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 2022  gennaio 27 Giovedì calendario

Silvia D’Amico si racconta

Famiglia, croce e delizia. Da sempre Gabriele Muccino la mette al centro delle sue storie per arrivare alla sconsolante conclusione che è la culla di conflitti, frustrazioni, traumi. Non fa eccezione la drammatica serie diretta dal regista e appena andata in onda su Sky: A casa tutti bene, protagonista una dinastia di ristoratori romani divisi da incomprensioni, avidità, segreti. Nell’ottimo cast spiccava Silvia D’Amico nei panni di Sara Restuccia, capoazienda alla morte del padre e moglie tradita. Romana di Torrevecchia, 35 anni, presenza vivace e nome profetico (si è diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico), emersa nel 2014 nella commedia Fino a qui tutto bene di Roan Johnson e lanciata poi dal disperato affresco dei margini di Roma Non essere cattivo di Claudio Caligari, Silvia incarna la nuova generazione delle attrici che, nel segno del Women’s Empowerment, portano sul set idee, suggerimenti, convinzioni. Irresistibile quando è comica, dà i brividi nelle storie drammatiche. Vedere per credere, dal 28 gennaio su Sky, la serie Christian di Stefano Lodovichi, «parabola cristologica» ambientata a Corviale: al fianco di Edoardo Pesce, l’attrice fa una tossicodipendente, poi sarà Edda Ciano nel docu-film Quei due di Wilma Labate, quindi affronterà la seconda stagione di A casa tutti bene.
Quanto le appartengono le turbolente dinamiche della famiglia descritta da Muccino? 
«Nemmeno un po’. La serie è quanto di più lontano dalla mia esperienza. Sono cresciuta in un clima sereno, armonico, costruttivo. Mia madre ha insegnato a mio fratello Alessandro detto Pato e me a volerci sempre bene e a sostenerci a vicenda. Infatti siamo unitissimi. Ma proprio per queste differenze di fondo, è stato molto interessante interpretare Sara Restuccia».
E com’è entrata nei panni di questa donna forte e imperiosa ma arrabbiata, delusa?
«È stata una prova difficile, il mio primo ruolo di donna matura. Tra sorriso e arroganza, Sara possedeva però anche la mia solidità. Sono ancora in cerca della mia femminilità e Muccino mi ha accompagnato a trovarla accettando la visione non stereotipata ma sfaccettata che avevo del personaggio».
Lei progetta di formare una famiglia?
«Certo. Sto attraversando un bellissimo momento lavorativo ma nei miei piani c’è proprio la famiglia, che considero il porto sicuro in cui tornare, una certezza».
In Europa non si fanno più figli, lei ha intenzione di averne?
«Sicuramente. In questo mondo così incerto mettere al mondo un bambino rappresenta una bella responsabilità, ma io voglio prendermela».
Sembra invece non avere famiglia la drogata che interpreta in Christian: dove ha trovato l’ispirazione?
«Ho ripensato al mio ruolo disperato in Non essere cattivo, meravigliosa esperienza della mia vita, all’iconografia di Maria Maddalena e ho aggiunto la mia sensibilità, un po’ di ironia, delicatezza».
Anche sul set, le donne oggi vengono più ascoltate?
«Senza dubbio. All’inizio questo fatto mi faceva paura perché riguarda la crescita e l’accettazione di sé. Ma essere donna oggi è una bellissima cosa. Anche nel cinema».
Voler esprimere le sue idee l’ha mai penalizzata?
«No, è sempre stato un punto a mio favore. Sono talmente sfacciata che non ho mai nascosto la mia personalità: o mi accetti come sono, o tanto peggio. Non è un problema se non piaccio a qualcuno. Mi sento libera di esprimermi».
Le attrici oggi si battono per essere pagate come i maschi. A lei è capitato di prendere meno soldi di un suo collega?
«No. Per fortuna ho un agente agguerritissimo, Daniele Orazi, che strappa sempre il massimo».
Cosa ha significato per lei crescere in periferia?
«Un arricchimento. Ho osservato e metabolizzato tante cose. Anche se non vengo dai margini ma da una famiglia istruita di bancari, sono partita dal mio quartiere e poi ho visto tutto il resto».
E la romanità quanto è importante nella sua professione?
«È un valore aggiunto. Roma è un universo variegato in cui ogni quartiere ti rivela una faccia diversa della realtà. Dicono che sia una città difficile da cui si vuole scappare. Nemmeno per sogno. E uno scenario magnifico che a noi attori regala spensieratezza, disincanto, una visione rilassata della vita. Se perdo una parte in un film non mi dispero, penso che ne avrò sicuramente un’altra».