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 2022  gennaio 24 Lunedì calendario

Intervista a Carmen Maura

Ci vuole coraggio, forse un briciolo d’incoscienza. Per venire a Parigi a recitare a teatro in francese (che Carmen Maura parla molto bene, ma non è la sua lingua), nell’epoca della contagiosissima variante Omicron. Ma cosa può fermarla? A lungo icona del cinema di Pedro Almodovar (un rapporto intenso, ma difficile, ormai interrotto, quasi un amore finito), ancora oggi lavora tantissimo (oltre al teatro, cinema e serie tv), una delle più grandi attrici spagnole. Un’intervista a Carmen è uno spaccato di vita: in quel caso non recita. Alla fine dirà: «In Spagna mi vogliono molto bene, sono parte della famiglia, perché dico sempre quello che penso. L’ho fatto anche questa volta». Quasi si scusasse, con dolcezza. In un’intervista a Carmen si ride, si piange, ci si arrabbia anche. Lei, al teatro Hébertot, interpreta L’hirondelle ( «La rondine»), magnifico testo del catalano Guillem Clua, che l’attrice ha portato al successo in Spagna. È la storia di una professoressa di canto, che ha perso il figlio in un attentato. Riceve a casa un giovane, che vuole seguire dei corsi. Ma è un pretesto: ha conosciuto bene il figlio della donna. Le dirà cose che non vorrebbe ascoltare.
Quando ha imparato il francese?
«Fin dall’asilo. Più tardi, da giovane, ho fatto l’interprete simultanea e ho iniziato a lavorare in Francia. Da tempo ho un piccolo appartamento nel quartiere del Marais, vengo di tanto in tanto. Per questa pièce, comunque, ho dovuto fare uno sforzo enorme. Un conto è parlare una lingua, un altro è recitare a teatro».
La protagonista è una madre buona o cattiva?
«Non esistono madri buone o cattive. Dipende dalle circostanze della vita. È difficile essere mamma e ognuna cerca di cavarsela come può. Quella della pièce non è cattiva. Non ha potuto fare di meglio».
Lei si sposò a 21 anni, con un avvocato di una famiglia importante. Poi avete divorziato, quando aveva 25 anni, perché lei voleva fare l‘attrice professionista. Erano ancora gli anni di Franco. I vostri due figli furono affidati al suo ex marito, che le impedì di vederli per dodici anni…
«Non voglio parlare di questo».
Ma “L’hirondelle” è anche una pièce sulla maternità…
«Quando recito, cerco di non pensare alla mia vita. Recito e basta. Non sto a riflettere molto, perché potrei soffrire tanto. Non sono la madre della pièce, sono una mamma diversa. Né buona, né cattiva…».
Come ha iniziato?
«A sette anni già mettevo su spettacoli con gli amici. Più grande sono entrata in una troupe di attori dilettanti. Ma questa si sciolse: gli altri intrapresero una carriera. Mi dissi che avrei potuto farlo pure io, ma non l’avevo mai immaginato, soprattutto di lavorare nel cinema. Partii da casa, iniziai un’altra vita. La mia famiglia, che era tradizionalista, non l’accettò».
In ogni caso è andata bene…
«Mi sono ritrovata al posto giusto al momento giusto. Ho incontrato Pedro Almodovar e ho subito pensato che fosse un genio. L’ho aiutato molto. Sono la prima che l’ha rispettato davvero. Stavo passando un momento duro della mia vita. E lui mi faceva ridere tanto: farmi ridere per me è fondamentale. Siamo diventati amici. Abbiamo fatto dei cortometraggi, poi il film “Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio” (1980). E tutto il resto. Venivamo da mondi diversi. Lui era nato in un paesino povero della Mancha, io in una famiglia della borghesia di Madrid. Ma ci siamo capiti subito e ci siamo divertiti molto. Ho passato dei momenti bellissimi con lui (ndr, Carmen si commuove)».
L’ultimo suo film, dove ha recitato, è “Volver” (2006). Ce ne saranno altri?
«Non credo, perché dovremmo avere tanta voglia entrambi di farlo e non l’abbiamo».
Il giorno prima di arrivare a Parigi ha finito le riprese di un film atteso in Spagna…
«Sì, Rainbow, è un musical, diretto da Paco Leon, un regista giovane, che mi piace tantissimo. È ispirato a Il mago di Oz».
A Parigi il Covid si propaga. Lei fa la spola tra il teatro e il suo appartamento. Non le pesa?
«In genere esco, ho degli amici, sono una persona normale. Ma la solitudine mi piace molto».
Un’attrice che l’ha ispirata?
«Giulietta Masina, anche per la sua autoironia».
Lei ha il senso dell’umorismo?
«Adoro far ridere gli altri, nella vita personale e nel mio lavoro».
Negli anni Ottanta era l’icona della movida, di una certa modernità. Ma lei era proprio come la Pepa di Donne sull’orlo di una crisi di nervi?
«In realtà non ero così moderna (ndr, Carmen ride). E non ero per niente un animale notturno. All’epoca della movida, Pedro, nel bel mezzo delle feste, diceva: “Riporto a casa Carmen e ritorno"». —