Il Messaggero, 27 gennaio 2022
I sette nani di Biancaneve finiscono nel mirino
Inclusione, accoglienza, accettazione. Travolta dell’onda nera del #blacklivesmatter e dagli scandali del #MeToo, terrorizzata dai boicottaggi e ingolosita da nuove e inesplorate nicchie di business, Hollywood si è generosamente convertita alla scoperta dell’altro. Solo che adesso ha un nuovo problema: capire chi, tra i tantissimi altri, debba essere incluso per primo nella torta. La punta dell’iceberg è emersa ieri, con le accuse lanciate da Peter Dinklage, l’attore de Il Trono di Spade affetto da acondroplasia (il termine nanismo viene accuratamente evitato nelle cronache della vicenda) nei confronti della versione live action di Biancaneve messa in cantiere da Disney. Un progetto su cui l’azienda si era già scottata lo scorso maggio, quando la scure del moralismo social si era abbattuta sul bacio dato dal principe a Biancaneve, ritenuto da alcune influencer americane un vero e proprio abuso («Il principe scrivevano -si approfitta di lei mentre dorme»).
IL COPIONE
Per questo grande risalto era stato dato alla mano femminile dietro al copione, quella della regista-attrice Greta Gerwig, e alla protagonista, l’attrice di origini colombiane Rachel Zegler. Un «aggiornamento inclusivo di Biancaneve», aveva comunicato con orgoglio l’azienda. Ma Dinklage, ospite del podcast Wtf di Marc Maron, martedì ha rispedito al mittente lo zelo inclusivo: «Vi sentite tanto progressisti ad avere una latina come protagonista, e poi continuate con quella storia del c su sette nani che vivono insieme in una caverna? Che ca state facendo?».
Immediata la risposta di Disney: «Per evitare di rafforzare gli stereotipi del film originale, ci siamo consultati con membri della comunità di persone affette da nanismo». Una risposta che tradisce il nervosismo per una legittima tensione, quella all’inclusione, che rischia di diventare per le produzioni un boomerang fatale.
«E allora, la presenza di una matrigna gelosa che chiede al cacciatore il cuore di Biancaneve non dovrebbe offendermi come donna? E il fatto che il cuore venga strappato a un cerbiatto non dovrebbe turbarmi come animalista? Mi pare che stiamo esagerando racconta Michela Andreozzi, regista Fissare quote è sacrosanto per le categorie che sono ghettizzate, come gli attori transessuali. Ma passare sempre attraverso il setaccio dell’inclusività obbligatoria fa perdere di vista il valore della scelta artistica».
CONSIDERAZIONE
Proprio gli attori transessuali stanno vivendo a Hollywood un periodo di relativa considerazione, coronata dall’ingresso annunciato ieri della trans Ivory Aquino nel cast del nuovo Batgirl, nei panni di Alysia Yeoh, migliore amica della protagonista Leslie Grace.
Una scelta doppiamente importante ai fini dell’inclusione, visto che Aquino è anche di origini filippine – oltre che figlia della prima presidente donna del Paese, Corazon Aquino. Un dettaglio, quello della doppia alterità (non caucasico, non binario) che rischia di diventare sempre più importante in un’epoca in cui per accedere agli Oscar come decretato dalla nuova politica di apertura dell’Academy sarà necessario soddisfare più di un requisito di inclusività nel cast e nella troupe.
«Trovo giusto offrire i posti di lavoro nelle troupe anche a persone che spesso vengono tagliate fuori, e da questo punto di vista le piattaforme sono giustamente esigenti commenta Cosimo Gomez, autore del film politicamente scorretto sulla disabilità Brutti e cattivi, ora al lavoro per Netflix su un film d’azione con Alessandro Gassman ma il mio film sulla disabilità in America non lo avrei mai potuto fare. E dire che le comunità dei disabili sono state entusiaste di essere state rappresentate in modo provocatorio da attori non disabili».
CATEGORIE
Difficile e spinoso rinchiudere in categorie la disabilità, tagliata fuori dall’acronimo Bipoc (neri, indigeni e persone di colore) con cui a Hollywood ci si riferisce alle categorie sottorappresentate. Per una comunità soddisfatta del trattamento cinematografico (per esempio quella dei sordi americana, gratificata da Amazon nel film Sound of Metal di Darius Marder) ce ne sono altre che chiedono attenzione, come quella degli albini che lamenta, per mezzo della National Organization for Albinisim and Hypopigmentation (Noah), l’errata rappresentazione, esclusivamente in chiave negativa, che ne dà Hollywood. «Bisogna considerare che la situazione negli Stati Uniti è particolare. Là il razzismo è forte, e misure apparentemente estreme sono necessarie per riequilibrare le ingiustizie spiega Gabriele Mainetti, da poco al cinema con Freaks Out io scrivendo il mio film non ho pensato programmaticamente di avere una protagonista femminile: è successo, perché l’inclusione noi l’abbiamo introiettata. Così tanto che quasi nessuno lo ha fatto notare, e oggi alcuni produttori americani mi accusano di non aver messo abbastanza elementi femminili nei miei film».
QUOTE
E mentre le emittenti americane si affrettano a introdurre quote – la Cbs ha imposto tra gli autori un quota del 40 per cento di neri, indigeni o persone di colore, la Abc Entertainment ha lanciato una serie di standard inclusivi già applicati da piattaforme come Netflix, Apple, Amazon, Disney un sempre maggior numero di comunità insorge pretendendo attenzione. Spesso, ironicamente, a discapito degli altri. È il caso della polemica scoppiata all’inaugurazione del museo della storia degli Oscar, presentato in pompa magna a Los Angeles, a settembre. Un edificio progettato per raccontare la storia dell’industria cinematografica Usa che tuttavia, come hanno fatto notare alcuni commentatori, ha dimenticato di dare spazio a chi quell’industria l’ha fondata, gli ebrei emigrati negli States. Al posto dei pionieri, il museo dedica una sezione speciale a due registi ispiratori della contemporaneità: l’afroamericano Spike Lee e lo spagnolo Pedro Almodóvar.