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 2022  gennaio 24 Lunedì calendario

Quelli che non amano più le loro canzoni


C’è chi paragona le canzoni a dei figli, c’è Fabrizio De André che una volta disse «la canzone è una vecchia fidanzata con cui passerei ancora molto volentieri buona parte della mia vita» e poi c’è Bono degli U2 che, usando una parola molto in voga («cringe», imbarazzante), ha confessato di sentirsi a disagio nel riascoltare la propria voce, di non amare per niente il nome della band e di essere anche imbarazzato da molte delle sue canzoni. Le sue rivelazioni hanno fatto grande scalpore, quasi sputasse nel piatto in cui mangia. Anche, se, in verità, il frontman del gruppo irlandese, ospite del podcast «Awards Chatter» di Hollywood Reporter, ha precisato di ritenere questo imbarazzo qualcosa di piuttosto fisiologico per un artista e in grado di stimolarlo a fare meglio.
Ad ogni modo, Bono è in compagnia: i cantanti che prendono le distanze dalle loro creature, spesso proprio dalle hit che il pubblico continua a chiedere a gran voce ai concerti, non sono pochi, complice il tempo che passa, una maturazione personale che porta a nuove idee, l’evolversi della società per cui oggi alcuni testi stridono o banalmente la stanchezza di dover rifare da decenni gli stessi brani, cantati fino alla nausea.
È il caso di Madonna che, ripensando alle sue prime hit, storce il naso: «Se sono in macchina o vado in un ristorante, se sono in giro e sento che inizia una mia canzone, faccio “ugh”, probabilmente perché l’ho già dovuta sentire cinque miliardi di volte», ha dichiarato. A esserle andata in disgrazia è soprattutto «Like a Virgin», brano iconico del 1984, dal vivo spesso rimaneggiato in versioni diverse dall’originale, di cui una volta ha detto: «Non so se potrò cantarla ancora, a meno che qualcuno non mi paghi 30 milioni di dollari o qualcosa del genere». Katy Perry, invece, con il senno di poi cambierebbe certi passaggi di «I Kissed a Girl», canzone che l’ha lanciata nel 2008, ammiccando a un bacio fra ragazze che «non è come ci si deve comportare», a suon di stereotipi ormai polverosi sulla bisessualità: «Le cose sono cambiate molto in questi anni, abbiamo fatto tanta strada – si è giustificata —. Al tempo non si parlava di bisessualità né di fluidità».
Lady Gaga, invece, ha detto di non amare particolarmente «Telephone», cantata insieme a Beyonce, e di ripudiare soprattutto il relativo video. E se Elton John si rassegna a riproporre «Crocodile Rock» ai concerti, pur non sopportandola più, perché «il pubblico la adora», Robert Plant odia suonare «Stairway to Heaven» dei Led Zeppelin perché «appartiene a un altro periodo», dal canto suo Liam Gallagher (tranchant come sempre), ogni volta che canta «Wonderwall» degli Oasis ha «voglia di vomitare».
In Italia non mancano esempi simili: Roberto Vecchioni ripensa al significato di «Samarcanda», canzone che nel 1977 l’ha consacrato al grande pubblico, e oggi non la scriverebbe più. Parla dell’impossibilità di sfuggire al proprio destino, ma «nel frattempo ho cambiato idea —ha detto il cantautore —. Siamo noi che costruiamo la nostra sorte». Francesco Guccini considera «L’Avvelenata» «una canzone minore» del suo repertorio: «Mi ha stancato, ho scritto delle canzoni migliori», ha dichiarato, pur consapevole che i suoi fan non ne sono affatto stanchi. E infine c’è Zucchero che ha detto basta a «Donne» durante i concerti per un dettaglio ben preciso: «Ha un testo bellissimo, ma non me la sento di cantare “du du du”. Ho pensato mille volte di farla, ma poi mi blocco sempre».