Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  gennaio 25 Martedì calendario

Su "La fede armata. Cattolici e violenza politica nel Novecento" di Lucia Ceci (il Mulino)

Il sacerdote messicano Miguel Hidalgo y Costilla, che i compatrioti ancora celebrano come eroe della lotta di liberazione — ricorda Lucia Ceci in un libro di grandissimo pregio, La fede armata. Cattolici e violenza politica nel Novecento, che esce dopodomani per i tipi del Mulino —, fu organizzatore attivo dell’azione armata contro la Spagna. Azione armata che avrebbe portato nel 1821 all’indipendenza del Messico. Fu lui, un religioso cattolico, che nel 1810 lanciò «El Grito de Dolores» e (con il grado di «generalissimo») da Valladolid si mise in marcia, alla testa di 50 mila uomini, alla volta di Città del Messico. Nel corso della campagna militare fece fucilare decine di disertori e prigionieri di guerra spagnoli. Nel marzo del 1811 fu catturato, processato e, in luglio, passato per le armi. In quegli stessi giorni, su disposizione del vescovo di Durango, Francisco Javier Olivares, fu processato anche dalla Chiesa: venne accusato di essere un simpatizzante della Rivoluzione francese, fu degradato, venne scomunicato e subito dopo consegnato al plotone di esecuzione.

Conseguenza (in parte paradossale) di tutto ciò fu che il Messico, appena conquistata l’indipendenza, prese già nel 1821 provvedimenti volti a restringere il campo d’azione della Chiesa. Provvedimenti che si trasformarono poi, nel 1854, in qualcosa di più organico con le «Leyes de Reforma» che, scrive la Ceci, «trasformavano l’architettura istituzionale dello Stato». Leggi che «minavano drasticamente l’influenza della Chiesa privando il clero dei diritti civili, espropriando i beni ecclesiastici che non avessero una funzione pubblica, rendendo nulla l’obbligatorietà dei voti religiosi, attribuendo al governo il diritto di intervenire in materia di esercizio di culto». La Chiesa considerò quei provvedimenti alla stregua di un’«apostasia di Stato», come ha ben spiegato Riccardo Cannelli in Nazione cattolica e Stato laico. Il conflitto politico-religioso in Messico dall’indipendenza alla rivoluzione (1821-1914) (Guerini e Associati). Tant’è che quando, nel 1857, il governo messicano impose agli impiegati pubblici il giuramento sulla Costituzione — in cui si ratificava la «Legislazione di Riforma» — i vescovi reagirono con l’emanazione di decreti episcopali atti a scomunicare coloro che avessero accettato di giurare. Così nella guerra civile che travolse il paese dal 1858 al 1861 e si risolse con la vittoria dei liberali, all’episcopato messicano sembrò naturale schierarsi dalla parte delle forze conservatrici guidate dal generale Félix Zuloaga. Nel corso del conflitto, fa notare la storica, i sacerdoti si rifiutarono di amministrare i sacramenti ai sostenitori del fronte liberale. Moltissimi chierici di conseguenza subirono torture, alcuni vennero assassinati, le chiese furono fatte oggetto di saccheggi, nove degli undici seminari messicani furono chiusi.

Tensioni in Messico tra Chiesa e Stato si riproposero tra il 1873 e il 1876 con l’espulsione delle suore di San Vincenzo de’ Paoli, le «Hermanas de la Caridad», impegnate nel lavoro assistenziale negli ospedali. Stavolta, in difesa delle religiose, si ebbe una sollevazione popolare nella parte centro-orientale del Messico (il cosiddetto «alzamiento de los religioneros»). Grandi complicazioni che — come ha ben messo in evidenza Gianni La Bella in Roma e l’America Latina. Il Resurgimiento cattolico latino-americano (Guerini e Associati) — furono concomitanti alle tensioni tra il nascente Stato italiano e la Chiesa di Pio IX.

Venne poi, a partire dal 1913, il tempo della rivoluzione messicana. Clero e cattolici furono attaccati dagli insorti di Pancho Villa, Emiliano Zapata e Venustiano Carranza con l’accusa di essere sostenitori del generale Huerta e della sua dittatura. Particolarmente spietati furono gli uomini di Carranza, massone, conclamato anticlericale. E quando Carranza, nel 1917, ebbe la meglio, per i cattolici messicani vennero anni terribili. La repressione si attenuò in parte nel corso della presidenza del successore, Álvaro Obregón (1920-24). Ma lo scontro si acuì nuovamente nel dicembre del 1924 quando andò al potere Plutarco Elías Calles, che si spinse a favorire la formazione di una Chiesa scismatica. L’arcivescovo di Città del Messico scomunicò la nuova Chiesa e nella capitale si ebbero scontri tra cattolici e fautori del movimento religioso sostenuto da Calles (appoggiati questi ultimi, con modalità decisive, dalla forza pubblica). A questo punto, marzo 1925, fu fondata dai cattolici la «Lega nazionale di difesa della libertà religiosa» che, in base alla teorizzazione del gesuita Rafael Martínez del Campo, sosteneva la legittimità della «difesa armata» dei credenti. E siamo al punto decisivo di questo racconto. Rappresentanti della Lega furono ricevuti in Vaticano da papa Pio XI che diede al loro operato una sorta di benedizione ufficiale. Sembrò poi che fosse possibile una mediazione (caldeggiata dai vescovi messicani) tra Chiesa e governo. Ma i margini erano minimi. Pio XI, forse su pressione dei gesuiti, si irrigidì e — come racconta Paolo Valvo in Pio XI e la «Cristiada». Fede, guerra e diplomazia in Messico (1926-1929), edito da Morcelliana — fu nuovamente scontro aperto. Anzi, fu un conflitto a tal punto acceso da oscurare quelli degli anni precedenti.

Nell’agosto del 1926 comparve sull’«Osservatore Romano» un articolo quasi esplicito. Non «si dica», scriveva l’organo della Santa Sede, «che potrebbero i cattolici unirsi e organizzarsi a tentare una difesa per vie legali, perché ogni associazione di fedeli per un tale fine è strettamente vietata dalla legge Calles con le pene più gravi». Sicché «non resta alle masse, le quali non vogliono sottostare alla tirannia… che la ribellione violenta». La «ribellione violenta». A questo scritto seguì in novembre la pubblicazione dell’enciclica Iniquis afflictisque che esplicitava l’approvazione di Pio XI nei confronti del clero messicano, meritevole di apprezzamento per aver «opposto una muraglia» atta a contrastare le disposizioni anticattoliche. Pio XI, nota Lucia Ceci, non fece un esplicito riconoscimento alla legittimità dell’impiego delle armi, «ma l’uso di un registro linguistico bellico, con un ricorso frequente a espressioni quali ‘resistenza’, ‘lotta’, ‘difesa’, ‘avversari’, ‘milizia’, ‘fronte unico’, lasciava più di uno spiraglio alla facoltà di leggere quelle parole come una sostanziale apertura alla possibilità di operare attraverso la lotta armata». Strada «verso cui era orientata la Lega alla quale il Papa non mancò di accennare con parole di plauso».

L’enciclica, come si è detto, è del novembre 1926. In agosto era già iniziata quella che passerà alla storia come la «guerra cristera». A Chalchihuites, una cittadina dello Stato di Zacatecas nel Messico centrale, il leader sindacale cattolico Pedro Quintanar (che ai tempi di Huerta era stato fatto «colonnello») si mise a capo di una quarantina di uomini e si scontrò con i federali che avevano arrestato e passato per le armi un sacerdote nonché tre leader di organizzazioni fedeli alla Chiesa di Roma. La Lega, che nel giugno del 1925 poteva contare su poco più di 36 mila uomini, in pochi mesi era cresciuta in modo impressionante e nel settembre del ’26 disponeva di mezzo milione di militanti. In ottobre i «cristeros» guidati dal sacrestano José Trinidad Mora con un’imboscata misero in fuga un reggimento di 250 soldati. Il loro comandante, il generale dell’esercito Ismael Lares, fu catturato, ucciso e il suo cadavere fu esposto nel villaggio per diversi giorni. A poco a poco i ribelli cattolici formarono qualcosa che assomigliava sempre più ad un esercito composto da 50 mila combattenti i quali, nel nome di Cristo Re e della Vergine di Guadalupe, si opponevano ai 70 mila soldati regolari (a cui si sarebbero aggiunti 30 mila ausiliari). La guerra civile ebbe notevoli proporzioni, assorbì circa un terzo del bilancio dello Stato con un saldo stimato di ben 56 mila vittime tra le file dell’esercito messicano.

Gli episodi più brutali sono messi dagli storici sul conto dell’esercito regolare, constata Lucia Ceci. Ma anche i cristeros «furono protagonisti di incendi di scuole ed edifici pubblici, omicidi di insegnanti, pubblici ufficiali e sindacalisti ritenuti vicini al governo». I cadaveri venivano esibiti come trofei di guerra. Ci si accanì sui corpi dei nemici. Frequenti furono le decapitazioni di morti (ma anche di vivi) e l’esposizione in luoghi pubblici delle teste tagliate. L’episodio più sanguinoso — tra le atrocità compiute dai cristeros — fu, secondo la storica, l’attacco al treno Guadalajara-Città del Messico del 19 aprile 1927, allorché quattrocento ribelli fermarono un convoglio che trasportava, insieme ad altri passeggeri, una cinquantina di soldati e 200 mila pesos del Banco de México. All’esplosione seguì uno scontro durato diverse ore che provocò la morte di centotrenta viaggiatori, tra cui donne e bambini. Alcuni di loro bruciarono vivi. La stampa governativa scrisse che gli assalitori erano guidati da tre sacerdoti: José Reyes, Aristeo Pedroza e Jesus Angulo. Lo stato maggiore rese note testimonianze dei sopravvissuti secondo le quali gli assalitori avrebbero ucciso alcuni passeggeri senza motivo. A freddo.

Ma i misfatti di cui si conserva più copiosa documentazione (di parte cattolica) furono riconducibili ai governativi. Nel 1927 a San Antonio in Texas, dove si trovavano in esilio molti vescovi provenienti dallo Stato confinante, fu avviata la pubblicazione della «Galleria dei martiri messicani» opuscoli «in cui si raccontavano con particolari spesso truculenti le morti e le torture subite dai cattolici». Opuscoli destinati a divenire negli anni che precedettero la guerra civile spagnola (1936-1939) «un importante strumento di propaganda» contro i repubblicani.

Nel 1928 gli Stati Uniti si spesero, tramite l’ambasciatore in Messico, Dwight Whitney Morrow, in un tentativo di mediazione per porre fine alla guerra civile. Ma a metà luglio il presidente Obregón fu ucciso, mentre stava per incontrare il diplomatico americano, con sei colpi di pistola da un giovane militante cattolico, José de Léon Toral. Ne seguì un processo che fece scalpore. Nel corso del dibattimento una suora, Madre Conchita, fu accusata di essere la «guida spirituale dei cristeros» e condannata a trent’anni di carcere. Toral, che raccontò di aver agito per vendicare due suoi amici uccisi nel 1927, fu fucilato ai primi di febbraio del ’29 e venne immediatamente celebrato dalla Chiesa come «martire». L’uccisione di Obregón, però, smosse le acque e il presidente ad interim Portes Gil raggiunse un accordo con il nuovo primate del Messico, l’arcivescovo Ruiz y Flores. Patto che — con il consenso di Pio XI — fu ratificato il 21 giugno 1929. Sulla base di quest’intesa i vescovi accettavano di riprendere il culto facendo venir meno ai ribelli cristeros «l’argomentazione che era alla base della lotta armata». I cristeros, che all’inizio di quello stesso giugno avevano perso il loro capo — il generale Gorostieta, assassinato con una sofisticata operazione di intelligence — si sciolsero poco dopo. Il 27 giugno 1929, per la prima volta dal luglio del ’26, nelle chiese messicane si tornò a celebrare la messa. Ma nella Chiesa la discussione sul diritto alla resistenza armata proseguì. E il segretario di Stato Eugenio Pacelli (futuro Papa Pio XII) ne ribadì la liceità, d’accordo con Pio XI, limitandosi a sostenere che «nelle condizioni attuali» (quelle successive al 1929) la Santa Sede non poteva «né autorizzarla, né incoraggiarla».

Il libro di Lucia Ceci è più che esauriente nel descrivere come problemi di «fede armata» si sarebbero riproposti nel corso delle due guerre mondiali, ma anche tra i due conflitti e per tutto il Novecento. Vengono esaminati i casi dell’Irlanda, della Spagna, della Resistenza italiana, dell’Est europeo nel corso della guerra fredda (con particolare attenzione alla rivolta d’Ungheria del 1956), dell’America latina. Ma anche dei Paesi Baschi, del Ruanda, delle Filippine, del Perù e persino degli Stati Uniti. Un percorso davvero molto interessante.