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 2022  maggio 14 Sabato calendario

Su "Libera. Diventare grandi alla fine della storia" di Lea Ypi (Feltrinelli)

«Ho trovato mamma!» è il ritornello che mi echeggia in testa ancora oggi quando ripenso ai mesi di stesura di Libera, in condizioni non esattamente di libertà. Era la primavera del 2020. Ci eravamo trasferiti a Berlino per pochi mesi e io passavo le mattine a scrivere rinchiusa dentro un armadio. Il mondo combatteva contro un virus ancora sconosciuto e io combattevo con i miei figli, i quali stentavano a comprendere come mai si dovesse continuare a lavorare, visto che ogni giorno si presentava come l’eterno ritorno della mattina di domenica. L’armadio – capiente sì, ma pur sempre disegnato come contenitore per vestiti anziché biblioteca - era l’unico luogo dove mettersi al riparo delle richieste di intrattenimento di tre bambini in isolamento - annoiati certo, ma soprattutto disorientati dalla chiusura indefinita della scuola, dell’asilo nido e alla fine persino dei parchi giochi.

Ero andata a Berlino poche settimane prima per concludere vari progetti accademici, tra cui un libro sulla Critica della Ragion Pura di Kant e uno sul concetto di libertà nelle tradizioni del pensiero liberale e socialista. Ho sempre pensato che fosse uno sbaglio contrapporre il socialismo al liberalismo, interpretando il primo come una forma di difesa dell’uguaglianza sociale e il secondo come una forma di difesa delle libertà individuali. Al contrario, mi pare che entrambe le tradizioni siano animate dalla stessa questione morale: che tipo di ordine politico e sociale possa essere giustificato a chi si sottomette al potere coercitivo delle leggi – non solo le leggi del proprio stato di nascita ma anche quelle che caratterizzano il sistema degli stati. Il progetto iniziale si proponeva di mostrare come le critiche socialiste cerchino di espandere, anziché ridurre, il concetto di libertà centrale alla tradizione liberale, ponendoci di fronte all’esigenza di ripensare le fondamenta dell’assetto istituzionale all’interno del quale operiamo.

Il progetto dovette interrompersi per via della chiusura delle biblioteche e l’annullamento delle attività didattiche e di ricerca. All’improvviso mi ritrovai in uno stato di confusione intellettuale e di inquietudine politica di fronte alla facilità con cui diritti e libertà garantite nelle costituzioni degli stati liberali - come quella di movimento e di associazione - venivano sospesi facendo appello alla politica di emergenza. Riflettevo a come la libertà non sia mai questione solo teoretica, ma sempre anche un dramma concreto: sempre la libertà di qualcuno e non di un altro, una promessa ma insieme anche un inganno, una condizione sospesa tra esigenze del singolo e responsabilità collettive, tra pensiero critico e cattura ideologica.

Fu proprio nel tentativo di orientarmi in quella crisi – al contempo personale, sociale e politica – che mi vennero in mente le parole di mia nonna: «quando non sappiamo cosa pensare del futuro bisogna rivolgersi al passato». Un libro che avevo inteso come riflessione storico-filosofica divenne un progetto di recupero della memoria del passato per trovare rifugio dalle incertezze del presente. Tornai a riflettere sulla mia infanzia e adolescenza in Albania, sul movimento studentesco dei primi anni Novanta, mi vennero in mente le lotte per la libertà e la democrazia, la rigidità ideologica del socialismo e l’abisso intellettuale del periodo di transizione, i sacrifici fatti, le vite perse, le promesse mai realizzate. Mi chiesi che cosa si potesse imparare da tutto ciò e gradualmente i concetti astratti acquisirono le vesti di personaggi reali, i dilemmi filosofici divennero conversazioni tra persone in carne e ossa: mio padre, mia madre, mia nonna, le mie insegnanti. Fu così che l’intero progetto si tramutò da trattazione storico-filosofica in racconto autobiografico.

Libera è una specie di Bildungsroman in cui il percorso di evoluzione emozionale e cognitiva di una bambina all’interno della sua famiglia coincide con l’evoluzione – o meglio la rivoluzione – di un popolo da un sistema politico all’altro. In questo percorso di ricerca di autenticità sia da parte di un singolo individuo che di un popolo, chi legge viene invitato a una riflessione sulla dimensione morale del vivere politico. La sfida più difficile era trovare la libertà di spiegarmi senza togliere al lettore quella di giudicare. Volevo scrivere un libro sulla libertà che aprisse spazi di riflessione, senza forzature paternalistiche e senza predicazioni ex cattedra. Riuscii a tenere a bada l’istinto accademico soltanto facendo irruzione nella mente della bambina che una volta ero stata e rivivendo, tramite la scrittura, il suo stesso senso di scompiglio, la medesima confusione, una simile apertura a un mondo nuovo e un simile disagio ad abbandonare le certezze di quello vecchio. È anche per questo che nel libro (a parte le pagine dell’Epilogo) manca una voce narrativa dominante adulta.

Libera è una specie di viaggio platonico fuori dalla caverna, compiuto tramite la ricerca e l’interrogarsi sulle proprie radici. Scrissi la prima versione in inglese, accompagnata dalla stessa ansia e dallo stesso senso di estraniamento che ho sempre vissuto quando mi sono trovata a dover esprimere i miei pensieri in lingue a cui non sentivo di appartenere fino in fondo o - come nel caso dell’albanese - di non appartenere più. I concetti filosofici servivano anch’essi - come l’armadio berlinese - a offrire una specie di rifugio temporaneo da questa esperienza di vagabondaggio linguistico (ma anche sociale e politico) da cui alla fine credo si esca soltanto tramite il recupero di un orizzonte morale che riconosce i limiti posti dal presente ma rifiuta di piegarsi completamente alla realtà. Il fatto che sia riuscita a scriverlo comunque, nonostante la costante sensazione di inadeguatezza che mi accompagna quando scrivo, è una dimostrazione ironica dell’ epigrafo, partendo da un commento di Rosa Luxemburg: «gli esseri umani non fanno la storia per libera scelta, ma tuttavia fanno la storia».