il Fatto Quotidiano, 21 maggio 2022
Svezia e Finlandia, le nuove esce della Nato
È vero, il momento scelto per la decisione dei due Paesi di entrare formalmente nella Nato è infelice. Con la guerra in corso e per chi la percepisce ai propri confini la vista è annebbiata e il giudizio non è sereno. Ma qualunque esso sia, è sempre il giudizio di nazioni sovrane che hanno il diritto di prendere le proprie decisioni. La procedura per l’ammissione alla Nato è ancora ai preliminari e già esiste l’obiezione della Turchia. Il Segretario genearale Nato, il norvegese Stoltenberg, la Gran Bretagna di Johnson e gli Usa di Biden hanno già assicurato un iter rapido della procedura. La fretta è motivata dalla minaccia che la Russia sta ponendo al mondo occidentale. Qualcosa però non torna: Stoltenberg ha anche affermato che l’Ucraina può vincere la guerra. E se la Russia perdesse la guerra o raggiungesse un accordo per porre termine al conflitto, buona parte della minaccia svanirebbe. Non finirebbe quella nucleare tattica o strategica, ma non sarebbe certo l’ammissione alla Nato di nuovi Stati ai confini con la Russia a evitarla. Anzi, il contrario. È chiaro che i due Paesi sono sottoposti alla pressione, al limite del ricatto (con noi o contro di noi), che Stati Uniti e Gran Bretagna esercitano già sui Paesi europei, compreso il nostro. Ed è chiaro che Usa, Gran Bretagna e Nato non intendono far finire il conflitto senza aver sconfitto la Russia. Di fatto sono tre entità diverse, con le prime due che hanno patti d’intervento in guerra anche extra-Nato, e che han lo stesso interesse a raccogliere quante più adesioni possibili di Paesi vicini alla Russia per aumentare la capacità di deterrenza/provocazione e tramite la Nato coinvolgere tutto il continente.
Svezia e Finlandia sono convinte d’aderire a un’alleanza difensiva mentre in realtà faranno da esca per ulteriori provocazioni. La loro ammissione dal punto di vista politico-militare non contribuisce alla sicurezza degli altri membri ma la mette in pericolo. Dal punto di vista economico daranno un contributo significativo ma non determinante alla sicurezza. Si tratta di paesi a bassa popolazione: 10 milioni d’abitanti la Svezia, 5 la Finlandia. La ricchezza pro-capite è tra le più elevate d’Europa solo perché la popolazione è bassa. Il loro Pil complessivo è di 800 miliardi di euro, come l’Olanda; l’Italia ha un Pil di 1.700 miliardi, la Gran Bretagna 2.700 miliardi, la Germania 3.600 miliardi e la Francia 2.300 miliardi. La componente armata è di qualche brigata e in termini demografici la bassa popolazione e la scarsa natalità incidono sulla capacità di sostenere conflitti. La Russia non le sta minacciando e non le considera nemiche. Finora.
Svezia e Finlandia pensano anche di poter conservare la propria autonomia mantenendo i piedi in tre staffe: Unione europea, Nato e Nazioni Unite. Anche qui qualcosa non torna. L’ingresso nella Nato è il de profundis per la sicurezza europea e per la realizzazione dell’Unione europea autonoma nella politica e negli strumenti di azione. L’equivalenza della doppia adesione a Nato e Ue evidenzia un pleonasmo e un controsenso: il primo è la sussistenza di due organizzazioni autoreplicanti con due contenitori per lo stesso potenziale militare. Il secondo è che tale potenziale non è utilizzabile per le esigenze della sicurezza europea che sono comunque marginali e largamente inascoltate rispetto a quelle della Nato a guida Usa. Noi “meridionali” ci troviamo bene nel guazzabuglio, ma i nordici tendono alla chiarezza. Prima o poi chiederanno d’eliminare le ridondanze e riservare all’Ue il ruolo di Camera di commercio o il compito di lavare i piatti sporchi lasciati dalla Nato.
L’abbandono della neutralità da parte dei due paesi è anche la fine della neutralità come istituto giuridico di sicurezza e sovranità. Non a caso non si parla più di neutralità ucraina. Ormai nel mondo occorre schierarsi per avere un “protettore” che in genere è l’unico a trarre profitto, come insegna lo sfruttamento della prostituzione. Ma la fine della neutralità è soprattutto un grave colpo alle Nazioni Unite che hanno fallito nella garanzia della reciproca protezione degli stati membri nei confronti di aggressioni. Nessuno Stato crede più nel dettato dell’Onu e neppure nella funzione del Consiglio di sicurezza nella prevenzione dei conflitti. Il colpo all’Onu è anche il colpo di grazia alla credibilità di Svezia e Finlandia nell’ambito delle Nazioni Unite e di altri organismi internazionali dove hanno conquistato posizioni di vertice e grande autorevolezza non solo perché brave, ma soprattutto perché neutrali. La Svezia non potrà più vantare il ruolo di “grande potenza umanitaria” che si è costruito in decenni di partecipazione distinta e separata da quella delle grandi potenze, ma al loro fianco nelle operazioni umanitarie vere o presunte. La Finlandia dovrà rinunciare al ruolo di mediatrice internazionale e parte terza in tutte le operazioni militari e diplomatiche relative alla sicurezza e non solo. Dovranno essere riviste le presenze finlandesi e svedesi nell’ambito dei grandi organismi internazionali ottenute in considerazione della loro “terzietà” (più presunta che reale). Inoltre, perdendo la presunzione d’imparzialità, la Nato non avrà più la foglia di fico della partecipazione dei due paesi neutrali per dare legittimità “umanitaria” alle proprie operazioni militari. Sul piano militare non ci saranno problemi nell’integrazione: ho avuto alle dipendenze per un anno reparti di 36 diverse nazioni tra cui 7 del Nord Europa non appartenenti alla Nato (Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia, Svezia, Russia e Ucraina). Reparti magnifici, efficienti e disciplinati nelle operazioni e strabilianti nella logistica. I problemi potrebbero invece esserci proprio per la Nato. È singolare che non ci si renda conto che il progetto condotto dalla Gran Bretagna è quello di formare un proprio blocco nordico a diretto contatto con la Russia in contrapposizione a quello centrale continentale e a quello meridionale mediterraneo.
la Gran Bretagna ha già stretto accordi di sicurezza con Finlandia e Svezia e con questo allargamento tenterà di controllare Baltico, Mare del Nord e Artico insieme a Olanda, Danimarca e Norvegia, le repubbliche baltiche e la Polonia. Sarà un tentativo che comprometterà la coesione interna e aumenterà sia l’intransigenza nordica sia la riottosità meridionale. Le frizioni riguarderanno anche la suddivisione degli oneri e la ripartizione delle forniture di armamenti. Svezia e Finlandia sono produttori di tecnologia e la Svezia produce ed esporta armamenti aerei e terrestri molto avanzati. I consorzi europei in questo settore, già marginali, dovranno vedersela con altri concorrenti. Si presentano invece ottime opportunità per la Gran Bretagna di acquisire il comando strategico della parte di alleanza più a contatto con il nemico designato. Potrà chiudere il Baltico e costringere la flotta russa a uscirne, potrà minacciare Kaliningrad e lo stesso San Pietroburgo. Potrà controllare la rotta artica dal Giappone e dalla Cina proprio in corrispondenza del suo ingresso in Europa. È un sogno da tempo coltivato e un piano già strategicamente condiviso con gli Usa. Il suo punto debole sta proprio nel ruolo dei paesi nordici che intende controllare con o senza la Nato. Non è certo che essi si rendano disponibili a entrare in conflitto con la Russia a scapito della propria sopravvivenza. E della nostra. Non ci si dovrebbe meravigliare se proprio dai due paesi venisse la spinta per una sostanziale revisione dei compiti e delle strutture della Nato e la definizione di un nuovo quadro di sicurezza in Europa. Solo con tale prospettiva i membri europei dell’Alleanza possono accogliere Svezia e Finlandia con serenità.