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 2022  gennaio 21 Venerdì calendario

Anni duemila, nessuna novità

Io forse con troppa enfasi e frettolosa partecipazione manifesto (dichiaro) la mia preoccupazione guardando non solo all’oggi delle nostre lettere (che pur sa proporre qualche testo interessante) ma più in generale sullo stato della nostra cultura. Mi pare che il secolo Duemila (che è quello in cui viviamo) non sia ancora nato e questo nostro tempo non fosse che il trascinarsi del secolo precedente (il Novecento) che era stato indubbiamente un secolo ricco e importante (caratterizzato dalla ricerca del “nuovo” nella letteratura, nelle arti figurative, nella musica, nel pensiero scientifico e nel suo stesso assetto identitario) ma che nel suo penultimo decennio (1980-1990) aveva concluso la sua gloriosa corsa annunciando con animo bersagliero (orgoglioso del suo passato) la sua morte: la fine dell’Unione Sovietica, la fine della guerra fredda, la fine dei partiti politici che avevano fin lì governato l’Italia con l’arrivo di Mani pulite.
Dunque il Duemila sembra trascinare un tempo glorioso ma già compiuto e definitivamente con la tragedia dell’11 settembre che per la prima volta sferrava un attacco sgretolante alla solidità della Cultura occidentale. Dico allora che il Duemila sembra non ancora nato e ha già consumato i primi venti anni del suo tempo senza dirci chi è e cosa vuole. Non era mai accaduto fin lì che un secolo non anticipasse fin dai primi anni della sua nascita i suoi intenti e prospettive di sviluppo. Guardate il Novecento (l’anno delle avanguardie): nel 1901 escono le prime novelle di Pirandello, nel 1914 Il fu Mattia Pascal, nel 1920 Sei personaggi in cerca d’autore; Italo Svevo dopo Una vita e Senilità pubblica nel 1922 La coscienza di Zeno; Marinetti pubblica Il Manifesto dei futuristi nel 1909, De Chirico nel 1911 dipinge Le Muse inquietanti (i primi quadri metafisici); e in Europa? Picasso nel 1907 Les demoiselles d’Avignon, ne 1912 esce La Recherche; nel 1914 Dedalus di Joyce e Ulisse nel 1922. La successione degli eventi storico-politici ancora più inattesa: nel 1911 la recente Italia, fantasticandosi grande potenza, vuole avere le sue colonie e invade la Libia facendosi protagonista di atroci gesti e comportamenti non solo eticamente condannabili, e poi il Socialismo, la Prima guerra mondiale, il Fascismo; in Europa nel 1905 la sconfitta dei rivoluzionari russi, il Comunismo e poi nel 1917 il trionfo della Russia dei Soviet.
E l’Ottocento? Leopardi pubblica L’infinito nel 1809. Cavour con il suo piccolo Regno sabaudo partecipa nel 1853 alla Guerra di Crimea in cui Inghilterra e Francia guerreggiano contro la Russia intuendo che a guerra finita e vinta con l’aiuto della Francia avrebbe potuto farsi protagonista del processo dell’unità d’Italia (e così fu).
E il Settecento? Il secolo della ragione e negazione delle verità rivelate (poi nel proseguo definitiva affermazione dell’Illuminismo e la Rivoluzione francese).
E l’Italia del Duemila? A vent’anni dalla sua nascita nessuno scrittore autorevole (pari, all’altezza di Moravia o a Gadda e tanti altri) era capace di indicare una nuova proposta estetica (continua instancabile la letteratura autobiografica, con tentativi miserabili di recupero del naturalismo ottocentesco) né una ipotesi di possibile sviluppo. Il suo orizzonte è piatto. Nessun pensiero nuovo (o forse come qualcuno con ardimento azzarda – molti decenni dopo – I Barbari di Baricco e il suo più recente Il gioco che decreta l’obsolescenza delle élite e il protagonismo del singolo individuo) ma tanto l’uno I Barbari che l’altro Il gioco sembrano appartenere alla problematica di costume e, comunque, sono il prodotto della accelerazione ipertrofica dello sviluppo tecnologico che non intende (anzi non può) arrestare la sua corsa (creando entusiasmi e preoccupazioni). Certo l’arrivo del digitale è stato un evento portentoso. Ha unificato il mondo concentrando in un solo punto tutte le sofferenze dell’uomo ma non tutte (non poteva) le soluzioni. Certo ha smosso realtà pietrificate che sembravano inamovibili: non è stato ininfluente per l’abbattimento del Comunismo sovietico e del suo vasto Impero e, nel contempo, (ma senza contraddirsi) ha permesso alla Cina comunista di diventare la seconda, forse la prima potenza del mondo. In concreto, più in concreto ha disintegrato le ideologie in quanto negazione e ostacolo alla libertà di pensare senza (tuttavia) assecondarne il libero pensiero (cioè nascondendo quel carico di “valori” che qualunque cosa siano confortano la pratica di una buona vita). Poi, si sa, per ciascuno di noi (quanti abitano il mondo) è stato allargato al massimo lo spazio della conoscenza con internet (Facebook, Twitter, Instagram ecc.) tutti possiamo porre domande (di qualsiasi genere e importanza) e ricevere risposte, tutti riusciamo a fare quel che non sapevamo fare, tutti ci accorgiamo di poter fare quel che mai abbiamo sospettato di poter fare: comunicare direttamente (senza francobollo e corrieri e senza il ricorso al telefono – che pochi ancora possedevano) con vicini e lontani (cioè chattare) e con il web siamo diventati tutti scriventi temuti e dal numero dei “mi piace” ottenere l’investimento a comandare.
Trascuro di dire quanto il digitale è stato efficace protagonista della ricchezza mondiale (se non per constatare che l’aumento della ricchezza ha coinciso con la crescita delle disuguaglianze). Elencate le modalità più appariscenti del digitale (tanti e tali da configurarsi come una nuova Civiltà, una nuova Età della nostra Storia), ci resta da chiederci se il totalitarismo del virtuale nel suo vorticare freddo e veloce, comprende anche la capacità-disponibilità di aprire squarci alle esigenze interiori dell’uomo, non limitandosi a domandarci coraggio e ardimento per avventurarci nei pur umani sortilegi del Game? Certo quando all’Arsenale di Venezia assistiamo agli esempi (così facili e suggestivi) di arte performativa qualche preoccupazione ci viene. Ma sappiamo che non è così: che il linguaggio della poesia e del pensiero critico è la condizione (certo non la sola) del nostro stare nel mondo.
Il passato è Eliot, Montale, Joyce, Proust, Gadda, Morandi, De Chirico, Lacan, Eco. Ma il presente? È possibile tollerare che la narrativa (forse non solo italiana) continui a rifugiarsi nella banalità dell’autobiografia anziché avventurarsi per le vie più aspre e sconosciute della realtà e vita dell’uomo? Di tutto questo il Duemila (secolo in cui viviamo) non ha dato in questi suoi primi vent’anni segni di consapevolezza né fornito indizi di riconoscimento del futuro che ci aspetta.
Nell’Europa a noi più vicina le sole note di novità ci vengono da un importante (attuale) scrittore francese (Houellebecq) che profetizza, con masochismo compiaciuto, a breve la fine della cultura occidentale (laico cristiana) aggredita dai colpi della spiritualità islamica. Dunque prevede, fino ad auspicare, un cambio (catastrofico?) di egemonia. A questo punto mi viene in mente che Gianfranco Contini (il più illustre critico letterario italiano) richiesto di cosa pensasse dell’Unità europea rispose: si, è cosa utile. Aggiungendo: ma le sole vere Unità sono quelle della Svizzera e degli Stati Uniti conquistate dopo lunghe e sanguinose guerre. Forse è che il Duemila cova per noi l’allarme di sconvolgimenti e definitivi disastri? —