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 2021  novembre 24 Mercoledì calendario

Biografia di Stefano Boeri

Stefano Boeri, nato a Milano il 25 novembre 1956 (65 anni). Architetto. Urbanista. Accademico. Politico. Professore ordinario di Progettazione urbanistica al Politecnico di Milano. Presidente della Triennale di Milano (dal 2018). Già direttore delle riviste di architettura e arredamento Domus (2004-2007) e Abitare (2007-2011). «Sono un architetto che si occupa di politica, e penso che l’urbanistica sia il modo migliore di fare politica» • Secondo dei tre figli dell’architetto e progettista Maria Cristina «Cini» Boeri (1924-2020) e del neurologo Renato Boeri (1922-1994), nato dopo Sandro (1950), giornalista a lungo direttore di Focus, e prima di Tito (1958), economista e accademico già presidente dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps). «Tutti e tre di successo, tutti e tre “gauchiste”. […] I genitori, che avevano avuto come testimone di nozze Ferruccio Parri, si erano conosciuti ai tempi della lotta di liberazione. Il padre era un capo partigiano della brigata Stefanoni di Giustizia e libertà, la madre una giovane sfollata che aiutava i ribelli accendendo falò per indicare agli aerei americani dove sganciare i paracadute carichi di armi. Con uno di questi, di un bel colore rosso, Cini si fece un abito. […] La madre Cini era l’allieva di Marco Zanuso, il padre Renato […] un neurologo di vaglia, a lungo direttore dell’Istituto Besta di Milano. Separato da Cini nel 1965, si era poi risposato con Grazia Neri, deus ex machina dell’omonima agenzia fotografica. […] Maria Cristina (questo il vero nome) è sempre stata un’apripista. Il giorno in cui discusse la tesi, fuori dal Politecnico l’aspettava il primogenito Sandro, in carrozzina. Poi divenne, con Gae Aulenti, l’unica architetto donna di fama internazionale della sua generazione. Un po’ radical, molto chic, Cini è stata a lungo iscritta al Pci. […] Gloria di famiglia era già il nonno paterno: Giovanni Battista Boeri, insigne uomo politico della prima metà del Novecento, più volte senatore, morto nel 1956. Liberale con Giovanni Amendola, fuggito in Svizzera dopo uno scontro con Benito Mussolini, era stato tra i fondatori del Partito d’azione» (Elisabetta Burba). «Stefano Boeri bambino. “Con mio fratello Tito giocavamo a calcio nel sagrato della basilica di Sant’Ambrogio. Avendo due genitori atei, era il nostro modo di frequentare la chiesa: senza entrare”. A scuola? “Ero l’unico a non fare religione. Ricordo qualcuno che disse: ‘Poverino, è ebreo’. Era ancora troppo presto per considerare la possibilità dell’ateismo, di una famiglia atea”» (Teresa Ciabatti). «Io non sono nemmeno battezzato». «Nati bene, i piccoli Boeri: quando vivevano in casa con la mamma avevano un maggiordomo che serviva il pranzo in guanti bianchi. Eppure, secondo la miglior tradizione della borghesia illuminata milanese, hanno sempre adottato un profilo sobrio. Da ragazzi giravano in eskimo e montgomery (anche se la madre comprava loro giacche di Brigatti), andavano in campeggio con la Dyane (sebbene avessero casa alla Maddalena e a Celerina, in Engadina) e frequentavano un liceo pubblico, il Manzoni. “La loro non era una posa”, sottolinea una vecchia amica, “ma una sincera identificazione nello stile di vita e negli ideali dei giovani di quegli anni”. […] Già, l’impegno. I Boeri erano e rimangono tre intellettuali engagé. A cavallo fra anni Sessanta e Settanta si erano buttati a capofitto nella grande avventura del Movimento studentesco. Sandro, un biondino garbato e leggero, aveva scelto il gruppo del Manifesto. I fratelli minori, due morettini che erano sempre in prima fila, stavano con i puri e duri dell’Mls [Movimento lavoratori per il socialismo, costola del Movimento studentesco – ndr]» (Burba). «Stefano Boeri militava nel Movimento studentesco: la componente più smaccatamente stalinista della nouvelle gauche. […] Boeri viene accusato di avere fatto parte del gruppo di militanti dell’Ms che nell’aprile 1975 in piazza Cavour aggredisce il neofascista Antonio Braggion, che reagisce sparando e uccidendo il diciassettenne Claudio Varalli. Nel processo in Corte d’assise, Boeri viene prosciolto per prescrizione: ma la sentenza dice che “l’aggressione del gruppo dei giovani fu improvvisa, rapidissima, premeditata, violentissima”» (Luca Fazzo). «Sostanzialmente è ve­ro: le cose andarono così. Vor­rei solo precisare che non è che stessimo andando a cac­cia di neofascisti: tornavamo da una manifestazione quan­do in piazza Cavour incon­trammo quel gruppetto che, se mi ricordo bene, stava volan­tinando. E la decisione dei no­stri capi fu quella di andare al­l’attacco. Nella tragedia, una decisione quasi ridicola nella sua insensatezza, perché noi avevamo i bastoni, e dall’altra parte c’era una pistola. La morte di Varalli mi fece capire la follia totale di quello che accadeva. La verità è che c’era un abisso tra le nostre illusioni e la realtà che ci circondava». «Il momento in cui decide di diventare architetto? “In un viaggio con mia madre negli Stati Uniti. Avevo quattordici, quindici anni”. Che successe? “Visitammo un centro di ricerca vicino a San Diego, a strapiombo sul mare, disegnato da Louis Kahn. Il mare non si vedeva: si intuiva. Sentivi che appena dietro c’era l’oceano. Camminando sul lungo braccio ho pensato: ‘Se l’architettura è questo, se riesce a far sentire presente una cosa che non c’è…’”. Anni dopo, s’iscrive ad Architettura. “Ho cercato di non farla. Troppo ingombrante la presenza di mia madre. Così per un periodo mi sono pensato in altri modi”. Per esempio? “Oceanografo. L’unica scuola però era a Nizza, e io non volevo allontanarmi da Milano”. Quindi Architettura. “Mentre mia madre era una creativa strepitosa, principalmente designer, io ho scelto Urbanistica, e ho fatto molta teoria”. […] Lavorato insieme? “Un’unica volta. Io avevo 29 anni, era il mio primo lavoro. Dovevamo costruire una casa in Svizzera”. Esito? “Mesi di litigi, non eravamo d’accordo su niente. Io volevo un grande tetto con tre pareti, lei no. Di base io partivo dall’esterno, lei dall’interno”. Alla fine? “Vinse lei. Rimase un tetto abbastanza esteso da condizionare la distribuzione interna, comunque non come lo volevo io. Diciamo che il mio progetto ha fatto del male al suo, e il suo al mio”. Conclusione? “Eravamo entrambi prepotenti. Siamo stati dei grandi prepotenti”» (Ciabatti). Titolare dal 1999 di uno studio d’architettura con sede a Milano e succursali sempre più numerose in Europa e nel mondo, nel corso degli anni Boeri ha curato numerosi progetti di riqualificazione urbana (per esempio, a Milano, Genova, La Maddalena, Marsiglia, Salonicco, Tirana, Mosca, Pechino, Doha), realizzando, tra l’altro, la ristrutturazione dello stadio Giuseppe Meazza e la nuova sede centrale del gruppo Rcs a Milano, il centro espositivo e di ricerca Villa Méditerranée a Marsiglia e il centro polivalente di Changchun (Cina). A decretarne fama e gloria internazionali furono però in particolare i due grattacieli residenziali noti come «Bosco Verticale», realizzati nel quartiere Isola di Milano nel 2014. «Sono sempre stato affascinato dalla vita, dall’intelligenza e dalla sensibilità degli alberi. Quando mi sono occupato di urbanistica, non solo da studente, ho sempre cercato di guardare con attenzione alla possibilità di immaginare come estendere la presenza degli alberi nelle città. Nel 2005 lanciai l’idea di un bosco attorno a Milano, il “Metrobosco”, che in qualche modo potesse abbracciare la città. In quegli anni attorno al capoluogo lombardo furono piantati 500 mila nuovi alberi» (a Francesco Blandamura e Italo Cinquepalmi). «Un progetto di foresta metropolitana già in parte realizzato, e oggi rinato con ForestaMi. Grazie a questo la città potrà ricevere più ossigeno, essere protetta dall’inquinamento e godere di un clima migliore». «Più tardi ho cominciato a immaginare di portare gli alberi anche in cielo, proponendo un vero e proprio “bosco verticale”, un’idea che tra le principali ispirazioni ha il Barone rampante di Italo Calvino». «“Mio padre portava me e Tito bambini a Taggia, vicino a Sanremo. E io che leggevo Il barone rampante pensavo che gli alberi descritti da Calvino, gli alberi di Cosimo, fossero esattamente quelli che vedevo anch’io”. Nasce da lì la passione per la natura? “Non è una passione ecologica, piuttosto un’ossessione precisa per gli alberi. L’idea di guardare il mondo attraverso i rami”. Cosa sono per lei gli alberi? “Individui, uno diverso dall’altro”. […] Nel 2007 il compito di realizzare i due edifici nel quartiere Isola. “Ero a Dubai coi miei studenti a osservarne lo sviluppo. Mi chiedevo come fosse possibile che esistesse una simile follia: palazzi di vetro in mezzo al deserto, considerando che il vetro riflette il calore nella città”. Conseguenza? “Negli stessi giorni, ad ascoltare un convegno noiosissimo, disegnai la torre di alberi”. Reazione dei committenti? “Di scetticismo: come fa un albero a crescere a cento metri di altezza? E anche: che succede con il vento forte? Tutte domande a cui, insieme a botanici e strutturalisti, ho risposto. In generale, si è trattato di insistere molto”» (Ciabatti). Complessivamente, sulle facciate dei due edifici «sono stati posati settecento alberi e 21 mila piante, l’elemento più dirompente di Porta Nuova. […] “Il Bosco è una casa che nasce per gli alberi e le piante e che incidentalmente ospita anche umani e volatili”, dice l’architetto con un sorriso autoironico, completando la sua definizione in maniera fotografica: “Sono due ettari di bosco che si sviluppano in altezza su una superficie di 1.500 metri quadrati e ci aiutano ad abbattere le emissioni di CO2”» (Lello Naso). «Il Bosco Verticale fu trattato come uno strampalato capriccio prima di diventare l’icona di Milano, un edificio replicato in mezzo mondo e premiato anche con l’International Highrise Award. “L’architettura purtroppo comincia sempre lottando con gli indici di gradimento. All’inizio si oppongono tutti, poi…”. Anche gli altri architetti? “A Milano, sicuro”. Gregotti ha scritto… “Sì, ha scritto, più o meno, che il mio Bosco Verticale lo aveva già inventato suo zio mettendo le piante nel balcone”» (Francesco Merlo). Tra gli scarsamente entusiasti figurava in realtà la stessa Cini Boeri, che, «invitata da un giornale a commentare il Bosco Verticale del figlio, dice: “Niente di eccezionale”. Reazione di Stefano Boeri? “Era la sua tendenza a ridimensionare tutto. Diceva: ‘Mi preoccupa che i miei figli siano toppo sicuri di sé’”. Sbagliava? “No”. Perciò ammirava il Bosco Verticale? “Credo che non la esaltasse. Lo trovava bizzarro, interessante, ma non di suo gradimento”. Eppure, all’inaugurazione… “Diceva: ‘Merito mio: sono sua madre’”» (Ciabatti). Dopo aver esportato, con opportune modifiche, il progetto alla base del Bosco Verticale in mezzo mondo, dalla Svizzera ai Paesi Bassi, dalla Francia alla Cina, da ultimo Boeri ha concepito una nuova idea per la sua città. «A Milano sta per sorgere un nuovo Bosco Verticale, ma esteso in orizzontale e in zona Navigli. Si tratta del Bosconavigli, la nuova creazione dell’architetto Stefano Boeri e del suo studio: un edificio mimetizzato dal verde e dalle piante, abbellito con terrazze e giardini pensili. La struttura sorgerà su ottomila metri quadrati di superficie da riqualificare: le tre facciate principali verranno scandite da un sistema alternato di balconi ideati per ospitare piante e alberi ad alto fusto e saranno caratterizzate da numerosi ingressi e affacci su via San Cristoforo che ampliano visivamente la connessione tra gli spazi interni della corte e il parco pubblico circostante. Il Bosconavigli mette insieme l’architettura tipica della casa a corte milanese e le dinamiche contemporanee di sostenibilità e di fruibilità di spazi pubblici e privati. “Dopo il successo nel mondo del Bosco Verticale, il mio studio ha voluto proporre una sua versione che si sviluppa attorno a una corte centrale e a un olmo centenario. Un nuovo ecosistema ad alta biodiversità sta nascendo lungo i Navigli, nel cuore della Milano più autentica”, ha spiegato Boeri. Nelle zone comuni dell’edificio – in una parte del piano terra e una porzione del primo piano – ci saranno anche un ristorante-bistrot a doppia altezza e un servizio benessere con piscina, palestra e sauna» (Daniela Solito) • Autore di vari saggi: da ultimo Urbania (Laterza, 2021), in cui, tra l’altro, in seguito all’esperienza della pandemia, prefigura una rivitalizzazione dei borghi storici. «Possiamo immaginare le città come un arcipelago di borghi. […] Esiste […] uno spopolamento che non è abbandono delle città, quanto un’oscillazione. Resa possibile da città-arcipelago, reti esterne di piccoli centri e borghi agricoli, che devono rimanere quello che sono nel senso più identitario e morfologico del termine, oltre che in chiave di circuiti economici e produttivi: in Italia per esempio, per come è geograficamente conformata, sono pochissimi i borghi storici lontani dal centro urbano, quindi un’oscillazione è possibile. […] Si potrebbe fare un accordo che scambi la domanda di delocalizzazione dei dipendenti con i fondi per la ristrutturazione dei borghi, il sostegno ai servizi, la banda larga. Buon cibo e acqua potabile contro lavoro intellettuale delocalizzato in rete» • Sposato con Maddalena Bregani, attiva nel settore della produzione culturale e della comunicazione, da cui ha avuto Filippo e Antonio, che definisce «un progetto compiuto e una imprevedibile evoluzione continua». Molto riservato in quanto alla sua vita privata, che considera «uno scrigno di ricchezza da proteggere» • Nella sua formazione umana e professionale, riconosce grande influenza tanto alla madre, «sempre presente come esempio e limite, anche in un certo senso ostacolo: termine di contrapposizione, termine di paragone», quanto al padre: «Era un neurologo con la passione per la psicologia. Laico nell’uso dei farmaci, studiava le malattie croniche. Il mio modo di vedere la città deriva molto da lui, dal suo sguardo: quel rapporto fra neurologia e psicologia. Noi architetti dobbiamo, sì, occuparci del guscio, costruire il fuori, per farlo però è necessario conoscere le aspettative, i desideri, addirittura gli incubi degli abitanti»» • Da sempre appassionato di politica, il 14 novembre 2010 partecipò col sostegno del Partito democratico alle primarie del centrosinistra per la scelta del candidato sindaco di Milano, ma fu battuto da Giuliano Pisapia (Sinistra ecologia libertà), che tuttavia lo volle poi nella sua giunta quale assessore alla Cultura, alla Moda, al Design e a Expo: i rapporti tra i due furono però sempre conflittuali, e, prima di essere destituito nel 2013, già nel 2011 Boeri aveva perso la delega a Expo 2015, a causa delle sue critiche alla gestione dell’evento. «“Quando ho fatto l’assessore a Milano ho commesso il grave errore di ragionare solo da architetto: il lavoro sui progetti, uno per uno. Il Museo della Pietà Rondanini, BookCity, la mostra di Picasso, il Forum per Expo. Preso dalle cose da fare, ho trascurato le relazioni, la politica, e alla fine mi sono ritrovato solo”. Solo proprio su Expo, di cui lui stesso era stato tra i progettisti del masterplan di Rho-Pero, il pesce con il cardo e il decumano, e su cui voleva un impegno assoluto della giunta e della città. “Ci sono state divergenze con il sindaco Pisapia e ho lasciato, ma è stata un’esperienza totalizzante. Perché la politica è totalizzante (un aggettivo in cui riecheggia il Movimento studentesco, ndr). Ho commesso un errore: ne ho tratto le conseguenze”» (Naso) • «La politica è una linea continua che attraversa e permea l’attività professionale di Boeri. […] “L’architettura – ragiona Boeri – anticipa il futuro degli spazi in cui si svolgerà la vita degli uomini. Immagina quello che sarà, la nuova società. È il legame tra le intenzioni e le azioni. La politica – Boeri si infervora – è il sistema di relazioni che creano le condizioni per poter agire, per fare ciò che l’architettura ha immaginato. Ma solo se abbiamo capacità d’ascolto. Riusciamo se sappiamo essere archistreet più che archistar, se raccogliamo i suggerimenti dal basso, dalla strada”» (Naso) • Fervente interista • «Con il suo sguardo largo e internazionale è uno dei più bravi urbanisti della sua generazione. Suo grande merito è aver tirato fuori l’urbanistica da una condizione di disciplina isolata» (Marco De Michelis). «Un vulcano di iniziative. Ha sempre raccontato un po’ di bugie, per difendere la sua autonomia» (la madre) • «La vera sfida, ad oggi, è quella di passare da un’attenzione alla sostenibilità (che negli anni passati è stata dedicata quasi esclusivamente alle energie rinnovabili, progettando architetture che si dotassero di dispositivi fotovoltaici, eolici e geotermici, apparati meccanici che hanno una grande funzione nell’assorbire le energie rinnovabili) a una fase in cui a questo tema va affiancato un altro tema formidabile, quello della vegetalizzazione degli edifici, dell’introduzione nell’architettura della natura vivente. Si tratta della vera sfida del futuro prossimo. È indubbio che qualsiasi materiale da noi usato venga dalla natura, ma altro discorso è utilizzare la natura vivente – le foglie, i rami, le piante, gli arbusti, gli alberi – come elemento non solo ornamentale ma come componente stessa di una facciata o di una copertura architettonica. Ecco la sfida per i prossimi anni» • «“Il barone rampante sull’albero fa tutto: incontra i banditi, s’innamora. Invecchia. Scompare all’orizzonte: aggrappandosi alla cima penzolante di una mongolfiera”. La fine ideale? “Sì: sparire oltre gli alberi”» (Ciabatti).