Corriere della Sera, 18 gennaio 2022
Ecco quali sono i numeri reali sui contagi
Nella prima metà di gennaio 2022, dall’1 al 15, sono state osservate 2.381.081 infezioni. Durante la prima ondata febbraio-maggio 2020 si trovava un infetto su 10, nell’estate 2020 2,5 su 10, da ottobre 2020 la stima è più incerta: tra il 2-4 su 10. Allora venivano eseguiti meno di 200 mila tamponi giornalieri, mentre adesso si arriva in media a superare 1,2 milioni di tamponi al giorno.
Quanti infettati ci sono davvero oggi
Vuol dire che i nuovi infettati vengono trovati tutti? No. Il recente studio Hospitalisation risk for Omicron cases in England del 22 dicembre 2021 dell’Imperial College di Londra (Report 50) sottolinea come in Uk si vede solo 1 caso su 3. Il 15 gennaio 2022, con 1.413.468 tamponi, i contagiati riportati sono 81.713, e il tasso di positività al 5,8%. In Italia il tasso di positività, ossia il numero di persone che risulta positivo al tampone, non è mai stato così alto come in questo periodo: fatte 100 le persone tamponate, ne sono risultate positive fino a oltre 15, mentre in passato difficilmente si sono superate le 5-6. Più il tasso di positività è alto, più sono gli infetti che rischiano di non essere trovati, nonostante l’elevatissimo numero di tamponi (legato anche al fatto che molti non vaccinati devono farsi tamponare per andare al lavoro). Il motivo è che il sistema di tracciamento è fuori controllo, e la gran parte delle infezioni asintomatiche ancora una volta non viene rilevata. È verosimile, dunque, che oggi venga registrata solo una frazione compresa tra il 15% e il 30% delle infezioni totali.
Cosa vuol dire
Tradotto in numeri: potrebbero esserci tra 8 e 16 milioni di italiani che si sono contagiati tra fine dicembre e la prima metà di gennaio. Dentro ci sono anche coloro che si sono ricontagiati, stimati ora attorno al 3,3%. Questo dato porta a due considerazioni. La prima: se il 90% della popolazione sopra gli 11 anni, ovvero oltre 48,5 milioni di individui, ha ricevuto almeno una dose, mentre i non vaccinati sono meno di 6 milioni, è innegabile che la circolazione del virus è sostenuta in larga parte da persone vaccinate. A dimostrarlo sono i dati scientifici sulle coperture dal rischio contagio fornite dai vaccini. Nel bollettino dell’Istituto superiore di sanità del 12 gennaio, che prende in considerazione i contagi dell’ultimo mese, c’è scritto: «L’efficacia del vaccino (riduzione del rischio rispetto ai non vaccinati) nel prevenire la diagnosi di infezione Sars-CoV-2 oltre i 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale è pari al 34%, sale al 57% tra i 91 e 120 giorni, arriva al 71% per chi ha completato il ciclo vaccinale da meno di 90 giorni, mentre nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster è al 68,8%». Quindi solo la terza dose booster, oppure la vaccinazione eseguita da meno di tre-quattro mesi, protegge in percentuali rilevanti anche dal contagio. Facciamo i conti per vedere quanti sono gli individui che rientrano in queste due categorie: i vaccinati con il booster sono oltre 11 milioni, altrettanti i vaccinati da più di 120 giorni, si aggiungono i 24,6 milioni di vaccinati con due dosi da meno di 120 giorni, e gli oltre 1,6 milioni con una dose. Guardando gli infettati nell’ultimo mese, risulta evidente che la copertura dal contagio va a scemare dopo tre-quattro mesi: su 100 mila vaccinati con ciclo completo da più di 120 giorni si sono contagiati in 4.036, e su 100 mila non vaccinati in 5.801. Mantenendo lo stesso parametro per chi si è vaccinato con ciclo completo da meno di 120 giorni o con la terza dose, vediamo che i numeri si dimezzano: sono risultati contagiati nel primo caso in 2.714, e in 2.770 nel secondo. Invece a ottobre, per dire, nelle persone completamente vaccinate la copertura dal contagio era genericamente del 77 per cento.
Seconda considerazione: utilizzare questi numeri per sostenere tesi no vax è un errore gravissimo, perché la protezione contro il ricovero in ospedale nei reparti ordinari e in rianimazione è molto alta. Ed è sempre stato questo lo scopo dei vaccini, la cui efficacia (riduzione del rischio rispetto ai non vaccinati) è al 98% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster, 95% nei vaccinati con ciclo completo da meno di 90 giorni, 93% nei vaccinati con ciclo completo da 91 e 120 giorni e 89% nei vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 120 giorni. Lo dimostrano ancora una volta i dati oggettivi: un ricovero ordinario su due nell’ultimo mese riguarda una persona non vaccinata, e due su tre di quelle in rianimazione, anche se percentualmente i non vaccinati rappresentano solo il 10% della popolazione.
Le misure varate dal governo
Resta il fatto che le misure varate dal governo, che ha introdotto limitazioni quasi esclusivamente per i non vaccinati, rischiano di non avere un impatto rilevante nel breve periodo sulla circolazione di Omicron. Gli effetti dell’aumento delle prime dosi che stiamo registrando, a fronte dell’obbligo vaccinale per gli over 50 in vigore dall’8 gennaio e il super green pass obbligatorio dal 15 febbraio anche per andare al lavoro, si avranno verosimilmente non prima di 3-4 settimane (questo è per lo meno il tempo di sviluppo dell’immunità da vaccino). Ne consegue che i vaccinati non devono intendere la loro protezione personale come una luce verde per fare ciò che si vuole (anche se ne avremmo tanta voglia): tavolate numerose al ristorante al chiuso, feste affollate in casa, assembramenti senza mascherine perché tanto si è fra amici. Oltre al vaccino, a proteggerci è sempre la consapevolezza e il buon senso.
I segnali che ci devono fare riflettere
Ancora una volta i dati analizzati in sequenza ci possono aiutare a capire il motivo per cui occorre tenere alzata la guardia. Prendiamo tre bollettini quotidiani: quello del primo dicembre, del 31 e del 15 gennaio. Il periodo è caratterizzato dalla comparsa della variante Omicron che il 6 dicembre 2021 ha una prevalenza dello 0,32%, intorno a metà dicembre del 21%, e agli inizi di gennaio è all’81%. I casi ricoverati in area medica sono inizialmente 5.249 che salgono a 11.150 e poi a 18.370 il 15 gennaio. I ricoverati in terapia intensiva passano da 686, a 1.260 e a 1.677. Mentre i decessi salgono da 103 a 155, fino ai 308. L’incremento quotidiano di ricoveri in area medica nella prima metà di gennaio è in media del 4,3% contro il 3,6% del mese di dicembre: Omicron, dunque, sta causando un aumento dei ricoveri sia in percentuale che in numero assoluto. L’incremento giornaliero di ricoveri in terapia intensiva è invece in decrescita e si attesta attorno a una media del 2,2% giornaliero; pertanto, l’impatto sull’occupazione dei posti letto in rianimazione causato da Omicron non appare ingestibile. Mentre i decessi a gennaio crescono in media quotidianamente del 6,6% contro l’1,6% precedente: considerato il ritardo medio tra infezione e decesso, l’aumento è probabilmente da attribuire principalmente alla variante Delta.
Proiezioni a 15 giorni
Che cosa può succedere, allora, nei prossimi 15 giorni? Dal primo dicembre a oggi, l’Rt da ricoveri in area medica è rimasto costantemente sopra 1 (tra 1,1 e 1,3), che significa un numero di ricoveri in crescita tra il 10 e il 30% a settimana. Se la curva epidemiologica resta invariata, ciò si può tradurre nelle prossime due settimane in un’occupazione di posti letto in area medica tra i 20 e i 31 mila, con un evidente e drammatico sovraccarico del sistema ospedaliero, già oggi in affanno, con il conseguente spostamento in avanti di visite e ricoveri programmati per altre patologie. Ovviamente non è detto che andrà così: l’altissimo numero di infezioni recenti e non rilevate potrebbe avere già innescato l’innalzamento di un muro di immunità contro una ulteriore diffusione di Omicron, e di conseguenza rallentarne la corsa. Alcuni segnali sembrerebbero andare in questa direzione. Il condizionale però è d’obbligo, perché questo virus ci ha insegnato a essere prudenti. Anche se troppo spesso ce ne dimentichiamo, finendo con l’assuefarci ai 2-300 morti al giorno.