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 2021  settembre 24 Venerdì calendario

Intervista a Ferdinando Bruni e Francesco Frongia - su "Edipo re. Una favola nera"



"Un’immagine" racconta Ferdinando Bruni "a cui penso sempre quando torno a fare gli antichi greci a teatro, è di Pierre Klossowski: "I greci sono come la luce delle stelle, morte da milioni di anni eppure ci illuminano ancora"". Quella a cui Bruni e Francesco Frongia del Teatro dell’Elfo Puccini di Milano preparano a tornare è una vera dark star, forse la più popolare di tutte le tragedie: Edipo Re. Una favola nera. L’hanno chiamata così perché, incalza Bruni, "alla fine cos’è l’Edipo di Sofocle se non una fiaba? C’è un trovatello, non c’è la strega cattiva ma un oracolo che dice che ucciderà i genitori, quindi lo abbandonano nel bosco; lui diventa un principe, torna a Tebe, sconfigge il mostro che sta alle porte della città e uccide i giovani, sposa la regina... e qui però manca il lieto fine. Perché la regina è sua mamma. E la favola diventa nera".

Per vederla al Teatro Elfo Puccini di Milano, con i costumi magnifici di Antonio Marras, le maschere sciamaniche, le musiche prese da Nick Cave e un cast maschile - quattro attori che interpretano tutti i personaggi - bisognerà pazientare fino al 15 marzo prossimo, data fissata per la prima nazionale (sarà in scena fino al 14 aprile). L’Elfo Puccini riprende così a volare, come titola un cartellone ricco delle produzioni rimaste sospese e di quelle maturate durante il lockdown: l’altro padre fondatore dello storico teatro, Elio De Capitani, è attesissimo con Moby Dick alla prova, di Orson Welles, dall’11 gennaio al 6 febbraio; Frongia dirige Ida Marinelli in Robert e Patti, storia di una punk newyorkese che non è la Smith ma ne sfiora vita e destino (19 ottobre-14 novembre); e l’11 maggio debutterà ancheTre donne alte di Edward Albee, sempre con Marinelli e Bruni alla regia.

"L’anno scorso" ricorda il regista "eravamo in scena a febbraio con Verso Tebe, che era una sorta di studio intrapreso per arrivare al nostro Edipo. L’avevamo dovuto interrompere una settimana prima perché era arrivato il Covid". Come la peste a Tebe. "Già, un’attualizzazione decisamente non voluta. In una scena, il rappresentante del popolo tebano va da Edipo per dirgli: fai qualcosa contro questa pestilenza, altrimenti avrai un popolo di morti, "un silenzio di mezzanotte in pieno giorno". Nei giorni del lockdown quella battuta ci veniva in mente di continuo".

Quando si parla di Edipo scatta una specie di riflesso pavloviano, si pensa al "complesso" freudiano, a Jim Morrison dei Doors che sussurra Father I Want to Kill You.
Ferdinando Bruni:
"La lettura di Freud mi è sempre parsa un po’ rozza. L’idea che tutti abbiamo prima o poi sognato di uccidere nostro padre e accoppiarci con nostra madre, attribuisce a Edipo la volontà di fare queste cose, volontà che invece lui non ha, anzi, cerca di fuggirne il più possibile. Il tema principale per noi è quello del destino, il complicato rapporto fra libertà e necessità, fondativo di questa società occidentale figlia dell’Illuminismo, che per fortuna continua a nutrire grande fiducia nella ragione. Ma la tragedia ci insegna che la ragione, grande mito della modernità, non risolve tutto. La morte esiste, il destino esiste, esistono cose che non puoi controllare, anche se la versione più pacchiana, americana, dell’illuminismo dice che se vuoi veramente una cosa la puoi ottenere".

A quale testo avete fatto riferimento per la vostra favola nera?
Francesco Frongia:
"Abbiamo fatto un lavoro di taglia e cuci di tantissimi autori. A volte delle battute iniziano con Sofocle e finiscono con Hofmannsthal. Ci sono gli Edipi di Seneca, Dryden, Thomas Mann, la Morte della Pizia di Dürrenmatt, la Macchina infernale di Cocteau, Kafka sulla spiaggia di Murakami e Alla greca di Berkoff, che aveva trasportato Edipo/Eddy nell’Inghilterra thatcheriana. Da lì abbiamo preso l’incontro con la Sfinge. Marras l’ha immaginata come una signora in kilt scozzese con cresta e unghie da uccello; nell’originale era una sfinge punk e femminista che dice a Edipo: tu vai incontro a un destino di morte perché sei un maschio, tutti i disastri della terra derivano dai maschi".
Bruni: "Edipo ha dato l’avvio a una serie di opere affascinanti. Il mio preferito è Seneca, per il linguaggio turgido, la teatralità moderna: è un po’ il corrispettivo latino degli autori arrabbiati inglesi degli anni 50. Un momento molto bello è l’addio della regina Giocasta a Edipo che abbiamo preso da Dryder, in Sofocle non c’è. Lui, orripilato dall’incesto, la scaccia. Lei gli dice: la cosa che mi addolora di più è che ci separiamo senza un addio gentile. L’ho trovato molto bello e malinconico".

È anche molto musicale il vostro Edipo.
Frongia:
"Per quel poco che si sa, nell’antichità la musica era molto presente nelle tragedie. Volevamo verificarne la potenza usando però musiche vicine a noi. Verso Tebe partiva con i Cure di A Forest, poi arrivavano i Joy Division, gli Psychic Tv. Questa volta è tutto Nick Cave: apriamo con The Carny, cupissima, ma ci sono anche pezzi più romantici, senza la voce però".

Chi è il vostro Edipo?
Frongia:
"Valentino Mannias, bravissimo. Provando la scena della Sfinge abbiamo scoperto che ha fatto break dance: è bellissimo vederlo fare salti pazzeschi immerso in questo deserto dove si solleva non il fumo ma la sabbia".
Bruni: "Ciascun attore fa più ruoli. Io sono nel coro e sono Tiresia, la Sfinge, Laio, il pastore che trova Edipo, e direi che qui mi posso fermare. I greci non facevano recitare le donne, non tanto per ragioni di "buon costume" come nel kabuki o in epoca elisabettiana, quanto di caste e senso del sacro. A noi però non interessa essere filologici: il cast maschile e le maschere servono per creare distanza con la realtà, e tra il personaggio e l’attore, il cui compito non è quello di immedesimarsi, ma di trasmettere un testo, attraverso una partitura che è di parole, suoni, gesti, anche travestimenti".

La vedremo in scena con pelli di pecora e campanacci come i mammutones sardi...
Bruni:
"Con Antonio Marras ci siamo conosciuti ad Alghero quando lui avrà avuto 26 anni e l’Elfo era in tournée col primo Sogno di Shakespeare, quello con Salvatores. È da sempre un grande amico del teatro, all’Elfo Puccini ha anche fatto una sfilata di moda. I suoi costumi sono un lavoro di drammaturgia: nella scena delle nozze di Edipo e Giocasta due enormi mantelli che sembrano gabbie scendono sugli sposi e li imprigionano; li incastrano nei ruoli che finiranno col distruggerli".

Come si esce da questa favola dark?
Frongia:
"Malgrado tutto, sollevati. La tragedia ci aiuta da sempre a capire i momenti di grande trasformazione".
Bruni: "E con delle domande. Come nella Morte della Pizia: "Fu la colpa o il destino, fu l’uomo o furono gli dei?". È il vero valore psicoanalitico di Edipo: porsi domande continue, andare indietro, andare a fondo della conoscenza di sé, anche a costo di scoprire l’orrore".