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 2022  gennaio 26 Mercoledì calendario

Periscopio

Ai filosofi e agli intellettuali di tutto il mondo piacerebbe uno come Marcello Pera, guru popperiano, che vanta più di un amico nei circoli di Washington come l’American Enterprise Institute e, certamente, può contare in queste ore sulle preghiere del Papa emerito Joseph Ratzinger ma,dì contro, avrebbe parte dei pubblici ministeri che dal Csm, con lui al Colle, verrebbero rimessi in riga. Luigi Bisignani. Il Tempo.

Giorgia Meloni e Matteo Salvini, fino all’ultimo, hanno dato naturalmente ragione al padre fondatore del centrodestra: «Presidente della Repubblica? Tu che passi in rassegna i corazzieri guardandoli dal basso in alto? Come no!». Ma si vedeva benissimo che tra loro si scambiavano sorrisetti come Nicolas Sarkozy e Angela Merkel nel 2011, quando a Berlusconi, presidente del consiglio, fu sfilata la sedia di sotto il sedere. Diego Gabutti. ItaliaOggi.

Un membro della segreteria Pd affida all’incontro tra Letta e Salvini un «ruolo decisivo, perché sono a capo degli ultimi due partiti rimasti». A patto che i loro partiti li seguano a scrutinio segreto. Francesco Verderami. Corsera.

Se Draghi fosse scelto come Capo dello Stato, per palazzo Chigi sarebbe quasi inevitabile l’individuazione di un altro tecnico, che sia Marta Cartabia, Vittorio Colao o Daniele Franco (questi i nomi che circolano) e avremmo il paradosso di due non eletti al vertice delle istituzioni. Intendiamoci, tutte degnissime persone, ma con che faccia alle prossime elezioni i partiti chiederanno ai cittadini di non disertare le urne, se poi i primi a farsi beffe del risultato del voto saranno stati loro, affidando gli incarichi più importanti a persone mai elette? In che modo la politica potrà continuare a essere attrattiva se per entrare nella stanza dei bottoni si continuerà a passare dal retro? Pierfrancesco De Robertis. QN.

Si chiude definitivamente la Seconda Repubblica e si avvia un nuovo ciclo. Chiunque sarà presidente della Repubblica farebbe bene a nominare sia Berlusconi che Prodi senatori a vita. Sarebbe una pacificazione su cui costruire la Terza Repubblica. Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria. Agi.

L’eminenza grigia aveva questo di bello, era grigia. Agiva nell’ombra, influente ma poco visibile. Quando si dice «éminence grise» si pensa a Richelieu, ma l’appellativo spetta al suo segretario, un frate che si faceva chiamare solamente padre Giuseppe da Parigi. Aldo Grasso. Corsera.

Ovunque Dante suscita emozione e commozione, si piange e si ride, perché è all’origine della nostra identità, qualcuno dice: «Eh ma ai tempi di Dante l’Italia non esisteva». Non esisteva come Stato, per Dante era un’idea, era un patrimonio di valori e cultura. L’Italia non è una nazione nata dalla politica, ma dalla cultura. Quando nasce, nel 1861, esisteva già per gli affreschi di Giotto e per Dante che ci ha dato una lingua: è stato il primo a definire l’Italia il Belpaese. Aldo Cazzullo. Il Corriere del Veneto.

Alberto Brambilla, a proposito della ineluttabilità riforma fiscale ricorda che le connessioni per cellulari in Italia sono 77,7 milioni, il 128% della popolazione, segno evidente che anche la maggioranza dei presunti poveri hanno lo smartphone. C’è poi il gioco d’azzardo, con ogni sorta di gratta e vinci, per il quale si spendono 125 miliardi l’anno, più della spesa sanitaria. Quanto alle auto, il parco circolante è di 52,4 milioni di veicoli, di cui 39,4 milioni sono auto: solo il Lussemburgo ha più auto pro-capite di noi in Europa. «Non male per un paese di poveri». Tino Oldani. ItaliaOggi.

La tedesca Sofia non è una semplice torera, affronta i tori a cavallo, uno spettacolo raro. Ha studiato Pferdewissenschaft, scienza equina. «E’ una straordinaria esperienza, riuscire a gestire la forza di due animali come un toro e un cavallo», dichiara Clara alla Süddeutsche Zeitung. Un gioco di destrezza, il cavallo è più veloce sulla distanza, il toro più rapido nello scatto breve. Il cavallo del rejoero è senza protezione, come quella usata dai picadores, uno sbaglio e sarà sventrato. Clara, per la crudeltà contro i cavalli, non per i tori, rischia in Germania una condanna fino a tre anni. Roberto Giardina (ItaliaOggi).

Alfonso Belardinelli già sette anni fa criticava Giorgio Agamben e Massimo Cacciari, i due filosofi che più hanno denunciato il governo (secondo loro) tirannico della pandemia e per questo sono stati anche parecchio criticati, almeno quanto ieri erano stati celebrati. Del primo aveva colto chiaramente dove sarebbe andato a parare: «Il solo vero nemico di Agamben» scriveva «sono sempre e comunque le democrazie capitalistiche, il loro essere “sistema”. Secondo questo metodo critico il primo e unico compito è smascherare queste democrazie mostrando che in realtà sono dittature». Del secondo aveva descritto precisamente la funzione scenica della sua maschera: «A Cacciari va comunque riconosciuto un merito. Come icona e parodia dell’intelligenza ha raggiunto la perfezione». (Nicola Mirenzi). Huffington Post.

Il mio maestro è stato Renato Bauducco, vicecaporedattore nella redazione di Alba. Veniva dalla Gazzetta del Popolo, il quotidiano torinese che nel dopoguerra aveva assunto Giorgio Bocca. Mi ha insegnato i trucchi del mestiere. Quando c’era da tagliare un pezzo, mi diceva: «Lo dobbiamo bonificare. Comincia eliminando aggettivi e avverbi superflui». Antonio Rizzolo, direttore di Famiglia Cristiana (Stefano Lorenzetto), l’Arena.

Il cinema emiliano parte dalla Rimini felliniana, «dove nulla si sa e tutto si immagina», con il cinema Fulgor, il Grand’Hotel («Signor principe, gradisca…»), il molo dei Vitelloni; ma coinvolge anche Brescello con il piccolo mondo di don Camillo e Peppone, e la Bassa Romagna di Novecento, tra Busseto, set principale del film, alle terme liberty di Salsomaggiore, fino al centro storico di Guastalla e a villa San Donnino nel Modenese. Paolo Beltramin. Corsera.

Il film La Strada di Fellini si poteva svolgere nel mio Messico. Il luna park itinerante con i suoi giostrai e creature deformi nei campi fangosi era l’unico intrattenimento per le masse. Sono rimasto però più influenzato da Ossessione di Visconti e da Il grido di Antonioni, perché il mio film ha più a che fare con un realismo crudo. Fellini però è uno dei miei registi preferiti, uno dei tre più grandi al mondo insieme con Buñuel e Hitchcock, ha influenzato il mio modo di avvicinarmi al cinema, ma in questo mio ultimo film non c’entra così tanto. Guillermo del Toro regista. El Pais.

Ho un tale bisogno di me stesso che non posso permettermi il lusso di morire. Roberto Gervaso, scrittore.