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 2022  gennaio 27 Giovedì calendario

Recovery, il rischio di una revisione


L’appuntamento è per giugno. E l’Italia stavolta rischia di finire sotto pressione a Bruxelles non per aver deluso, ma per il motivo opposto: l’economia è andata meglio di come si temesse quando vennero ripartite le risorse del Recovery nell’estate del 2020, mentre altri Paesi sono andati peggio. Si dovrà dunque capire se, alla prova dei fatti, una parte dei miliardi assegnati a Roma un anno e mezzo fa dovranno essere redistribuiti a chi è rimasto più indietro.
Le regole del resto lo prevedevano. Il 70% delle somme attribuite all’Italia è definitivo, mentre il restante 30% – circa 60 miliardi – potrebbe essere in parte rimodulato. L’economia infatti ha chiuso il 2021 del 2,6% più grande di come prevedeva la Commissione europea quando Giuseppe Conte, allora premier, si fece fotografare a Bruxelles con il pugno stretto in segno di esultanza per aver strappato un aiuto commisurato a un collasso economico. La Spagna è invece dell’1,3% al di sotto e la Germania lo è dello 0,5%. Alla fine non dovrebbero esserci enormi spostamenti di denaro, ma quella che si sta aprendo a Bruxelles è un’altra partita delicata. Uno dei molti fronti, solo per restare al Recovery Fund, per i quali nel 2022 servirà a Roma un governo che lavori duramente. Non un governo da campagna elettorale, qualunque cosa accada negli scrutini per il Quirinale dei prossimi giorni.
Il fronte dei sindaci
Che l’esecutivo – ogni esecutivo, oggi e in futuro – debba tenere la burocrazia a un guinzaglio corto risulta chiaro del resto anche da ciò che sta accadendo sul Recovery nelle grandi città. Nei giorni scorsi i sindaci di Roma, Milano, Napoli e Torino hanno scritto riservatamente alla presidenza del Consiglio e al ministro dell’Economia, Daniele Franco, per protestare sulla prima infornata di bandi dei circa 200 miliardi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Le critiche di Roberto Gualtieri, Giuseppe Sala, Gaetano Manfredi e Stefano Lo Russo non sono rivolte al premier Mario Draghi o a Franco, ma alle amministrazioni di vari ministeri (Istruzione, Interno e Lavoro soprattutto), cadute subito in errori piuttosto goffi sull’allocazione dei fondi. Per la riqualificazione energetica si prevede di finanziare un’unica scuola per comune, poco importa che si tratti di Bondeno in provincia di Ferrara (15 mila residenti) o di Roma e Milano che hanno milioni di abitanti. Non risulta alcun criterio demografico neanche su mense e palestre nuove (al massimo quattro per comune, di qualunque dimensione). Milano rischia addirittura di restare fuori perché i suoi «centri di cottura» che servono più scuole non sono compresi nei progetti. Il tetto sui bandi da 3,3 miliardi per la rigenerazione urbana è fissato poi ad appena venti milioni per ciascun comune – poco per i grandi centri – e problemi simili si ripresentano nei fondi per il sociale da distribuire localmente alle Agenzie di tutela della Salute. C’è il rischio che le grandi città ricevano ben poco dal Pnrr mentre gli enti più piccoli, inondati di soldi, non riescono a spendere. Insomma, al via dei bandi si è subito visto che nella burocrazia c’è ancora chi lavora senza pensare a come ottenere risultati concreti. Daniele Franco e Palazzo Chigi hanno già risposto ai sindaci delle grandi città e si sta aprendo un confronto. Ma il campanello d’allarme sulla capacità dell’amministrazione di mettere in pratica i progetti del Pnrr è suonato subito.
Impegni e scadenze
Anche perché gli undici mesi del 2022 che restano peseranno moltissimo per il Pnrr, oggi solo agli inizi. Nel 2021 sono stati stesi i programmi di massima, le grandi cornici delle riforme e i primi bandi per progetti pubblici. Ma da adesso serviranno velocità e capillarità diverse. L’esame di un documento di governo non ancora reso pubblico mostra che, oltre al lavoro quotidiano di dispiegamento dei bandi già lanciati, fra «milestone» (traguardi) e «target» (obiettivi) l’Italia nel 2022 avrà 99 appuntamenti, al rispetto dei quali sono vincolati i pagamenti. Di questi sei sono per marzo, 38 per giugno e i restanti entro l’anno. I numeri in sé dicono poco, perché fra le assegnazioni ne figurano anche di meno soggette a controversie: fra le altre l’avvio di una piattaforma web «sulla cultura ambientale» o la «sicurezza sismica dei luoghi di culto» (benché poi i criteri di suddivisione dei fondi siano sempre delicati). In questo centinaio di azioni del 2022 però circa un quarto ha un vero e proprio impatto politico, finendo per incidere sul consenso di sacche di elettori di tutte le forze della maggioranza di unità nazionale.
I 24 dossier scottanti
Il caso più palese riguarda un «milestone» e un «target» nella lotta all’evasione fiscale. Entro quest’anno l’Agenzia delle Entrate deve mandare 432 mila «lettere di conformità» in più, nelle quali si chiede al contribuente di verificare la correttezza della sua dichiarazione dei redditi ed eventualmente di correggerla. Da quell’iniziativa il Pnrr prevede un obiettivo di aumento delle entrate fiscali di 319,5 milioni solo per quest’anno, una media di 740 euro per ciascuna lettera di conformità. Ma il documento, come fa per ogni misura, indica anche i «rischi» di fallimento: «Ritardo nel completamento delle procedure di assunzione di personale altamente specializzato» e «nell’attuazione dell’infrastruttura tecnologica necessaria». Non è detto che per esempio la Lega o Forza Italia gradiscano questo aumento obbligatorio del 15% del gettito da lettere di conformità.
Ma non mancano le misure che toccano le basi elettorali di altre forze. Forse il Pd e sicuramente gran parte del sindacato potrebbe non gradire una riforma scolastica che prevede «una progressione di carriera chiaramente collegata alla valutazione delle prestazioni» (con i relativi rischi di esecuzione indicati nel documento di governo: «Procedura parlamentare per la legge di abilitazione»). Così come a M5S non piacerà il programma (decreto atteso entro giugno) che non usa la parola «termovalorizzatori» ma parla di «adattare la rete di impianti necessari per la gestione integrata dei rifiuti».
Insomma, le curve politicamente pericolose del Recovery sono molte e il motore dell’amministrazione è acciaccato come sempre. Chi sognava nel 2022 un governo elettorale, deve aver passato il 2021 in un altro continente.