventasse inutile, abbiamo inviato le prime armi dopo pochi giorni di invasione, senza riflettere. Mentre si difende meglio la popolazione ucraina mettendosi semmai in mezzo». Magari con i caschi blu, che nelle guerre balcaniche si girarono dall’altra parte, lasciando al generale Mladic la libertà di sterminare Srebrenica? La battuta di Giannini fila amara sul palco. Sì, c’è una lunga storia prima dell’invasione, anche di errori, ricorda Simonetta Gola che si dovevano evitare. «Sì ma intanto il problema è adesso – le risponde Giannini –. È qui e ora».
Strada lo sapeva bene, i suoi «ora» sono stati tanti, dal Pakistan all’Africa. Sapeva anche che, come legge in una pagina magistrale Elio Germano, solo «la costruzione e la pratica dei diritti umani sono l’antidoto alla guerra». Ma intanto c’è qualcuno che ci chiede di fermare il suo aggressore. Come se ne esce? Simonetta Gola ricorda che ci sono voluti 300 anni per dire definitivamente no, nella coscienza collettiva se non nei fatti, alla schiavitù. Quanto ce ne vorranno per «abolire» (kantianamente) la guerra? Tanti, certo. Bisognerà imparare a «veder le cose in un modo diverso», «lavorare per trovar un’altra via».
Il futuro va costruito. «Anche se non posso – conclude la vedova di Gino Strada – chiedere alle persone di non difendersi». Come scrivevano Kant e poi Isaiah Berlin, il legno di cui è fatta l’umanità è «storto», forse non perfettibile. Il tentativo di raddrizzarlo un poco è però, come abbiamo imparato e come dimostra l’opera di Gino Strada, del tutto necessario.