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 2022  gennaio 25 Martedì calendario

Povero «Ulisse» lascivo e brufoloso

Virginia Woolf definì l’Ulisse «l’opera di un nauseabondo studente universitario che si schiaccia i brufoli». Non si contano i complimenti tra scrittori, ma quelli di cui fu oggetto James Joyce sono rimasti celebri. D.H. Lawrence non risparmiò le sue ironie a quella accozzaglia di «avanzi, torsoli di citazioni bibliche, e tutto il resto cotto nel brodo di una deliberata, giornalistica lascivia». Pur occupandosi per lo più di corse equestri, l’autorevole «Sporting Times», roseo come la «Gazzetta», si prese la briga di dedicare un editoriale all’Ulisse per avvertire i lettori londinesi che quel romanzo sembrava scritto da «un pazzo pervertito che ha creato una particolare letteratura da latrina». Il libro era stato pubblicato a Parigi nel quarantesimo compleanno dell’autore, il 2 febbraio 1922, dalla Shakespeare & Co, e dunque quest’anno se ne festeggia il centenario: 2.2.22 è una data «tutta tonda», come ricorda Andrea Kerbaker che a partire dal 31 gennaio ospiterà una serie di incontri alla sua Kasa del Libro di Milano. Il primo partirà da una frase che Hemingway disse a Montale: «Il n’y a que Joyce, et tout le reste est merde», perché, ovviamente, non mancano neanche gli ammiratori illustri di un libro che ebbe vita dura, al limite dell’impossibile, e non solo per la sua difficoltà leggendaria. Il romanzo di Joyce infatti vanta forse il record di censure (e un numero rispettabile di edizioni pirata). La «Little Review», che cominciò a pubblicarne i primi capitoli nel 1918, subì ripetute confische, come ricorda Mario Baudino nell’indimenticato Il gran rifiuto, storie di clamorose bocciature editoriali. In Maledizioni, Antonio Armano aggiungeva che qualche copia andò persino bruciata. Quando Ezra Pound trovò la disponibilità di due editori americani, furono i tipografi a opporsi, scandalizzati dalle scurrilità. Negli Stati Uniti l’iter giudiziario sarebbe stato una vera odissea, come si conviene a un’opera con quel titolo, ma nel 1934 l’Ulisseuscì con allegata la sentenza. In Italia bisognò aspettare il 1961 anche perché la traduzione (Mondadori) era una scalata da far tremare i polsi. La denuncia fu immediata. Ma il giudice di Verona, dopo essersi impegnato in un improbabile riassunto, parlò di autentica poesia, di canto, rapsodia, parodia, «sempre intrisa di umanità», nonostante le «arditezze conturbanti». I brufoli? Trascurabili.