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 2022  gennaio 22 Sabato calendario

Biografia di Giovanni Verga


Cento anni fa, il 27 gennaio del 1922, Giovanni Verga moriva a Catania, a seguito di un ictus, assistito dal suo amico e discepolo, Federico De Roberto, che ne aveva condiviso le scelte letterarie e le difficoltà a essere pienamente inteso. Non molto tempo prima, il 2 settembre del 1920, Luigi Pirandello aveva pronunciato in suo onore una memorabile orazione, nel corso della cerimonia che si tenne al Teatro Massimo Vincenzo Bellini, per il suo ottantesimo compleanno, alla presenza del ministro della Pubblica Istruzione, Benedetto Croce. Ed è sempre ricordata la definizione che dette, in quell’occasione, della scrittura di Verga a confronto con quella di D’Annunzio. «Là uno stile di parole, qua uno stile di cose. Li abbiamo fin dagli inizi della nostra letteratura questi due stili opposti: Dante e Petrarca... Machiavelli e Guicciardini, l’Ariosto e il Tasso, il Manzoni e il Monti, il Verga e il D’Annunzio... Perché la vita o si vive o si scrive».
SENATORE A VITA
Il giorno dopo la morte dell’autore dei Malavoglia e principale esponente del Verismo, il discorso di Pirandello fu pubblicato parzialmente sul quotidiano Il Mondo e nuovamente Pirandello lo ricordò nel 1931, pronunciando un discorso assai simile alla Reale Accademia d’Italia. Il 3 ottobre [1920], un mese dopo i festeggiamenti per il suo compleanno, Verga era stato anche nominato senatore a vita, per espressa decisione del re Vittorio Emanuele III, e fu solo in quel caso che uscì dal suo silenzioso guscio catanese per recarsi a Roma. Verga e Pirandello: due generazioni a confronto. Verga era nato il 2 settembre del 1840 a Catania, Pirandello il 28 giugno del 1867 ad Agrigento. In quel breve lasso di tempo era cambiata l’Italia. I due scrittori, accomunati da una forte appartenenza alla terra d’origine, si mossero in modi diversi all’interno di un sistema politico, sociale e culturale che era cambiato velocemente, obbligando i più sensibili interpreti alla ricerca di nuove forme e linguaggi capaci di raccontarlo ed esprimerne il senso.
In una intervista rilasciata a Il Giornale d’Italia, l’8 maggio del 1924, Pirandello raccontò di avere incontrato solo una volta Verga, nella sede romana della Nuova Antologia, con cui entrambi collaboravano. Era il 1904 e lo scrittore aveva da poco pubblicato in volume Il fu Mattia Pascal, il suo primo romanzo di successo, uscito già a puntate sulla rivista. Di quell’incontro Pirandello conservò la strana memoria di due generazioni che si succedevano a distanza, come se l’una passasse all’altra il testimone. Entrambi avevano vissuto il loro impegno letterario fondandolo sul rigore della ricerca e sul presupposto di una necessaria autenticità della scrittura, che, partendo dall’idea del vero, del bello e dell’utile di manzoniana memoria, era maturata nel dogma naturalista dell’oggettività, nel caso di Verga, per approdare paradossalmente al cosiddetto sentimento del contrario di Pirandello, vale a dire alla visione umoristica di una realtà inafferrabile e per niente obiettiva.
Sempre in quell’occasione Pirandello ricordava di aver dato il suo romanzo a Verga, che in seguito gli avrebbe scritto esprimendo un giudizio lusinghiero, ma anche lasciandogli intendere di sentirsi superato dai tempi. Pirandello, quando fu chiamato a celebrarne il compleanno, era giunto al culmine della sua attività di scrittore, mentre Verga si era ritirato già da vent’anni nel silenzio della sua casa di Catania. Dopo un ventennio trascorso a Milano, quando la città era nel pieno della sua crescita economica e culturale, si era convinto, a un certo punto, che per lui non ci fosse più spazio nel sistema letterario del tempo, dominato da gusti e mode estetizzanti e soprattutto da un mercato editoriale sempre più volto a soddisfare i larghi consumi di un pubblico popolare in espansione.
IL REGNO
Le città della sua vita letteraria piena e attiva erano state Firenze e Milano. Era stato a Firenze a partire dal maggio del 1865, quando la città, divenuta capitale del neonato Regno d’Italia, viveva una fervida stagione letteraria. Nel 1872 si era spostato a Milano, dove rimase a lungo ed ebbe una intensa vita sociale, sentimentale e culturale, pubblicando i suoi libri con Treves, l’editore più importante del momento. Nel 1888 lo aveva raggiunto a Milano anche Federico De Roberto, che fu introdotto da lui nelle più avanzate cerchie cittadine. Nel 1890 Verga soggiornò per pochi mesi anche a Roma, ma, a partire dal 1893, si trasferì definitivamente a Catania, dove rimase fino alla morte, senza più allontanarsi, se non per brevi soggiorni a Milano e a Roma. Si dedicò alla fotografia e accumulò molto materiale documentario per il terzo romanzo del ciclo dei Vinti, La duchessa di Leyra, di cui, però, non si ritrovò che il primo capitolo tra le sue carte manoscritte. Anche Federico De Roberto, che pure aveva ventuno anni di meno di lui, aveva fatto la sua stessa scelta rientrando a Catania nel 1897 e continuando a condividere con il suo maestro, fino alla fine, l’inchiesta sulla possibilità di narrare il mondo così come è.