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 2022  gennaio 12 Mercoledì calendario

Il cuore di un maiale nel petto di un uomo

Il cuore è stato prelevato da un maiale geneticamente modificato e trapiantato nel petto di un paziente americano. Il signor David Bennett, 57 anni del Maryland, aveva una condizione cardiaca così grave da non poter neppure rientrare nella lista d’attesa.
È il primo trapianto riuscito di cuore di maiale in un essere umano. L’operazione, durata otto ore, si è svolta venerdì scorso a Baltimora, ospedale dell’Università del Maryland.
I medici, a distanza di tre giorni, commentano l’evento con soddisfazione. «C’è polso, pressione, è un cuore – fa sapere Bartley Griffith, responsabile del programma di trapianto cardiaco – Il muscolo lavora e sembra normale. Siamo galvanizzati, anche se non sappiamo come andrà a finire. Non è mai stato fatto prima».
L’ENDOTELIO
Il cuore del maiale, prima di arrivare all’intervento, è stato sottoposto a modificazioni genetiche tali da prevenire la formazione di anticorpi in grado di alterare l’endotelio (tessuto interno delle arterie) e la coagulazione provocando, quindi, il rigetto. Oltre che sul cuore si stanno facendo sperimentazioni con organi di maiale per arrivare all’innesto di reni, fegato e polmoni.
Questa è la sfida dei chirurghi di Baltimora. Questa è la nostra sfida dal momento che da noi come, appunto, negli Stati Uniti, i cuori da trapiantare sono pochi e tanti i pazienti in attesa. Obiettivo dei ricercatori, dunque, è stato quello di permettere la produzione di proteine che bloccano il rigetto.
A risentire pesantemente degli effetti della pandemia è stata anche l’attività dei trapianti in tutto il mondo. Per questo il lavoro compiuto a Baltimora viene accolto come uno spiraglio di luce. Le donazioni, in Italia nel 2020, sono calate del 31% e i trapianti del 22,5% (4 mila in meno rispetto all’anno prima). 
Una diminuzione che ha colpito tutti gli ambiti di intervento. Sono state, secondo i dati del Centro nazionale trapianti, 3.441 le operazioni effettuate nel 2020, 373 in meno rispetto al 2019. I trapianti di cuore sono stati 239 (-2,4% in dodici mesi). Si contano 8.291 i pazienti iscritti nelle liste d’attesa del sistema informativo trapianti: 670 aspettano un cuore.
Sarebbe davvero un grande traguardo, è dai primi anni Ottanta che si susseguono tentativi per poter utilizzare cuori di maiali o babbuino nei pazienti cardiopatici gravi. 
Il primo esperimento è datato 1984, Usa. Venne trapiantato in una bimba di trenta giorni, fu dato il nome Baby Fae, un cuore di babbuino: dopo poche settimane sopravvenne il rigetto. La piccola soffriva con un difetto cardiaco grave conosciuto come sindrome del cuore sinistro ipoplasico. Questo evento ha segnato l’alba dei trapianti di cuore infantile.

I FARMACI
Due anni più tardi si trapiantò un cuore di maiale nel petto di un babbuino ma l’esito fu assolutamente drammatico. La compatibilità era pari a zero. 
Si cominciarono, così, a sperimentare, per l’organo da innestare, dei farmaci capaci di modulare le incompatibilità dei sistemi immunitari e di coagulazione tra maiale e babbuino. Obiettivo era evitare la trombosi e il rigetto. Passo dopo passo si è arrivati, nel 2016, ad utilizzare gli anticorpi monoclonali abbinati a steroidi per far battere a lungo l’organo di suino nel primate. Da allora, una serie di successi ci hanno permesso di cominciare a seguire con fiducia i diversi interventi.
Il cuore artificiale, d’altronde, non può rappresentare un realistico futuro terapeutico. Nato per fare da ponte verso il trapianto si è rivelato un salvavita a lungo termine. Posizionato all’interno dell’organo del paziente è stato progettato per funzionare al meglio qualche mese, forse un anno. E, invece, causa penuria di donazioni molti devono convivere con un corpo estraneo che, a lungo andare, porta con sé diverse complicazioni. Una strada non percorribile. 

LE INFEZIONI
Il cuore artificiale, lo vediamo nella maggior parte dei pazienti, è responsabile di complicazioni neurologiche, infezioni, sanguinamenti, alterazioni della coagulazione. Per non parlare della qualità della vita di queste donne e questi uomini sempre preoccupati che il sistema di alimentazione subisca un’interruzione.
(Antonio G.Rebuzzi è Professore di Cardiologia all’Università Cattolica Roma)