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 2022  gennaio 17 Lunedì calendario

Biografia di Bianca Berlinguer raccontata da lei stessa

Una volta, in tv da Francesca Fagnani, Bianca Berlinguer si è fatta sfuggire che è anche «pacioccona». L’aggettivo non è quello che sarebbe venuto in mente a chi, per 25 anni, l’ha vista condurre, severa e austera, il Tg3, ma forse suona folgorante per chi, a # Cartabianca, l’ha scoperta sorridente, spiritosa, seppure sempre attenta, pronta a scattare, puntualizzare, precisare. «Pacioccona?» dice ora, ridendo, «quando l’ho detto? Non me lo ricordo». 
Le era stato chiesto in che animale si riconosceva. Aveva risposto «la leonessa». E aggiunto «ma sono anche pacioccona». Fine. Pacioccona come? Quando? 
«Sono capace di divertirmi, sorridere. Anche spesso». 
E la divertì pure la definizione che diede di lei Roberto D’Agostino: l’altra metà del gelo? 
«Io, nel complesso, ricordo la frase come un complimento». 
Il resto della citazione è «amara come un Fernet, deliziosa come uno yogurt fuori scadenza, carattere ispido e un sorriso alla Psyco che la rende indomita e invincibile». 
«Ecco, indomita e invincibile, vede? Di me, si è sempre detto che ero fredda, distaccata, glaciale: ho imparato a farci i conti. È un’idea nata perché condurre un tg costringe a una certa severità. Invece, il talk consente di mostrare di più le emozioni, il carattere». 
Il siparietto di #Cartabianca con Mauro Corona, scrittore e boscaiolo, che la chiama Bianchina, le offre gocce afrodisiache, nasce per scongelarla, come molti hanno scritto? 
«Nasce per caso. Piace perché risultiamo così diversi e comunica allegria, bene prezioso di questi tempi. Ormai, abbiamo un rapporto di affetto. Ne abbiamo passate, di vicissitudini». 
La più nota è quando, in diretta, le diede della gallina. Il suo direttore Franco di Mare lo bandì dalla Rai. Lei disse che non poteva essere un uomo a decidere quando una donna doveva sentirsi offesa. 
«L’espressione era pesante, ma la sanzione non poteva essere l’interdizione a vita». 
In coda a quell’incidente, lei accusò di sentirsi «completamente isolata in Rai», come se #Cartabianca fosse «sopportata, non apprezzata». Era il maggio scorso. Ora, come va? 
«Mi sentivo senza interlocutori, una situazione che si era verificata quasi mai. Che fossi andata d’accordo o no coi vertici Rai, il dialogo c’era stato sempre. Ora, avendo nel nuovo Ad Carlo Fuortes un interlocutore, mi sento più sicura». 
Che bambina è stata Bianca Berlinguer? 
«Timida, ma sempre cocciuta. Mamma diceva: se ti metti in testa una cosa, smuovi i monti». 
Enrico Berlinguer, prima di diventare il padre nobile della sinistra, ha fatto in tempo a essere solo il suo papà? 
«Sì. E l’uomo privato era molto diverso da come veniva descritto». 
Intervistato da Giovanni Minoli, confessò che la cosa che più gli dava fastidio che si dicesse di lui è che era triste. 
«Pensai: vedi che dà fastidio anche a lui? Era qualcosa che mi disturbava perché invece era estroso, giocoso. A noi figli, da bambini, faceva fare cose divertenti, imprevedibili. Gli piaceva moltissimo il luna park». 
Saliva anche lui sulle giostre? 
«Partecipava attivamente. La mia prima volta sulle montagne russe fu a Cagliari, a 8 o 9 anni». 
Come ha vissuto lei gli anni del terrorismo? 
«I miei hanno sempre cercato di farci fare una vita simile a quella dei coetanei. Poi, quando Aldo Moro fu rapito e ci fu la polemica sull’opportunità di trattare coi terroristi per la sua liberazione, papà ci chiamò e disse: se dovessi venire sequestrato, io non voglio trattative». 
Una figlia come può accettarlo? 
«Ti auguri che non succeda mai e ti dici che è la sua volontà e va rispettata». 
Il 3 ottobre ’73, suo padre ebbe uno strano incidente in Bulgaria. 
«Poco tempo dopo – c’era stato il colpo di Stato in Cile – avrebbe proposto il compromesso storico e da lì sarebbe arrivato al discorso di Mosca del ’77 sulla democrazia come valore universale, ricevendo l’applauso più corto della storia del Pcus. Insomma, pur scortata dalla polizia bulgara, la sua auto fu centrata in pieno da un camion militare. Si salvò per miracolo. Che fosse un attentato era la sua convinzione profonda». 
Come tutti i dirigenti del Pci, versava al partito la quota di stipendio parlamentare eccedente il salario di un metalmeccanico. Come si viveva in sei con quel salario? 
«Stavamo attenti a tutto, ma non ci è mai mancato niente». 
Quanto fu difficile quel 13 giugno 1984 assistere ai suoi funerali alla presenza di più di un milione di persone? 
«Quando hai un padre tanto conosciuto che si sente male durante un comizio ed entra in coma, sei costretta a rinunciare a una parte dell’intimità che ogni lutto esige. Fin da subito, entrò in azione la macchina organizzativa del Pci. E, per quanto bellissima, la grande emozione popolare che ha accompagnato la sua morte ha fatto diventare pubblico e istituzionale quel dolore, rendendo ancora più faticoso elaborarlo». 
Davvero sua madre non era comunista? 
«Non veniva dal Pci, era cattolica, ma condivideva con papà i valori di fondo della vita. A me e alle mie sorelle, ha insegnato a essere autonome, a non sentirsi mai subalterne ai maschi». 
Sua zia Ines la descrisse così: «Letizia si diverte a contraddirci su tutto: Pertini, il papa, la Dc, la Malfa e perfino il Pci». 
«Non è che si divertiva a contraddire: se la pensava in un altro modo, lo diceva». 
Lei perché ha scelto il giornalismo? 
«Ero incerta fra psichiatria e giornalismo. Forse, ho fatto la scelta più facile. Poi, da direttore, ogni tanto, sbottavo e dicevo: ho scelto di fare la giornalista non la psichiatra. Cominciai collaborando al Messaggero, non pensavo alla Tv. Poi, Minoli cercava programmisti registi e scoprii che amavo lavorare con l’immagine». 
Quando diresse il Tg3, si narrava che i redattori o l’adoravano o la temevano. Era così? E meglio essere adorati o temuti? 
«Ho provocato sentimenti netti. Ed è meglio essere amati, non c’è dubbio. Però, ero un direttore e chi ha quel ruolo a un certo punto deve pur dire: si fa così». 
Si favoleggiava di sue sfuriate. 
«Una cosa enfatizzata. Ho confronti franchi, ma non urlo, sono una fredda». 
Quanto la leggenda è imputabile alla narrazione maschilista del potere femminile? 
«Abbastanza. Nella mia famiglia mai è stata fatta differenza fra le tre figlie femmine e il figlio maschio: avevamo tutti gli stessi orari, le stesse regole. Solo nel mondo del lavoro mi sono resa conto di come uomini e donne vengano tuttora percepiti diversamente e della resistenza ad accettare che l’ultima parola sia di una donna». 
Il Tg3 in cui fu assunta da Sandro Curzi era detto Telekabul, che effetto le faceva? 
«Lo consideravamo motivo di vanto». 
Era un vanto anche essere detta La zarina? 
«No, ma non lo trovo negativo: condurre o dirigere significa assumersi delle responsabilità». 
Nel 2016, fu rimossa dalla direzione perché invisa, si disse, all’allora premier Matteo Renzi. Che aveva fatto per non essergli simpatica? 
«Non serbo rancore. Tempo dopo, è ritornato nella mia trasmissione. Tutti i leader politici sono sempre venuti a #Cartabianca, con una sola inspiegabile eccezione: Giuseppe Conte». 
Chi è oggi il politico più efficace in tv? 
«Nessuno. I partiti sono deboli e il Paese chiede anzitutto rassicurazioni sulla pandemia». 
Una previsione e un auspicio per il Colle? 
«L’auspicio è che il ruolo di Draghi resti centrale da Palazzo Chigi o dal Quirinale, la previsione è che i giochi di partito creino il caos». 
Lei si darà mai alla politica? 
«A chi me l’ha proposto ho sempre detto: non devo neanche rifletterci». 
Riservata com’è, la infastidì quella stagione, negli anni ’90, in cui voi conduttrici dei tg eravate considerate sex symbol? 
«No. Rifletteva l’arrivo delle donne alla conduzione dei tg, un cambiamento importante». 
E quando ragazzina finiva su Novella 2000 perché fidanzata con l’attore Saverio Vallone? 
«Ma sì... Ci siamo rivisti di recente, ha una bellissima famiglia». 
Immagino che Valerio Merola, che rivelò dopo decenni che voleva sposarla e fu rifiutato, non le ispiri lo stesso sorriso. 
«Lo frequentai, ventenne, per un solo weekend. La sua fu un’intrusione sgradevole, mirata a farsi pubblicità». 
Da quando a dicembre è trapelata la decisione, si è sposata con Luigi Manconi? 
«No, aspettiamo una tregua dal Covid». 
Perché si decide di dirsi sì, dopo 25 anni? 
«All’improvviso, forse per festeggiare virtualmente le nozze d’argento, ma non mi chieda altro. Se un settimanale non avesse notato le pubblicazioni, non l’avremmo mai raccontato». 
Il suo futuro marito ha perso la vista nel 2007, come si affronta un evento simile? 
«Coinvolge tutta la famiglia, ma Luigi è stato bravo e coraggioso: è riuscito a continuare la vita di prima, scrive libri, editoriali, organizza convegni, presiede la sua Onlus sui diritti». 
Le Iene vi hanno fatto credere che vostra figlia Giulia aveva comprato una patente falsa. Davvero eravate pronti a denunciarla? 
«Io sì, lui era complice. Non si è visto, ma ho chiamato pure l’avvocato, decisa a denunciare». 
Perché il suo unico libro l’ha scritto sull’attivista transessuale Marcella Di Folco? 
«È stata una mia carissima amica, ha avuto una vita di dolori e trasmetteva sempre ironia e felicità. Da uomo, fu attore per Fellini; da donna, fece anche la prostituta non sapendo come mantenersi. La sua determinazione a vivere la vita a cui aspirava è stata un esempio per me».  
E lei, ha fatto la vita che voleva? 
«In parte sì, in parte no. Chi fa la vita che davvero avrebbe voluto?».