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 2022  gennaio 24 Lunedì calendario

1945, il Pci arresta De Pisis: «Fa orge gay»

Per Moravia il “dopoguerra bigotto” inizia nel ’47 con la denuncia per oscenità della raccolta di racconti Il Muro di Sartre e del romanzo L’amante di Lady Chatterley da parte di un avvocato dell’Azione cattolica, tale Antonio Carones. Ma c’erano già stati segnali meno istituzionali o forse solo molto più scenografici come l’irruzione dei partigiani armati nel giardino veneziano dove fervevano i preparativi per l’orgiastico “Ballo della granseola” e il “marchesino pittore” Pippo De Pisis acquerellava i corpi dei modelli con motivi marini. Il nome della festa deriva dal crostaceo presente sotto forma di gusci, rimediati al ristorante “La colomba” e usati per cingere i fianchi nudi dei partecipanti. Tutti maschi, ovviamente, a parte la scultrice Ida Cadorin e la critica d’arte Daria Guarnati. La prima coperta solo da collane di rose di carta, come in un carnevale fuori stagione, un po’ troppo spinto anche per quei tempi di anarchia e liberazione.
Siamo alla fine dell’aprile 1945 e fa molto caldo in tutti i sensi. A Venezia, città ministeriale della Repubblica sociale, i tedeschi ci hanno messo più tempo che altrove per sloggiare. Quando finalmente alzano i tacchi, l’incontenibile De Pisis organizza il ballo e la voce dell’evento si sparge tra i canali e le calli. Uno dei modelli che ha posato per lui si sente escluso. Non viene reclutato in quanto “non più bello” e corre alla sezione del Pci per denunciare l’imminente baldoria: “Mentre le madri dei partigiani piangono i caduti di questa guerra, nello studio del pittore De Pisis questa sera si sta preparando una grande orgia”.
Insieme ad altri meravigliosi frammenti della vita sulla laguna – il corteo di gondole al funerale di Stravinskij, il ticchettio del bastone di malacca nera di Ezra Pound per il vicolo cieco di Calle Querina… – il Ballo della granseola viene rievocato in una “flânerie artistica” intitolata Sette giorni a Venezia e pubblicata da Settecolori. L’autore è Gianmaria Donà dalle Rose. Discendente di tre dogi, tra cui Leonardo (1536-1612), soggetto di un suo altro libro (L’Antipapa veneziano, Giunti), Donà dalle Rose racconta come la guerra a Venezia sia stata vissuta in modo diverso: “Siccome c’era il coprifuoco, quando si andava ospiti dagli amici la serata finiva dormendo da loro e si rinsaldavano i legami”. Un coprifuoco decisamente meno individualista e solitario, al netto dello status, rispetto a quello del tempo del Covid. I nonni di Donà dalle Rose ricevevano spesso le visite del “marchesino pittore”, nel loro palazzo a San Marcuola, dove si fermava a lungo in portineria. Il portinaio si ritroverà proprietario di preziose tele.
Chi sperava dopo i lugubri anni bellici in un clima di apertura si deve confrontare con la dura realtà della guerra fredda. Come ha scritto Saba si passa “dalla camicia nera alla veste nera”, dal fascismo al cattolicesimo. Anche i rossi fanno la loro parte visto che sarà il Pci a inserire la coda censoria nell’articolo 21 della Costituzione attraverso Umberto Nobile, esploratore polare e deputato: “Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”. Il Ballo della granseola era un evento a inviti in una casa privata, lo studio del pittore a Fondamenta dello Squero in San Barnaba, ma aveva l’aggravante dell’omosessualità. Se i bolscevichi sono stati in una fase seminale distruttori dell’ordine morale, compreso quello sessuale, con Stalin diventano bacchettoni e non smetteranno mai di esserlo considerando l’erotismo come perversione da ricchi capitalisti. Di riflesso Calvino, editor della Einaudi, casa editrice vicina al Pci, rifiutava la “pagina erotica”, sostenendo che il 900 fosse “un secolo casto, il secolo di Kafka”, sbagliando secolo e scrittore. Fenoglio si vede bocciare La paga del sabato anche per il brano in cui il protagonista ha un rapporto con la fidanzata durante il ciclo in un pagliaio.
Ma da dall’austera Torino torniamo a Venezia. Sullo sfondo di una città libertina, la città delle cortigiane, gran parte dei modelli destinati al Ballo della granseola riescono a fuggire, ma De Pisis e due amici, seminudi, dipinti e truccati, vengono scortati a piedi fino alla questura dai partigiani armati al tramonto. Se qualcuno l’avesse scattata sarebbe stata una foto straordinaria. Invano il “marchesino pittore” fa appello alla sua fama artistica, minaccia di rivolgersi a Bottai, senza ricordare come i tempi fossero cambiati. Vengono tirati in ballo, ma sempre senza risultato, il cardinale Piazza e il prefetto Matter, come racconta Giovanni Comisso in un libro intitolato Mio sodalizio con De Pisis, che la Nave di Teseo ristamperà nella collana a lui dedicata in cui sono comparsi Gente di mare e Gioventù che muore (prossimamente arriverà Un gatto attraversa la strada). L’epilogo: dopo un paio di giorni, il pittore viene liberato e va subito a dipingere sulla Riva degli Schiavoni come se la privazione più grande fosse stata quella di avere deposto il pennello che scorreva sui corpi dei modelli abbronzati dal primo sole della pace. Nel 1948, la prima biennale postbellica gli dedica una sala con trenta dipinti, ma da Roma arriva l’ordine di non conferirgli il Gran Premio in quanto omosessuale. Questa iniziativa è democristiana. Per i balli della granseola a lungo non sarà tempo.