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 2022  maggio 20 Venerdì calendario

Intervista a Kirill Serebrennikov

Alla fine dell’intervista, quando gli si chiede perché mai porti al polso un orologio vuoto, senza quadrante, Kirill Serebrennikov, il regista russo in gara al Festival con Chaikovsky’s Wife (in Italia arriverà con I Wonder Pictures), melò sul tormentato matrimonio del musicista celeberrimo, risponde con un gran sorriso. Unico autore di un Paese in guerra invitato in concorso sulla Croisette, Serebrennikov, 52 anni, figlio di madre ucraina, residente a Berlino, è il bersaglio, consenziente, di mille domande sull’attualità e quella notazione leggera, sul vezzo di indossare un oggetto senza senso, gli consente di tirare un attimo il fiato: «Sono felice di essere qui, perché il Festival ha sempre applaudito e apprezzato i miei film, ma il pensiero di quello che sta succedendo, le bombe che cadono, i morti, non può essere cancellato. Ho tanti amici ucraini, restiamo sempre in contatto, siamo tutti immersi in una situazione drammatica».
È qui a presentare la sua nuova opera, ma in altre manifestazioni del mondo è accaduto che persone nate in Russia siano state escluse a priori da gare e passerelle. Che cosa ne pensa?
«Sono stato molto contento della scelta di invitare il mio film al Festival, senza preoccuparsi della nazionalità. E sono contrario a ogni forma di boicottaggio, anche se posso capire le ragioni di chi lo chiede. C’è addirittura qualcuno che ha cancellato i concerti di Chaikovsky, trovo che siano manifestazioni di una paranoia crescente. La cultura non va mai boicottata, è libera per definizione e serve a mantenere in vita la gente. Quella russa, poi, è sempre stata concentrata sull’anima, sulla compassione e sulle umane fragilità. Non è mai stata militarista e, anzi, ha dimostrato che desiderare la guerra significa desiderare il dolore degli altri».
Quanto è difficile essere russo oggi?
«Per me è facile, vivo fuori dal Paese già da vari anni, ma adesso c’è tanta gente che è stata costretta a scappare, ad abbandonare tutto, a ricominciare daccapo in un’altra nazione. E poi c’è altra gente che è rimasta in Russia, ma in silenzio, perché ha paura di parlare, e altra ancora che ha scelto di andare in piazza a protestare ed è finita in prigione. È successo anche a chi aveva in mano Guerra e pace di Tolstoj. Oggi essere russo significa venire collocati automaticamente dalla parte della guerra, se parli russo sei per forza pro-Putin, ma non è così, per tanti questo è un momento doloroso e traumatico, tanti cittadini russi si sentono in colpa per ciò che sta accadendo».
Il suo film parla delle conseguenze di un’unione nata dalla necessità di negare l’omosessualità di Chaikovsky. Pensa che, in questo senso, il suo sia un film politico?
«Tutto è politico, in particolare quando si parla di arte e di cultura, infatti certi politici preferiscono la propaganda alla vera cultura. Il mio film non parte da un assunto, ma prova a far riflettere le persone, magari le spinge a cambiare idea su certi argomenti o almeno a valutarli con una maggiore profondità».
Perché le interessava raccontare questa storia?
«È una storia che non era stata ancora raccontata, ed era giusto che lo fosse, bisogna parlare ai russi dei grandi geni che hanno avuto. E adesso farlo è ancora più importante, Chaikovsky è stato il primo artista russo veramente europeo, molto popolare in Occidente, e in tanti, da noi, non sapevano come fosse stata realmente la sua vita privata. Trovo interessante indagare nella vera natura delle persone. Per me il film è quasi un docudrama».
Che cosa significa per lei, in questo particolare momento storico, essere regista?
«Non saprei spiegarlo, è la mia vita, sarebbe come interrogarmi sul perché cammino, muovo dei muscoli e faccio un passo, ma non ci penso, è semplicemente la mia esistenza».
È vero che per realizzare il suo nuovo film ha ricevuto finanziamenti da parte del miliardario Roman Abramovic?
«Da molto tempo Abramovic sostiene l’arte contemporanea, è un mecenate, è grazie a lui che in Russia esiste un cinema d’essai. Ha fatto bene il presidente Zelensky a chiedere a Biden che Abramovic venga liberato dal giogo delle sanzioni».
Sta per girare «Limonov, the ballad of Eddie», tratto dal libro omonimo di Emmanuel Carrere, interpretato da Ben Whishaw e sceneggiato da lei insieme a Pawel Pawlikoski e Ben Hopkins. Che cosa l’ha attratta della storia?
«Il mio produttore ha comprato i diritti del libro e mi ha chiesto se volevo trarne un film. Vedo Limonov come una sorta di Joker russo, uno che sta sempre contro tutto e tutti, un artista, un poeta che vuole affermare il contrario di quello che pensa la massa. Il suo arco di vita è interessante, ci vedo qualcosa che mi riguarda, sono cresciuto nel sud della Russia, quando è iniziata la Perestrojka, in quella fase Limonov, per le nuove generazioni, è stato un po’ come una rockstar, le persone giovani che non volevano far parte del sistema si identificavano in lui». —