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 2022  gennaio 21 Venerdì calendario

Wall Street guarda al Quirinale

La finanza mondiale è in fibrillazione sul futuro dell’Italia. Dai grattacieli di New York alla City di Londra, negli ultimi giorni i signori e le signore del denaro si stanno scambiando telefonate, messaggi e videochiamate sempre più allarmate per tentare di indovinare l’identità dei prossimi inquilini di Palazzo Chigi e del Palazzo del Quirinale.
Nessuno di loro è tra i grandi elettori chiamati a scegliere il prossimo presidente della Repubblica ma l’opinione di Wall Street non può essere ignorata. Circa un terzo dell’enorme debito pubblico italiano è in mano ad investitori esteri, provenienti soprattutto dall’eurozona ma anche dagli USA, la Gran Bretagna ed il Giappone. Queste posizioni così elevate conferiscono ai gestori di fondi stranieri un’influenza notevole sulla politica nostrana. Se le nomine delle prossime settimane rimanessero indigeste ai mercati, gli investitori potrebbero “votare con i propri piedi”, come si dice nei circoli finanziari anglo-sassoni, vendendo titoli del Tesoro italiano – una mossa che aumenterebbe l’instabilità politica e finanziaria del Paese.
Il “seggio” di questi “elettori fantasma” è il famigerato spread – la differenza tra i rendimenti delle obbligazioni del Tesoro italiane e tedesche a 10 anni che divenne famoso durante gli anni bui della crisi dell’euro. Al momento, lo spread si aggira intorno ai 140 punti base, vicino al picco degli ultimi 12 mesi ma, molto, molto più basso dei 574 punti base toccati nel novembre 2011 e che segnarono la fine del governo Berlusconi.
Ovvero, gli investitori stanno tenendo d’occhio l’Italia ma non si stanno assolutamente strappando i capelli. La domanda più frequente che si sente nei grattacieli di New York e Londra è: “Ma Draghi dove va?” Il ruolo del Presidente del Consiglio è la preoccupazione principale di chi sull’Italia ha scommesso miliardi di dollari, euro e yen.
Come sempre, la preferenza assoluta degli investitori stranieri sarebbe il mantenimento dello status quo: tenere il rispettatissimo ex presidente della Banca Centrale Europea a Palazzo Chigi per continuare le riforme strutturali e politiche economiche che hanno fatto dell’Italia la locomotiva europea della crescita. Magari con un Mattarella bis al Colle per non cambiare una squadra che sta vincendo La seconda opzione, espressa da parecchi gestori di hedge fund – gli investitori più volubili che comprano e vendono azioni e obbligazioni in base a decisioni-lampo – sarebbe un’ascesa di Draghi al Colle ma, anche qui, solo se garantisse la stabilità di governo. Avere Draghi al Quirinale ma riconsegnare il governo alle baruffe elettorali dei politici minerebbe la stabilità tanto amata dai mercati, e le chances dell’Italia di ricevere, dividere e spendere proficuamente gli stanziamenti del Recovery Fund europeo. Anche se il Financial Times è convinto che il passaggio al Quirinale sarebbe “il modo migliore per portare avanti l’ottimo lavoro” fin qui svolto dal premier.
Altri scenari – dall’elezione di Silvio Berlusconi ad un “governo dei migliori” – sarebbero accolti da Wall Street e la City con accorati ordini di “vendi, vendi, vendi” ai loro broker.
“Vorrei proprio sapere la percentuale di possibilità di uno scenario in cui Draghi è eletto Presidente della Repubblica,” chiedeva più di un investitore straniero questa settimana un quesito tipico di titani della finanza che amano ridurre tutti gli eventi a numeri misurabili ma che, nell’imprevedibile mare magnum della politica italiana, è destinato a non avere risposte attendibili.
Se le cifre non possono calmare i nervi degli hedge fund, i retroscena degli ultimi giorni dovrebbero farli rasserenare un pochino. Chi ha parlato con Draghi durante le sue “consultazioni” informali con i leader politici ha sentito un messaggio chiaro: sto lavorando per garantire la stabilità del governo, e quindi del Paese, a prescindere da chi si siederà sulle poltrone più importanti.
I dettagli che trapelano sono pochi e contrastanti – nomi di diversi papabili premier se Draghi dovesse andare al Quirinale, schizzi di nuovi assetti politici o patti governativi – ma per investitori che parlano sempre di “takeaway” – la conclusione da portare via dopo un incontro – o “riassunti esecutivi”, il punto è che il primo ministro è sulla loro lunghezza d’onda: sfasciare una macchina che funziona così bene non è nell’interesse di nessuno. A testimonianza del fatto che l’attenzione degli investitori rimarrà concentrata sull’Italia fino a quando non avremo un nuovo Capo dello Stato, le banche d’affari stanno producendo un volume di ricerca senza precedenti su questa questione. L’analisi più curiosa è sicuramente quella di Goldman Sachs, icona del capitalismo mondiale, che ha scomodato i Clash, icona del punk anti-capitalistico, per spiegare ai propri clienti il dilemma di Draghi. In una nota intitolata: “Should I Stay or Should I Go?” Goldman scrive: “Mentre l’elezione del premier Draghi alla presidenza rafforzerebbe l’ancoraggio dell’Italia e la sua politica all’interno dell’Europa, questa elezione scatenerebbe l’incertezza sul nuovo governo e sulla sua efficacia politica. Dati gli interessi divergenti tra i partiti in Parlamento e la lunghezza tipica del tempo necessario per formare un nuovo governo, siamo più preoccupati dei mercati che questo scenario comporterebbe un ritardo nell’implementazione del Recovery Fund e delle relative riforme”. Come a dire, per ora siamo abbastanza tranquilli ma occhio agli svarioni della politica italiana.