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 2022  maggio 20 Venerdì calendario

«Mariupolis 2», film-testamento del regista ucciso

Cannes «Questo zaino era una parte di lui, non se ne liberava mai. Ora è sempre con me». È successo diverse volte al festival di assistere a proiezioni di opere di autori impossibilitati, per motivi politici, a essere presenti. Ma quella di ieri di Mariupolis 2 di Mantas Kvedaravicius, è stata qualcosa di unico. Un ultimo saluto al regista lituano ucciso dai soldati russi il 2 aprile scorso mentre cercava di lasciare Mariupol. Insieme a lui c’era la fidanzata Hanna Bilobrova che è riuscita a recuperare il suo zaino e il girato, montato poi da Dounia Sichov.
Il tuo testamento, non solo artistico. È Mariupolis 2, il documentario presentato da Thierry Frémaux che lo ha aggiunto all’ultimo momento in programma, mostrato in anteprima mondiale in una sala Buñuel commossa. Il racconto della vita quotidiana di alcuni abitanti della città rifugiati in una chiesa evangelica. I letti improvvisati nei sotterranei, famiglie, bambini, gatti. La ricerca per le strade della città di cose utili, come un generatore. Il pentolone di zuppa cucinato all’esterno bruciando pezzi di legno trovati tra le rovine, una sepoltura improvvisata, anche corpi che ancora non l’hanno trovata.
La vita che scorre – «oggi almeno c’è il sole» – in mezzo alla morte, con il rumore incessante dei combattimenti, le colonne di fumo, i racconti di missili che hanno devastato le case dei vicini e straziato i loro corpi. «Non è una storia di guerra, ma del clima surreale che si è creato. Racconta come l’uomo può viverci in mezzo. Mantas ha voluto mostrare l’aspetto umano, quello meno visibile della guerra», ha spiegato Bilobrova citando il senso del lavoro di Kvedaravicius, antropologo che ha usato il cinema come strumento di indagine. Il primo film, Barzakh del 2011, coprodotto da Aki Kaurismäki, lo girò in Cecenia, tra i parenti di deportati e vittime di quel conflitto.
A Mariupol era già stato, nel 2014 et 2015, e l’anno dopo uscì Mariupolis, il doc che raccontava la vita quotidiana della gente (un padre e una figlia, ballerine durante le prove, pescatori...): la guerra non era ancora arrivata ma già incombeva su di loro. La sua intenzione, tornando nel febbraio scorso nella città ucraina, ormai città martire, era ritrovare quelle persone. In un’ora e 45 minuti sono loro al centro della scena, nessuna voce fuori campo. Solo le loro. «Le bombe nucleari possono distruggere le terra 150 volte, non basterebbe una?» domanda un uomo sulle macerie di casa sua.