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 2022  gennaio 25 Martedì calendario

I SAVOIA RIVOGLIONO IL TESORO - SI TRATTA DEI GIOIELLI DELLA CORONA CUSTODITI IN UNO SCRIGNO IN UN CAVEAU DELLA BANCA D’ITALIA DAL GIUGNO DEL 1946: SONO 6.732 BRILLANTI E 2 MILA PERLE - SI TENTA LA MEDIAZIONE CON IL GOVERNO E I RAPPRESENTANTI DEL CASATO, MA IN CASO DI FALLIMENTO LO STATO VERRÀ CITATO IN GIUDIZIO - LA QUESTIONE DELLA MANCATA CONFISCA FA SPERARE I SAVOIA. IL VALORE DEL BOTTINO NON È CHIARO: C'È CHI PARLA DI 300 MILIONI DI EURO… -

I Savoia vogliono tornare in possesso dei gioielli della Corona, custoditi dentro uno scrigno in un caveau della Banca d’Italia dal giugno del 1946. Un tesoro formato da 6.732 brillanti e 2 mila perle, di diverse misure, montati su collier, orecchini, diademi e spille varie.

Oggi si terrà il primo incontro di mediazione per discutere sulla modalità della restituzione tra il legale della famiglia Savoia, l’avvocato Sergio Orlandi, e i rappresentanti della Banca D’Italia, della presidenza del Consiglio e del ministero dell’Economia.

L’incontro, convocato dal mediatore Giovanni De Luca, è stato organizzato su istanza del principe Vittorio Emanuele di Savoia e delle principesse Maria Gabriella, Maria Pia e Maria Beatrice, eredi dell’ultimo re d’Italia, Umberto II, passato alla storia come «il re di maggio».

Qualora al termine della mediazione le parti non arrivassero (com’è probabile) a una soluzione, i Savoia, sempre rappresentati dall’avvocato Orlandi, procederanno a citare in giudizio lo Stato con l’intento di riavere indietro i gioielli.

Per la prima volta casa Savoia, pertanto, rivendica la proprietà di questo tesoro in modo formale. E, soprattutto, convinto. Una richiesta di restituzione dei gioielli custoditi in via Nazionale è infatti già stata avanzata il 29 novembre del 2021 dall’avvocato Orlandi con l’invio di una raccomandata indirizzata alle tre istituzioni individuate come interlocutrici nella mediazione.

La replica è arrivata ventiquattro dopo, il 30 novembre, attraverso gli avvocati Marco Di Pietropaolo e Olina Capolino che, per conto della Banca d’Italia, hanno bocciato la richiesta scrivendo: «La restituzione non può essere accolta, tenuto conto delle responsabilità del depositario».

La proprietà dei gioielli, a differenza di altri beni immobili e mobili appartenuti ai Savoia in territorio italiano fino al 1946, è una questione aperta. Perché? I gioielli non sono mai stati confiscati, passaggio invece formalizzato con il resto del patrimonio dell’ex casa regnante avocato dallo Stato dopo la nascita della Repubblica, come sancito dalla tredicesima disposizione finale e transitoria della Costituzione.

La mancata confisca è, secondo l’avvocato Orlandi, lo spiraglio che dà concretezza alle rivendicazioni dei Savoia.

Per capire le ragioni di questo vuoto, bisogna tornare indietro ai giorni successivi alla nascita della Repubblica, sancita con il referendum del 2 giugno del 1946. Tre giorni dopo il ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, su incarico di Umberto II che poi andrà in esilio, consegna i gioielli all’allora governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi, futuro presidente della Repubblica.

Nel verbale di consegna del 1946 del ministro Lucifero è scritto: «Si affidano in custodia alla cassa centrale, per essere tenuti a disposizione di chi di diritto, gli oggetti preziosi che rappresentano le cosiddette gioie di dotazione della Corona del Regno».

Formula vaga, pensata allora, come scriverà Einaudi, proprio per lasciare una porta aperta ai Savoia per rientrare in possesso dei gioielli. Come osserva l’avvocato Orlandi, quello che si prospetta è un percorso lungo, pieno di imprevisti, ma con esito per lui certo: «I Savoia riavranno i gioielli».

Quanto valgono gli oggetti preziosi custoditi nel caveau? Questo è l’altro mistero della vicenda. Mai nessuna valutazione è stata effettuata. C’è chi li stima intorno ai 300 milioni di euro. Altri, come Gianni Bulgari, chiamato a visionarli negli anni 60, ridimensionano la stima a qualche milione.