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 2022  gennaio 25 Martedì calendario

Biografia di Pino Insegno raccontata da lui stesso

Pino Insegno, come va la colite?
Ride.
Si assuma le sue responsabilità. Lo ha scritto pure nell’autobiografia appena pubblicata per Giunti, «La vita non è un film».
«Ecco, appunto. Ho sempre manifestato lì la tensione. Una volta ero sulla Pontina con tanto di autista quando arriva l’ultimo crampo... Ho visto dei bambini che giocavano dietro un cancello e mi sono avvicinato. “Mamma, corri, c’è Pino Insegno!”. La madre pensava di essere su Candid Camera. L’ho supplicata di farmi usare il bagno. Fuori dalla porta si erano appollaiati i parenti: stavano festeggiando una comunione».
Parliamo dei suoi esordi nel porno.
«Come doppiatore!».
Certo.
«Erano due giornate a settimana. Ogni volta ero doppiamente sfinito, per la stanchezza fisica e per quella psicologica».
La cosa più difficile?
«Se ansimi a vuoto per più di 30-40 secondi mandi in iperventilazione il cervello. In Platoon, per esempio, qualcuno svenne».
Il personaggio più famoso che ha doppiato?
«John Holmes».
Solo il parlato, immagino.
«No no, tutto. E lui parlava poco e godeva tanto! Guardi che quarant’anni fa non c’erano le videocassette e i film porno erano costosi, girati bene, con signori registi, costumisti... Ben Dur, per dire, era fatto benissimo».
L’esperienza nel porno ha condizionato il salto? Oggi può vantarsi di aver doppiato, tra gli altri, Keanu Reeves, Viggo Mortensen, Will Smith, Robert De Niro, Sasha Baron Cohen.
«Per Keanu Reeves in Belli e dannati dovetti fare il provino con il nome falso di Mario Persichetti, perché Vittorio Cecchi Gori non voleva uno della Premiata Ditta. A creare scetticismo non era il porno, il problema era la tv. Finora ho doppiato 400 film da protagonista».
Rivedersi che effetto le fa?
«Ah, quello è il mio momento, perché non sono io che presto la voce a loro, ma loro che prestano il corpo a me».
Come attore, però, è stato doppiato.
«Sì, al primo film: Mezzo destro mezzo sinistro, dove interpretavo un veneto. Lo scoprii al cinema e ci rimasi male. Poi ho lasciato perdere: se sei Aragorn nel Signore degli Anelli che ti importa di un ruolo dimenticabile da attore?».
A proposito del «Signore degli Anelli», dovette superare le resistenze dei tolkieniani.
«Ammazza! Però poi mi hanno amato. Sono anche uno dei fortunati ad avere uno degli anelli usati nel film, una ventina nel mondo».
Con Viggo Mortensen è diventato amico?
«Lui è l’attore cui sono più affezionato. Una volta mi chiamò per propormi di raggiungerlo a Campo de’ Fiori per una pizza. Io stavo facendo il bagnetto a mio figlio e ho riattaccato, pensavo a uno scherzo. “Se tu sei Viggo Mortensen io so’ Tom Cruise”. Richiamò, e buttai giù di nuovo. La terza chiamata me la fece Enrico Lo Verso: “Pino, ma cosa hai detto a Viggo? Dai, vieni qua che ti aspettiamo!”. Nel frattempo mio figlio aveva imparato a nuotare...».
E l’incontro come andò?
«Mi trovai davanti questo ragazzo normale, maglietta bianca, jeans. Parla sette lingue, è scultore, pittore! Dopo andammo a fare due passi, dei borgatari mi riconobbero e uno mise in mano a Viggo la macchinetta digitale: “A biondi’, che ce fai ‘na foto?”. Io allibito gli dissi: “Ma ti rendi conto di averlo chiesto al Signore degli Anelli?”. E lui: e che m’importa se er biondino c’ha ’na gioielleria?».
Torniamo indietro agli esordi nel teatro. La leggenda narra che per il primo spettacolo suo padre fece un prestito di sei milioni di lire.
«Mio padre Armando sta per compiere 90 anni, faceva il vetrinista. Aveva già due mutui e una voglia pazza di starmi vicino».
Quei soldi non glieli ha mai restituiti.
«Non li rivoleva! Peraltro i soldi guadagnati con Giulio Cesare è... ma non lo dite a Shakespeare li reinvestimmo subito. Con mamma invece sono riuscito in qualche modo a sdebitarmi, ma lei era diversa, le piaceva vantarsi di me al mercato, gioiva quando le mandavo un autista per portarla a teatro a vedermi. A lei sono riuscito a regalare una Fiat 126, con un bel fiocco. Quanto avrei voluto che conoscesse mia moglie Alessia... E una delle cose che mi fanno amare ancora di più mia moglie è che quando abbiamo deciso di sposarci, mi ha chiesto: “Beh, ora non mi porti a conoscere tua madre?”. E siamo andati insieme al Monumentale. Non ero più tornato al cimitero dopo il funerale: è morta il 15 dicembre 2003».
Quel giorno andò comunque in scena: debuttava al Parioli con «Gli Allegri Chirurghi».
«Sì, mamma era morta la mattina. Lo decidemmo con mio fratello, Claudio, che curava la regia, e con mio padre, che venne in platea. Dopo, andammo insieme a mangiare una pizza. È una perdita che fa sempre male. Quando ho doppiato Jamie Foxx in Ray, c’è un momento in cui lui dice, a proposito della madre: “Lei è qui, non se n’è mai andata”. Mi commuove ancora adesso. Ai tempi, aspettai due ore prima di riuscire a fare la battuta».
Una parte del suo successo professionale è legata alla Premiata Ditta. Quando vi siete sentiti l’ultima volta?
«Con Roberto (Ciufoli, ndr) ieri. Stiamo ragionando su quando riusciremo a riportare in scena Vieni avanti Cretino».
Vi rivedremo tutti insieme?
«A me piacerebbe una serata d’onore in Rai. Francesca Draghetti è la mia direttrice di doppiaggio in American Dad!, lei preferisce stare un passo indietro. Tiziana Foschi è rimasta la stessa. Non c’è mai stata gelosia tra noi. C’è stato un unico momento difficile con Roberto: ci conosciamo da quando eravamo bambini a Monteverde Vecchio e forse ha sofferto di più quando ho intrapreso la mia carriera da solista. Ma lo abbiamo superato subito».
E di «Bbiutiful» cosa mi dice?
«Nacque da una intuizione di Francesca, che ci segnalò la soap con protagonisti due uomini e due donne. Perfetta per noi. La Carrà ci mise al centro del suo programma, Ricomincio da due. Enza Sampò, che curava uno speciale serale su Beautiful, per due settimane ci proibì di andare in onda. Il massimo fu registrare le puntate con gli attori originali!»
Fa tanta beneficenza, ma non ne parla mai.
«Preferisco così. Non amo farla a beneficio di telecamera».
Possiamo almeno dire che sta per dare la sua voce ai malati di Sla e ai sordomuti?
«Non è ancora il momento per parlarne, ma è un progetto al quale ho lavorato con il Campus Bio-Medico, il Niguarda, NeMo...».
È stato amico di Troisi e Pino Daniele.
«Massimo mi telefonò dopo che avevo lanciato un appello a Domenica in per farmi accogliere nella Nazionale di calcio attori. Aveva risposto mia mamma: “Pino, c’è uno che imita Troisi che ti vuole parlare...”. Non avrebbe nemmeno potuto giocare a calcio, il ticchettio nel petto lo sentivi sempre. Mi diede una prova di amicizia quando si rifiutò di scendere in campo dopo che i senatori della squadra si erano rifiutati di farmi entrare per un solo tempo. Quando morì mi avvisò Pino Daniele».
E con lui come andò?
«Diventammo molto amici. Capodanni insieme, mi faceva sentire i suoi brani in anteprima. Poi ci allontanammo. Ma ho tanti ricordi».
L’applauso più bello?
«La verità? A teatro fa sempre piacere, ma in qualche modo lo hai guidato tu. L’applauso davvero più bello è quello dopo un gol, qualunque sia il pubblico: 25 persone o 2.500».
Lei voleva fare il calciatore.
«E sarei anche arrivato ai Mondiali dell’82. Mi hanno stroncato la carriera al Settebagni».
Però ha fatto il presidente.
«Sì, della Ruco Line Lazio, calcio femminile. Convinsi la Panini a fare l’album. Al Flaminio per vederci contro il Bayern Monaco vennero in diecimila. A Pisa vincemmo il campionato e purtroppo avevo promesso di fare uno spogliarello vero, non come quello della Ferilli...».
Dispiaciuto che il suo primogenito Matteo, 23 anni, nato come Francesco dal precedente matrimonio con Roberta Lanfranchi, abbia smesso di fare il calciatore?
«Quando me lo disse replicai: ma scusa, sono l’unico padre al mondo che dice al figlio di lasciar perdere gli studi e di continuare con il calcio e tu smetti? Ma lo capisco. A 15 anni era già nomade. Aveva giocato nel San Paolo, Lazio, Perugia, Pisa, Teramo, Pescara...».
Francesco, 18 anni, gioca a basket.
«Giocava. Ha lasciato quest’anno in B».
E Alessandro, il primo dei due figli avuti con sua moglie Alessia Navarro?
«Fa nuoto e basket, ha 7 anni. Mentre Valerio, di due, dice già “basta”, “sono sazio”, “faccio da solo”. Ma chi gliel’ha insegnato?».
Cosa può dirci di Alessia?
«Quando l’ho conosciuta aveva 29 anni e io 48, ma lei era come se ne avesse 70-80. Matura, consapevole, mi ha ridato una famiglia. Con lei mi sento protetto, anche quando lavoriamo insieme. Lei riesce, sia in famiglia che sul palco, a farmi dare il meglio di me».
Incontri ravvicinati memorabili?
«Tantissimi. Ho una stanza piena di foto alle pareti, con Maradona, il Papa, attori. Una volta in sala doppiaggio mi dissero: “A Pi’, esci che ce sta Sean Connery”. Pensavo fosse il doppiatore, Pino Locchi: “E s’aspettasse n’attimo che ce sta prima n’artro Pino”. Era l’originale...».
Chi è Iktomi?
«Lo spirito guida. È il nome che mi diede Floyd “Red Crow” Westerman, il mio secondo padre... Lo conobbi grazie a Gianni Minà».
Come si vive con un solo testicolo?
«Bene. Scoprii da bambino che l’altro mi era stato asportato. Ho temuto solo di non poter avere figli. Poi ne sono arrivati quattro!».