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 2022  gennaio 19 Mercoledì calendario

Le postmoderniste odiano le donne di destra

Ma Irene Pivetti dov’è? Certo, se hai fatto Domenica in e Buona domenica magari non te ne frega granché d’un lavoro il cui Sanremo è il discorso di fine anno, guardato da ruminanti che ci tengono ad avere nel piatto lenticchie convinti che portino soldi (roba che in confronto il pubblico di Buona domenica era raziocinante), ma insomma: visto l’ovvio dato fattuale che le sole donne che fanno carriera in politica sono le donne di destra, mi pare il suo momento.
Ho un’amica hegeliana – nel sovraesteso senso di: una che tiene al reale e al razionale – che dava testate contro i muri di casa quando leggeva le reazioni della sinistra postmoderna alla nomina di Marta Cartabia in Corte Costituzionale. È antiabortista, puntesclamativavano i postmoderni: una vita spesa a dire che le donne sono più giuste più sensibili più sincronizzate ai nostri desideri, e poi eccola lì, la traditrice dei gameti.
E ieri pure ’sta Roberta Metsola, ma chi è, ma come si permette, la nuova presidente del Parlamento europeo, neanche abbiamo finito di farci fotografare ai funerali del predecessore e voi già mettete un’antiabortista, una collaborazionista del patriarcato, una indegna di dirsi donna, diversamente da tanti portatori di pene – inteso non come plurale di «povero diavolo, che pena mi fa» ma come singolare dell’organo sessuale assegnato alla nascita – che si percepiscono molto più donne di lei e abortirebbero a volontà, se solo nella loro prostata potesse acquattarsi un feto.
E, forse, quello che sembrava un delirio identitario era in realtà un accorto piano per non dichiararsi sconfitti dalla storia.
Per non dire che donne di destra hanno governato Israele e l’Inghilterra, e le donne di sinistra al massimo rigovernano la cucina. Per non dire che a chiacchiere non ci batte nessuno, ma i fatti li fanno sempre gli altri. Per non dire che l’unica donna con ragionevoli possibilità di governare l’Italia è una cui talmente non riconosciamo lo status d’appartenente a questa categoria protetta da permetterci di dirle che è grassa, massimo insulto politico: Giorgia Meloni.
Vi ricorderete di quando hanno iniziato a dire che era un grande trionfo per le americane, la prima donna a diventare campionessa del più famoso quiz televisivo, fingendo di non accorgersi che era un uomo con la disforia, un uomo coi capelli lunghi, un uomo vestito da donna: un uomo.
E di quando hanno iniziato a dire che era un grande trionfo per l’apertura mentale dell’esercito, la prima donna generale, e guarda caso pure questa aveva il pisello, era sicuramente una coincidenza.
E di quando, infine, ci hanno precettati a deliziarci per la modernità della coconduttrice di Sanremo anch’essa donna con pene, sempre inteso non come plurale, donna con organo sessuale maschile, e questa volta neanche uomo disforico, semplicemente uomo che per mestiere si traveste da donna, e io continuo a immaginare un’intervista in cui chiedano a Nilde Iotti: è fiera d’essere la prima donna presidente della Camera, prima delle sorelle Bandiera?
Pensavamo fossero ammattiti, ma era un piano preciso. Era la rivoluzione sottotraccia. Erano le premesse per l’unica egemonia culturale che possa permettersi il femminismo: quella in cui le donne siano uomini.
Quando gente che non ha mai letto la de Beauvoir ma ne ha imparato a memoria la riduzione a bigliettino dei baci Perugina si mette una mano sul cuore e sospira che non si nasce donna, lo si diventa, seriamente convinta che Simone de Beauvoir, nata nel 1908, stesse perorando la causa della femminilità di gente nata col pene e poi folgorata sulla via di Raffaella Carrà, seriamente convinta ch’ella ambisse non a fare la sociologia dell’educazione femminile ma la psichiatria di quei casi di disforia di genere che abbiamo deciso di considerare norma giacché abbiamo talmente tanto tempo libero da baloccarci con la malattia mentale; quando questa gente sembra non capire di cosa parla ma essere determinatissima a parlarne, non capire cosa vuole ma volerlo fortissimamente, ecco, in realtà questa gente sta dimostrando di saperla lunghissima.
Mentre noi ancora ce la menavamo col reale e il razionale, i postmoderni avevano capito che, se solo la percezione conta, allora possiamo mettere una parrucca a un generale, a un culturista, a uno stilista annoiato dai pantaloni e che abbia fatto sfilare prima o poi le gonne nelle collezioni maschili (cioè: praticamente tutti gli stilisti), possiamo dire che quel tizio lì da oggi è una donna, ed ecco che da domani avremo vinto: avremo una donna al Quirinale.
Ora il problema è che Paolo Poli è morto, Maurizio Ferrini da giovane interpretava un comunista in tv e insomma è difficile possano convergere su di lui intese moderate, D’Alema ha i baffi: dove lo troviamo un uomo di sinistra disposto a mettersi la parrucca e sembrare una signora?
Finirà come al solito: che il posto di potere tocca a una donna di destra. D’altra parte Enzo Biagi l’aveva detto: se Berlusconi avesse un po’ di tette, farebbe anche l’annunciatrice.