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 2022  gennaio 13 Giovedì calendario

Intervista a Lino Musella

Lino Musella affronta per la seconda volta a teatro i personaggi misogini, psicopatici, perversi o laidi con cui David Foster Wallace affollò nel 1999 Brevi interviste con uomini schifosi.
Il primo suo impatto avvenne nel 2008 e durante le repliche l’autore morì tragicamente in California. Ora dall’1 febbraio al San Ferdinando di Napoli, e poi in tournée, Musella lavorerà in scena con Paolo Mazzarelli in un nuovo mix di otto dei ventitré racconti originari su selezione e regia di Daniel Veronese (conosciuto da noi per i suoi Cechov), che già in Argentina ne ha ricavato sproloqui per due attori maschi.
Musella, come andò e come va, col Foster Wallace ora prodotto da Carnezzeria, Teatro di Napoli, Marche Teatro, Tpe, Triennale Milano, con Timbre 4 e Teatro di Roma?
«Allora ci attenemmo ai monologhi di Brevi interviste con uomini schifosi pubblicati da Einaudi, versione di Tommaso Pitta. Oggi l’iniziativa per noi fa leva su Aldo Miguel Grompone e Gaia Silvestrini, anche traduttori dei testi, e si deve a loro l’idea di Veronese di affidarsi a me e a Paolo protagonisti in Italia».
Come vi distribuirete le figure di squallidi manipolatori e donne manipolate?
«Il regista vuole che ci alterniamo alla pari e di continuo in sembianze offensive e difensive, maschili e femminili. Mostrandoci in abiti neutri, t-shirt, jeans e a piedi scalzi. Il lavoro crea un dispositivo, mette in circolo domande che il pubblico deve completare, su un tema».
Quale tema?
«Ho pensato al sessismo, ma credo non sia solo quello. Ci sono questioni di genere, dinamiche di relazione, rapporti cannibali, senza soltanto la fenomenologia del maschio str...o.
Atteggiamenti espressi in modo sottile, all’insegna di nevrosi. Io Foster Wallace l’ho divorato, racconta il contemporaneo. Niente adattamento: è un simposio a teatro».
Vi scambiate il maschile e il femminile, con prevedibilità di carnefice e vittima?
«Al di là della violenza opaca delle parole, le contrapposizioni non determinano uguali prevalenze e sudditanze. L’ultima carta è giocata dallo spettatore. Vai a sapere qual è la scivolosità femminile di toni o posture, o la leadership “schifosa” maschile... potremmo discuterne con la platea».
Conta molto in questo faccia a faccia da cui nel 2009 John Krasinski ha tratto un film, che abbiate alle spalle un lungo rodaggio di compagnia?
«È determinante — dice Mazzarelli — le basi risalgono al 1999/2000 alla Paolo Grassi di Milano. Poi un Giulio Cesare, sei nostri spettacoli, e Amleto, Morte di Danton... ».
Musella, che monologhi di Foster Wallace la faranno passare per campione di squallore?
«Ne L’esca uso la menomazione fisica per sedurre. Ne La partita invento una montagna di frescacce pur di andarmene, come Gassman che dà patacche alle femmine ne I mostri.
Nel brano Radicale adotto discorsi di stupri, faccio la donna, ma sono un uomo orribile. In Donna e uomo, il copione in apparenza più dialogato, tiro le fila del dispositivo, come a scambiarsi opinioni su un film appena visto, ma do pareri saccenti e generici da far paura».
Mazzarelli, a lei che tipi di maschi ributtanti toccano in sorte?
« Paternale è un pezzo più di Veronese che di Foster Wallace, ed è anche un quartiere di Buenos Aires, con un uomo che opprime la giovane figlia della donna con cui è stato.
Nell’incontro di Galline uso la teoria dell’apicoltore che distingue maschi e femmine, per capire la donna giusta. L’amante perfetto è un logorroico superficiale che vanta record in arte amatoria. Lei deve chiudere il negozio parte da un idillio ma poi taglia corto, filandosela».