il Fatto Quotidiano, 20 maggio 2022
I inuovi re della mala di Milano
C’è Beppe Sculli, ex calciatore di Lazio e Genoa, nipote del boss Giuseppe Morabito “u Tiradrittu”, c’è il “trafficante” siciliano Carlo Zacco, il cui padre, “Nino il bello”, negli anni Ottanta fu proconsole milanese di Cosa nostra. E c’è Girolamo Piromalli, detto Mommino, habitué dei locali della movida e nipote del nonno omonimo a capo di una delle più potenti cosche della Calabria. Ci sono summit mafiosi ai tavoli di ristoranti di lusso ai piani alti dei grattacieli della nuova city meneghina. E boss in trasferta che alloggiano nel prestigioso hotel Palazzo Parigi a due passi dalla Questura di via Fatebenefratelli. E ancora concessionarie di supercar gestite in modo occulto dalla cosca dei Commisso di Siderno.
È un inedito romanzo criminale sui nuovi re di Milano quello raccontato in decine di verbali da un nuovo collaboratore di giustizia. Si tratta di Domenico Ficarra, classe ’84, alias “Corona” coinvolto nell’inchiesta “Cavalli di razza” coordinata dalla Dda di Milano e accusato, oltre che di estorsione, anche di essere tra i capi di un’organizzazione mafiosa tra Milano e Como. Davanti a tutto questo, il giovane boss, innamorato della bella vita, dei casinò e delle Ferrari noleggiate da una nota concessionaria, lo scorso marzo ha deciso di collaborare con i pm Sara Ombra e Pasquale Addesso, titolari del fascicolo che nell’ottobre scorso portò a 54 arresti. “La famiglia Ficarra – spiega il nuovo pentito in uno dei sei verbali depositati dalla Procura al processo con rito abbreviato iniziato ieri – è stata sempre al servizio di Molè (…). Fino all’omicidio di Rocco Molè (2008) eravamo a sua disposizione per tutto. Io rimasi sconvolto, ero molto legato a Rocco, dopo l’omicidio sono salito a Milano (…). Abbiamo colto l’occasione per iniziare a insediarci in Lombardia”, mettendo nel mirino Cesare Pravisano, ex politico e funzionario di banca, avvicinandosi poi alla sponda nobile della ’ndrangheta di Gioia Tauro, i Piromalli. “Pravisano – spiega Ficarra – era diventato il nostro bancomat”. Lo zio, Massimiliano Ficarra, anche lui coinvolto nell’inchiesta e finito in carcere per un giro di frodi fiscali, è il commercialista della cosca. “Era a disposizione di Rocco Molè e riciclava i loro soldi (…) organizzava truffe milionarie e Molè incassava gli interessi (…). Dopo la morte di Molè si era avvicinato ai Piromalli (…). Seguiva l’autolavaggio di Girolamo Piromalli detto Mommino”, boss in ascesa all’interno della cosca con interessi a Milano, indagato per mafia in Calabria.
“Trafficante di droga” è invece Antonio Carlino, che con il commercialista Ficarra si prenderà l’esclusivo ristorante “Unico” all’ultimo piano del World Join Center, primo grattacielo della nuova Milano verticale progettato da uno studio vicino a Comunione e liberazione. Lo vedremo. “Carlino – spiega Ficarra – mi disse di appartenere alla ’ndrangheta e in mia presenza tirò fuori un sacco con dentro mezzo milione in contanti. Sul tavolo aveva 6 chili di cocaina” che “furono portati a Milano (…). Un chilo” è stato dato “a Giuseppe Sculli in via San Marco a Milano (…) presso un’abitazione di Sculli data in affitto a Daniele Ficarra (zio del pentito, ndr)”. Ancora il collaboratore: “Mio zio mi ha riferito di cessioni di cocaina a Carlo Zacco il quale venne anche da me per chiedermi dove trovare mio zio per avere droga (…). Carlino aveva grosse disponibilità economiche (…) e necessità di riciclare denaro (…). Quando veniva a Milano alloggiava all’hotel Palazzo Parigi”. Al momento, sia Sculli che Zacco non sono indagati. Le parole di Ficarra dovranno essere riscontrate.
L’ex calciatore di Serie A viene tirato in ballo dal pentito anche per una vicenda spinosa sull’affare dei trasporti per conto della Spumador Spa gestiti in totale monopolio dallo zio di Ficarra. Una parte di questi venivano dati ad altri calabresi, la famiglia Palmieri imparentati con i Medici a loro volta legati al clan Muscatello. “La ragione del mio intervento è dovuta al fatto che Palmieri voleva allargarsi e avere più lavori”. È in questo contesto che il pentito richiama di nuovo la figura di Sculli al quale un uomo di Ficarra deve portare “l’ambasciata”. Siamo nel 2020. Spiega il pentito: “Angelo Molteni doveva recarsi da Giuseppe Sculli, nipote di Giuseppe Morabito Tiradrittu, per farlo intervenire sui Palmieri in quanto sia loro che i Morabito sono famiglie della Ionica”. E che quell’incontro, che però non avverrà, fosse un incontro di ’ndrangheta lo spiega sempre Ficarra ricordando l’episodio dell’orecchino: “La ragione per cui Molteni doveva togliersi l’orecchino era perché quando si va a incontri di ’ndrangheta occorre presentarsi puliti e gli orecchini sono visti negativamente”. Ficarra poi racconta della conoscenza con i Pio di Desio, famiglia coinvolta nell’operazione Infinito. “I Pio erano conosciuti come persone appartenenti alla ’ndrangheta”. Saranno i Pio ad avere a disposizione il ristorante “Unico” “per un incontro con i cinesi (…). Carlino aveva messo a disposizione il ristorante”. Questo il primo capitolo di una collaborazione che si annuncia decisiva per il futuro. Viste le influenti conoscenze “mafiose” di cui parla Ficarra. Tra queste Antonio Piromalli, già re degli affari criminali all’Ortomercato di Milano.