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 2022  gennaio 25 Martedì calendario

Biografia di Ercole Baldini

Ercole Baldini, nato a Villanova (Forlì) il 26 gennaio 1933 (89 anni). Ciclista. Passista • «Ultima leggenda vivente del ciclismo epico, pur senza la vena tragica di Coppi o il profilo eroico di Bartali» (Marco Bonarrigo, Corriere della Sera, 22/7/2020) • «Lo chiamavano “il treno di Forlì”. Poi, di successo in successo, il treno fu promosso a “elettrotreno”, “diretto”, “direttissimo”, “espresso”. Oggi sarebbe “pendolino”, “Frecciarossa” o “Tgv”» (Marco Pastonesi, Il Foglio, 10/11/2018) • Stazza notevole. Fibra di ferro nei muscoli. Cassa toracica smisurata. Forza sovrumana. «Baldini era Ercole». «Un contadino romagnolo, forte come una quercia». A diciassette anni lasciò la vita di campagna per inforcare la bicicletta. Il 19 settembre 1956, a ventitré anni, stabilì con 46,393 km il record dell’ora (strappato al francese Jacques Anquetil che l’anno prima aveva migliorato il primato di Fausto Coppi). Vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Melbourne (1956), il Giro d’Italia e il campionato del mondo del 1958, due campionati italiani (1957, 1958) • «Dei grandi campioni del ciclismo possiede non solo la potenza di reni e di gambe, la capacità polmonare e la pacata euritmia dei battiti del cuore, che sarebbe molto ma non è tutto. Come Coppi e Bartali, come Girardengo e Binda, ha anche la riflessiva saggezza e l’orgoglio pungente» (Puck, l’Unità, 1/1/1957) • «Baldini, che effetto le fa essere fra i grandi del Giro? “Un enorme piacere”» (Giorgio Viberti, La Stampa, 1/5/2017).
Titoli di testa «Il ciclismo di oggi è molto diverso da quello della sua epoca? “Bici, strade e allenamenti sono molto migliorati, ma la fatica, i sacrifici e l’anima di questo sport sono sempre gli stessi”» (Viberti).
Vita Nato a Villanova, paesino dell’entroterra romagnolo, a cinque chilometri da Forlì. Famiglia di contadini. Ercole è il quarto di sei figli maschi • «La sua adolescenza non è molto diversa da quella dei suoi coetanei, almeno fino all’età di 17 anni, quando la passione per la bicicletta lo induce a lasciare gli studi» (ercolebaldini.it). «Che fosse un tipo fuori dal normale lo si era capito presto: nel 1954, a soli 21 anni e quando era ancora dilettante, si presenta al Vigorelli di Milano con l’intento di battere il record dell’ora stabilito dal più grande cronoman di tutti i tempi, Jacques Anquetil. Baldini vola, giro dopo giro, fino a fermare i cronometri alla media di 46,393. È il nuovo record: nell’albo d’oro dell’Ora, dopo Coppi e Anquetil, adesso c’è il suo nome» (Marco Pastonesi, la Repubblica, 28/5/2019). Nel 1956 riesce a qualificarsi alle Olimpiadi di Melbourne. Per arrivare in Australia deve fare undici scali aerei. Quand si presenta alle prove su strada, i pronostici gli lasciano poche speranze. «Il percorso, con uno strappo nel finale, sembra favorire atleti di altra stazza, capaci di scattare con leggerezza e fare il vuoto. Invece, su quello strappo, Baldini stacca tutti e vola da solo verso il traguardo» (Pastonesi, Rep). «“Gli spettatori che affollavano la zona del traguardo erano in maggioranza emigrati italiani, e dal podio li scorgevo abbracciarsi, rotolarsi sull’erba, baciarsi, piangere di gioia, urlare tutta la loro felicità, invocare il mio nome. Ricordo commosso la medaglia che avevo al collo e la bandiera tricolore, che saliva lentamente sul pennone centrale. Ma ricordo pure che stavo aspettando che le note dell’inno di Mameli uscissero dagli altoparlanti. Niente, invece. Chissà, il disco s’era rotto o forse era andato smarrito”. Ci furono lunghi attimi di silenzioso imbarazzo da parte degli organizzatori. Poi, all’improvviso, uno spettatore attaccò a cantare a voce spiegata, imitato immediatamente da centinaia di persone. “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa”. Quello spettatore era Gualberto Gennari, un italiano che da qualche anno era emigrato in Australia. “Cantavano tutti e anch’io mi sono unito al coro. Dopo un po’ ho dovuto smettere, però, perché mi veniva da piangere. Una scena toccante e una commozione indescrivibile, il momento più bello di tutta la mia carriera» (Mario Gherarducci, Corriere della Sera, 15/2/1997).
Imprese «Domenica 31 agosto 1958. Reims, Francia. Mondiale dei professionisti su strada. Per la prima volta trasmesso in diretta dalla Rai, in bianco e nero, più nero che bianco il cielo gonfio di pioggia. Ercole Baldini: “Riunione della vigilia. Il c.t.: Alfredo Binda. E otto corridori: Fausto Coppi, Gastone Nencini, Nino Defilippis, Arnaldo Pambianco, Vito Favero, Aldo Moser, Alfredo Sabbadin e io. Binda ci disse che era rammaricato di non poter seguire la corsa sull’ammiraglia, queste erano le regole, e che delegava Coppi ad assumere il ruolo di c.t. in bici. Avremmo dovuto ascoltarlo e obbedirgli, come se fosse lui. Pensai che fosse giusto così: Coppi era il più esperto, quasi 39 anni, 11 più di Gastone, 13 più di Nino, 14 più di me. Binda aggiunse che avrebbe dovuto esserci sempre un azzurro in una fuga di tre, quattro o cinque corridori, due o più azzurri, in proporzione, se la fuga fosse stata più numerosa. Pensai che anche questa fosse una buona decisione. Poi la notte, tranquilla, in camera con Arnaldo. Il giorno dopo, la corsa”. Pronti-via. "Sessantasette corridori. Le colline dello Champagne, una salita chiamata Calvario. Al secondo giro attaccò Louison Bobet, subito inseguito da Nencini e dall’olandese Gerrit Voorting. Avevano un centinaio di metri di vantaggio quando Coppi mi ordinò: ’Vai anche tu’. ’Ma sono in tre - risposi pensando al piano di Binda - e c’è già Nencini’. ’Vai anche tu’, mi ripeté Coppi. Ero indeciso, ma Coppi insistette. Scattai. Li ripresi in un chilometro. Nencini, quando mi vide, sembrava contrariato: ’Ma che fai qui?’. ’Me l’ha ordinato Coppi’, gli risposi. Si rassegnò. La fuga decollò. Cambi regolari. Finché, andando avanti, vedevo che gli altri tre, quando passavano in testa a tirare, facevano calare la velocità. Il primo a cedere fu Voorting. A due giri e mezzo dall’arrivo, Nencini mi venne vicino: ’Non ce la fo più’. Poi aggiunse: ’Ho visto che Bobet ha appena preso il borraccino. Scatta ora. Fra 10 chilometri staccarlo sarà più difficile’". Il borraccino conteneva "la bomba": caffè ristretti. "Una botta di energia, ma non immediata. Così, sulla salita, scattai. Senza voltarmi. Senza sapere che cosa succedesse dietro di me. Da solo feci il giro più veloce. Guadagnai un paio di minuti di vantaggio. E con quelli andai al traguardo. Primo io, secondo Bobet, che si era ripreso, a 2’09", terzo André Darrigade, che vinse la volata del gruppo, a 3’47". Nei 26 arrivati, quarto Favero e diciassettesimo Coppi. L’inno, la medaglia, la maglia. Il premio, quello ufficiale: l’equivalente di 120-130mila lire. Il premio del mio sponsor, la Legnano: una mucca. Nel contratto, che avevo firmato ancora prima dell’Olimpiade di Melbourne 1956, non erano previste clausole in caso di vittorie al Mondiale. Così le famiglie Marazzi e Gnec, titolari dell’azienda Legnano, mi fecero quel regalo. Sistemai la mucca a Villanova di Forlì, a casa, nella stalla, e credo che ne fu felice anche lei. Avrei guadagnato di più nelle riunioni. La sera stessa del Mondiale, Nino Recalcati, l’organizzatore della maggior parte delle kermesse e delle serate, mi disse che mi volevano in un circuito in Lombardia, e che mi avrebbero dato 200mila lire più di Coppi, che fino a quel momento era di gran lunga il più pagato. Ed è da quel momento che la Dama Bianca, ingelosita dai miei guadagni, me la giurò”» (Pastonesi, Rep).
Vizi «Sapeva divertirsi, Ercole Baldini. Al classico (“Donne e motori: ne ho sempre fatto una passione”), aggiungeva un’altra proibizione (“La buona tavola”), che poi era il suo vero problema (“Ingrassavo solo a guardare quello che c’era in tavola”, e se con donne e motori riusciva a frenare, “davanti a un piatto di fettuccine o di ostriche non riuscivo a tirarmi indietro”)» (Pastonesi, Foglio).
Sophia «Ebbi la soddisfazione di portare Sophia Loren sul mio letto. Un giorno mi volle conoscere e la feci accomodare nella mia stanza d’albergo. Nessuna malizia, stavano massaggiandomi e lei si è seduta sul letto per farmi i complimenti».
Papi Il 1° luglio 1959, assieme alla madre sessantenne, signora Angelina, fu ricevuto da Pio XII nella sala del Tronetto in Vaticano. Parlarono per una decina di minuti. A un certo punto il Papa gli disse: «Lei si è fatto molto onore e ciò ci arreca tanto maggiore piacere in quanto sappiamo che lei fa aperta professione della sua fede religiosa. Abbiamo piena fiducia che, sia nelle affermazioni sportive, sia come cattolico e credente, lei sarà un degno continuatore delle virtù di Gino Bartali». Poi donò a Baldini una medaglia ricordo e alla madre una coroncina del rosario e posò con entrambi per una fotografia. Quindi tracciò un segno di benedizione sul distintivo dell’Azione cattolica che Baldini portava all’occhiello. Quella sera stessa, sulla pista dell’Appio, sfidò Leandro Faggin, campione italiano dell’inseguimento sui 10 km, e vinse.
Amori Alle 9 del mattino del 9 novembre 1959, Baldini impalmò Wanda Beccari, figlia del cav. Anselmo Beccari, proprietario di un salumificio e dirigente di diverse formazioni ciclistiche romagnole. Aveva promesso di sposarla a Melbourne, subito dopo aver vinto il titolo olimpico. Lui aveva 26 anni, lei 22. La cerimonia si tenne nella chiesetta della Madonna del Ghisallo, a Magreglio, in cima alla Valsassina, tradizionale tappa del Giro di Lombardia. Una cerimonia «come si deve», da borghesi agiati. «Un’ora buona prima dell’inizio del rito s’era appostato, davanti alla chiesuola, un ometto sulla cinquantina, sparuto, remissivo, ma tenace, che indossava un maglione e un berrettuccio da corridore, e si teneva stretta una bicicletta da corsa. Nessuno riuscì a smuoverlo di lì, e quando passò Baldini, il mite uomo che forse non è mai riuscito neppure ad essere uno dei “portatori d’acqua” delle corse ciclistiche, lo fissò con sconfinata ammirazione, ma senza invidia: e gli bastò che gli obbiettivi dei fotoreporters lo cogliessero accanto al campione» (Mario Cervi, Corriere della Sera, 10/11/1959). La mattinata era gelida. Lui, in abito grigioferro e cravatta perlacea, si piegava pazientemente a salutare gli ammiratori. Lei arrivò accompagnata dal padre: in abito bianco corto, i capelli castano chiari coperti da un velo, il viso un po’ esangue — «ma forse era infreddolita, con quel leggero abbigliamento, dall’aria di montagna» - il sorriso timido. «Gli altoparlanti posti sul campanile del tempio intonarono musiche sacre, gli sposi e i parenti si accostarono all’altare. Assiepati sulla soglia alcuni ragazzi riconoscevano, ad uno ad uno, personaggi che hanno un loro nome, di risonanza vasta o limitata, nell’ambiente ciclistico: Adriano Rodoni, presidente dell’Unione ciclistica internazionale, Giuseppe Ambrosini, direttore della Gazzetta dello Sport, il manager Proietti, Eberardo Pavesi, il massaggiatore Villa, i corridori Moser, Bruni, Assirelli, Pambianco, Tinazzi, Albani, Fallarmi. I “big” Bartali, Coppi, Magni, Anquetil, Bobet, Rivière avevano telegrafato. Nel momento in cui entrava nel Santuario, Ercole Baldini volse lo sguardo verso una vetrinetta posta alla sua sinistra: vide la sua maglia olimpionica di Melbourne, bianca con i cinque cerchi multicolori, indossata nel ’56; era vicino alle maglie gialle di Bartali e Coppi, alla maglia rosa di Fiorenzo Magni» (Cervi). Prima della messa, il prete dette lettura di un telegramma di auguri del Papa. Dopo la messa, il rifresco («l’intermezzo gastronomico sarebbe stato indubbiamente di ben altro impegno se il matrimonio si fosse svolto in Romagna»). Poi gli sposi partirono per la Spagna.
Ritiro «Speravo di fare almeno altri 3-4 anni al top, invece la mia rovina fu un’operazione di appendicite acuta a fine 1958. Dopo non sono più stato lo stesso di prima» (Viberti). Oggi «con estrema modestia Baldini sostiene di essere stato soltanto una meteora: “Poi non mantenni le promesse, le attese, gli obiettivi. Facevo sempre più fatica e sempre meno risultati”» (Pastonesi, Foglio). «I 75 chili del mio peso-forma cominciarono ad aumentare sempre più vertiginosamente. Vinsi ancora qualche corsa, specie a cronometro, ma nel ’64 conclusi la stagione senza un successo: era arrivato il momento di smettere».
Pensione Dopo l’addio alle gare, «si è inventato una nuova vita e ha fatto fortuna con le ceramiche. La sua vacanza tipo funzionava così: volo in Sudamerica, incontri con i commercianti per piazzare forniture di piastrelle, recupero delle spese di viaggio» (Mattia Chiusano, la Repubblica, 14/10/1995).
Dolore La moglie, Wanda Beccaria, morì nel 2009. Ercole le organizzò i funerali il 9 novembre alla Madonna del Ghisallo, nello stesso santuario dove, il 9 novembre di cinquant’anni prima, si erano sposati.
Consolazione Rimasto solo, si è legato a una Maria Criscuolo. «Ho 80 anni, sono vedova da 24. Ho amato molto mio marito: pensi, si chiamava Baldini anche lui. Dopo la sua morte, mi iscrissi a un’agenzia matrimoniale ma mi proponevano solo gente che voleva venire a letto con me. Poi mi chiamò la titolare per una proposta importante dai figli di un vedovo, un uomo famoso che loro volevano sistemare. Non avrei accettato uno spazzino che faticava ad arrivare a fine mese, ma non immaginavo un Baldini. Ci siamo visti, piaciuti e mai più separati» (a Bonarrigo).
Curiosità Vive in una casa-museo in Romagna, costruita negli anni Sessanta, da un disegno di Le Corbusier • Hobby: il giardinaggio • Secondo Casadei gli ha dedicato una canzone (Il treno di Forlì, ascoltala qui) • È il più anziano corridore vivente ad aver vinto il Giro d’Italia • Il suo ciclista preferito di oggi è Filippo Ganna («Ganna come il primo vincitore del Giro nel 1909. Un gran bel cognome») • È stato direttore sportivo per alcune direttore sportivo per alcune formazioni professionistiche, Presidente dell’Associazione Ciclisti e Presidente della Lega • Oggi «Ercole ha perso i suoi smisurati poteri (non vede, sente poco, non si regge in piedi) e per muoversi nel parco della sua villa deve aggrapparsi a una mano amica» (Bonarrigo). «È un uomo fragile, conteso a colpi di carte bollate e perizie psichiatriche tra la compagna e i due figli, Mino e Riziero» • Nel 2019 i figli hanno buttato fuori di casa la sua compagna fuori di casa, accusandola di rubare. La versione di Maria Criscuolo: «Ercole senza di me si sarebbe lasciato morire, io sono tornata accettando di essere trattata quasi da donna di malaffare». La versione di Mino Baldini: «All’inizio non andava male, poi ci siamo accorti che sparivano centinaia di migliaia di euro. Papà è soggiogato da quella donna e per questo abbiamo dovuto chiedere un amministratore di sostegno del patrimonio. Mio padre è un uomo ricchissimo: ha guadagnato tanto ma soprattutto ha sposato bene. Lui non aveva il pallino degli affari ma mamma era l’erede di uno dei più grandi produttori di ceramiche di Romagna». Ancora Maria: «Certo, mi ha fatto dei regali importanti. Certo, da poco mi ha intestato due polizze vita: sono grosse cifre, anche se non so di preciso quanto. Ma io non voglio le proprietà dei figli, non voglio sfrattarli: sto bene di mio, loro hanno un patrimonio enorme. Ma hanno tagliato fuori Ercole dalla vita e vorrebbero sbarazzarsi di me». La situazione è ingarbugliatissima. Il giudice ha dato torto ai figli, la Criscuolo non ha rubato ma ricevuto legittime donazioni, Baldini è stato affidato a un amministratore di sostegno che gira alla compagna 5 mila euro al mese, si sta valutando persino l’interdizione, figli e padre si sono tolti il saluto, hanno iniziato a litigare anche per il testamento, gli amici sono spariti. Il perito del Tribunale di Forlì ha scritto: «Baldini teme l’incontro con gli amici più intimi perché quanto sta accadendo con la famiglia pone le basi per un totale isolamento affettivo e relazionale» • «Lui, Ercole, fatica a tirare fuori le parole: “Non ho più bei ricordi: ho vinto Mondiali e Olimpiadi, ho corso con Coppi e Bartali. Ma ora è sparito tutto”» (Bonarrigo).
Titoli di coda Nel 2017, quando il Giro passò da Forlì, anche se ormai ci vedeva poco e aveva problemi di salute, ha tenuto ad esserci. «Il ciclismo è la mia vita, per la bici ho sacrificato gli studi e ho lasciato il lavoro con mio padre e i miei fratelli. Ma sono più fiero di quello che ho fatto in bici che se fossi diventato dottore o ingegnere. E la mia carriera vale come una laurea» (Viberti).