Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  gennaio 12 Mercoledì calendario

Biografia di Stefania Belmondo

Stefania Belmondo, nata a Vinadio (Cuneo) il 13 gennaio 1969 (53 anni). Ex sciatrice (fondo). Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Salt Lake City (2002) nella 15 km a tecnica libera e a quelle di Albertville (1992) nella 30 km. Nel 2006 fu l’ultima tedofora delle Olimpiadi di Torino. È l’italiana che ha vinto più gare in Coppa del Mondo (23).
Vita Il papà Albino, guardiano delle dighe Enel, da militare aveva partecipato a qualche gara e sciava forte soprattutto in salita, in montagna: «Era così agile e resistente che lo chiamavano “il camoscio”» • «La più grande fondista italiana di tutti i tempi. Uno scoiattolino. Una che, quando vinceva, le sue avversarie russe erano contente, perché a tirarla in aria ci voleva niente. Aveva ragione Cocteau: “Gli angeli volano perché si prendono con leggerezza”. A tre anni scende sulla slitta costruita dal padre Albino, con l’hobby della falegnameria, e tiene i piccoli sci rossi di legno all’ingresso, accanto ai bastoncini di bambù con le rotelline in fondo. Perché è sempre meglio ricordarsi da dove si è partiti. Una ragazza normale, di provincia, cresciuta a Pontebernardo, una frazione di Pietraporzio, in provincia di Cuneo. “Dove l’inverno arriva prima”. E che per la prima discesa lungo il pendio di casa ha usato il coperchio di una vecchia cucina a gas e il telo di nylon, con buona pace del design italiano. Anche se sua sorella Manuela si spaventava e suo fratello Enrico, invece, voleva superarla. Una tipa del nord che però ha paura del freddo e spiega a tutti che “anche chi sta al polo mica si abitua”. Anche perché il freddo è il grande nemico delle fondiste» (Emanuela Audisio) • «La scuola organizzava corsi di sci e di nuoto. E pur di stare sempre in movimento, io ero la più assidua a tutti e due. Ero quello che si dice un maschiaccio, anche se non ero proprio un gigante. Mai giocato un granché con le bambole. Preferivo qualsiasi gioco in cui ci fosse da correre: a nascondino, al pallone... E mi piaceva tanto anche andare in bicicletta, su e giù per tutte quelle salite del paese! La prima gara l’ho fatta quando avevo 7-8 anni. E sono arrivata ultima. Ma proprio ultima. Non ero portata all’agonismo. Mi ricordo che qualche anno dopo si partiva in linea e io ero la prima della fila. Quella dietro mi aveva chiesto pista in discesa. Io mi ero tirata da parte per farla passare e una dopo l’altra erano passate tutte. Mi ricordo certe spilungone, tanto più alte di me. E quando mai mi avrebbero lasciata rientrare nella fila! Fino alla quinta elementare il risultato non mi interessava. Anche perché i miei genitori non facevano alcuna pressione su di me. Mi divertivo e basta. A 11 anni lo Sci Club Alta Valle Stura mi aveva portato ai Giochi della Gioventù. Sono arrivata tredicesima nell’individuale e terza nella staffetta. Ho anche cominciato a vincere qualcosa, ma senza esagerazione... È stato con le scuole medie che il mio atteggiamento è cambiato» • Alla sua prima Olimpiade, a Calgary, nel 1988, la sorte le assegnò il pettorale numero 1: «Un vero dono: mi toccò inaugurare i Giochi, in quanto la 10 km fu la prima gara del programma olimpico. Il pubblico, quando presi il via, si alzò in piedi, facendo una “ola” enorme, con applausi, cori... Certo, non erano tutti miei tifosi» • «Sedici anni passati a sfiatarsi sulla neve. Trentatré titoli italiani, ventitré successi in Coppa del Mondo, cinque partecipazioni e sei medaglie (due ori) alle Olimpiadi. Quattro ori, undici argenti e due bronzi ai Mondiali. La donna che ha messo l’Italia sulla cartina dello sci di fondo, un monumento alto 158 centimetri, per 49 chili di peso. Il primo oro ad Albertville, nel 1992. Quindi la corsa da predestinata interrotta da due operazioni all’alluce, quattro anni di calvario e i medici che le dicevano meglio smettere, non sarai più quella di prima. Lei no, che non si fermava, testarda, irriducibile. La Belmondo ha attraversato a denti stretti anche la rivalità sempre angolosa, spesso urticante con Manuela Di Centa, la primadonna del nostro fondo negli Anni Novanta, culminata a Lillehammer nel 1994: cinque medaglie di cui due d’oro per la Di Centa; due bronzi per la Belmondo. Manuela più morbida con i media, diplomatica, più sorridente, quasi pin-up. Stefania che sorrideva solo dopo il traguardo, con un lampo accecante, dopo aver indossato maschere di tormento per tutta la gara. Gliela leggevi negli occhi, la sofferenza, nella pelle tirata, nei denti che si piantavano su una fune d’aria gelida e la mordevano metro dopo metro. Nello Utah, sulla pista che tredici anni prima le aveva regalato il primo successo di un’italiana in Coppa del Mondo, Stefania aveva chiuso con la vittoria più sofferta, più ghiotta. Sprintando senza un bastoncino, contro avversarie rese più veloci da soccorsi truffaldini» (Stefano Semeraro) • «Ero con le migliori, mi sentivo forte e mi si è spaccato il bastoncino destro. Uno della squadra francese con molto fair play mi ha passato il suo: troppo alto. Un russo si sarebbe girato dall’altra parte, ma i russi correvano per la vittoria. Albarello mi ha passato un altro bastoncino. Troppo alto. In salita ho cambiato tre bastoncini, il terzo andava bene. Solo che avevo perso quasi 20” e al traguardo mancavano tre km e mezzo. Ero disperata, ma a quel punto non urlavo più, avevo deciso e respinto la tentazione di ritirarmi. Agli inizi avevo deciso che non mi sarei mai ritirata, per dignità verso me stessa e rispetto delle avversarie. Sono caparbia, non sempre è un pregio ma a volte sì. E così ho continuato per non avere rimpianti, ho raggiunto il gruppetto delle prime, le ho staccate e in volata ho battuto Lazutina, poi trovata positiva. Avesse vinto lei, chi mi rendeva la gioia, l’emozione di quel primo gradino?» (sulla vittoria alle Olimpiadi di Salt Lake City del 2002, a Gianni Mura) • «“Il più grande dolore l’ho provato a Mosca nel 1990 quando ero magrissima e sono svenuta dopo il traguardo, avevo mani e piedi congelati e dalle orecchie mi usciva liquido bianco”. Una guardia della Forestale che quando arriva in caserma e vede il letto a castello, fa prendere subito aria al materasso, aiutata da Deborah Compagnoni, e viene punita dal comandante con un doppio turno in mensa. Una che soffriva tantissimo non il mondo, ma la rivalità di casa, quella di Manuela Di Centa, più bella, più estroversa, più appariscente. Come nella scherma Giovanni Trillini ha sempre subito le stoccate di Valentina Vezzali, una supermamma capace di programmare maternità e successi» (Emanuela Audisio) • «C’era dell’esagerazione nella rivalità Belmondo-Di Centa. Magari alla vigilia della gara ciascuna cercava la concentrazione per conto suo e il giorno dopo leggevamo che avevamo mangiato a tavoli diversi guardandoci in cagnesco! La verità è che eravamo molto diverse, che ciascuna ha stimolato l’altra a migliorarsi e dare di più. È stata una gran fatica, col senno di poi dico meno male perché siamo diventate come Coppi e Bartali. Ma, mi creda, non ci siamo mai odiate» (a Gaia Piccardi) • «Quando Stefania Belmondo gareggiava i piemontesi la chiamavano Trapulin, alla lettera Trappolino, ma più usato come Cosina. “Non mi piaceva tanto”. Gli italiani, maestrina. “Già meglio. Mi sarebbe piaciuto diventare maestra, ma era troppo difficile conciliare sport e studio. Quand’ero più piccola avrei voluto diventare come il signor Guido, il macellaio del paese. Guance rosee, gesti lenti, tagliava le bistecche con la cura di un orafo”. Quando dice paese, quale intende? “Quello dove ho vissuto fino a 23 anni: Pietraporzio, nella frazione di Pontebernardo. Alta valle della Stura di Demonte, valle aperta, con un valico voglio dire. Andando su per la Maddalena, a 15 km c’è il confine con la Francia. Da quando la Michelin ha aperto lo stabilimento di Cuneo la valle s’è spopolata. Tra Pietraporzio e Pontebernardo saranno rimaste 60 persone in tutto. Ci sono ragazzi che provano a fare il cammino contrario, puntando sull’allevamento di capre, aprendo B&B, ma è dura”. Abitare in pianura non le sembra un tradimento della montagna? “È solo per il periodo scolastico. Qui è comodo per le scuole dei miei figli e anche per me la caserma dei Carabinieri Forestali è facilmente raggiungibile. Ma il resto dell’anno viviamo a Demonte”. Che grado ha? “Appuntato scelto”. In cosa consiste il suo lavoro? “In genere è lavoro d’ufficio, passo carte. Ma sono contenta così, non sono una che può vivere di rendita”» (a Gianni Mura nel 2018) • Il racconto per bambini La favola vera di Stefania Belmondo, più veloce dell’aquila (editore Piazza), già lanciato ai Mondiali 2003, è riuscito nel 2007 con un dvd realizzato da Ugo Nespolo (animazioni colorate e inserti delle gare più belle) • Dal 2010 è commentatrice per la Rai • Il padre Albino è morto nell’aprile 2021. «Se Stefania si fece leggenda, la più grande e amata fondista italiana della storia, lo deve a un papà davvero speciale, che se n’è andato a 87 anni nella casa di Pontebernardo, frazione di Pietraporzio, nel cuneese. È lassù che papà Albino costruì un paio di sci in legno rosso a quello scricciolo di quattro anni. “Quando glieli regalai – ricordava papà Belmondo parlando con calma antica – Stefania impazzì dalla gioia. Non li sapeva usare ma agli inizi non prese lezioni da nessuno. Se ne andava lì sotto, nel campetto, e provava a imparare da sola. Non avrei mai pensato che Stefania sarebbe arrivata a vincere così tanto”» (Stefano Arcobelli).
Amori Nel 1994 ha sposato il meccanico Davide Casagrande, da cui ha divorziato nel 2016. Hanno due figli: Mathias (28 settembre 2003) e Lorenzo (24 febbraio 2005) • «Per me non è stato facile nemmeno il primo approccio. Non mi piace dirlo, né pensarlo, ma è la realtà: ho incontrato Davide quando, purtroppo, non ero più una ragazza comune perché avevo appena vinto le Olimpiadi. Era successo a febbraio e l’ho conosciuto ad aprile. Ti viene spontaneo interrogarti sulle vere intenzioni di chi ti avvicina, anche perché senti la gente mormorare: “Ah già, che l’ha vagna’ le Olimpiadi”. La sera del mio rientro da Albertville, durante una festa in mio onore, Davide ha conosciuto mia sorella e mio fratello. Il giorno dopo sono partita per la Finlandia, dove mi ha spedito dei fiori e un telegramma, che però non sono mai arrivati. Io avevo implorato mia sorella: “Non dargli l’indirizzo, non voglio saperne niente, non mi interessa, sto bene così...”» (dall’autobiografia raccolta da Antonella Saracco per Sperling&Kupfer Più veloci di aquile i miei sogni).
Curiosità Lontana parente di Jean-Paul Belmondo «Ho letto che i suoi venivano da Castello, una frazione di Pietraporzia che attualmente avrà tre abitanti».
Vizi Nel 2013 ha preso la patente per la moto e si è comprata una Ducati Monster 800. «Ma guido piano, mi accontento del senso di libertà».