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 2021  dicembre 04 Sabato calendario

Cuba raccontata da Lourdes de Armas


A Cuba si divorzia spesso, un marito si prende e si lascia, il marxismo invece ancora no. Lourdes de Armas è una artista eclettica, scrive poesie, racconti, romanzi, studia teologia sa utilizzare l’ironia e il sarcasmo e cerca di districarsi tra le maglie di quello che si può dire e quello che è meglio soltanto accennare Marx e i miei mariti racconta quasi trent’anni di storia di questo pezzo di mondo. Maggy Lucia la protagonista, è una ragazza che attraverso i matrimoni scopre contraddizioni e idiosincrasie dell’isola. De Armas risponde al telefono da L’Avana, il tono è allegro, ma non spensierato: «Con la pandemia ci sono problemi che ancora nemmeno immaginiamo». Nel frattempo però si può leggere questo romanzo brillante e a tratti spregiudicato, una prova in più di un panorama non certo sopito della letteratura cubana, specie quella femminile. Il mondo cade a pezzi, specie da quelle parti, eppure gli scrittori sono vivi come mai, anche quando decidono di restare in patria.
Lourdes de Armas, perché si è concentrata sui matrimoni?
«Cuba, in tutte le sue diverse fasi, è rimasto un Paese ateo fondato implicitamente nel matrimonio marxista».
Maggy Lucia fa e disfa con relativa semplicità, in fondo resta sempre sposata al marxismo?
«Nella società cubana i matrimoni si possono fare e disfare con facilità, grazie alle leggi istituite dopo la rivoluzione. Ma soprattutto a causa di un altro elemento: noi praticamente non possediamo beni privati, così quando la coppia non funziona si divorzia e via, al massimo c’è un frigorifero da dividersi, visto che le case, quando ci sono, sono quasi sempre della famiglia. Insomma, c’è un trauma sentimentale, ovviamente, ma non quello burocratico».
Cosa comporta poter divorziare senza troppi vincoli?
«La facilità del divorzio mette la donna in una condizione di indipendenza: si può decidere di separarsi senza nessuna costrizione».
Nel suo romanzo le donne sono tutelate dalla legge, ma poi dentro casa le cose cambiano. È un’indipendenza vera?
«Il ruolo delle donne è un pilastro del progetto di società cubana. Lo Stato scommette sull’emancipazione femminile. Da un punto di vista istituzionale si è cercato di contrastare il patriarcato, poi però nella vita di tutti i giorni le cose sono molto diverse. Il progetto di emancipazione dentro casa non è sempre stato così interiorizzato».
Perché farne un romanzo?
«Prima erano racconti, che poi sono cresciuti diventando un romanzo».
Una delle sue cifre stilistiche è l’ironia, lei scherza su tutto, dall’ideologia ufficiale, ai comportamenti dei funzionari statali. Si è presa delle libertà, ne ha pagato un prezzo?
«C’è sempre un prezzo per l’ironia, ma per me la scrittura è uno spazio di libertà, dove esprimo il mio pensiero. Io scrivo con sincerità e se non fosse così farei altro nella vita. Ci sono molte forme di ironia e altri scrittori che la utilizzano, in fondo questo fa parte della nostra idiosincrasia, nell’ironia si affrontano meglio i drammi, che diventano più accettabili e più freschi».
A Cuba si può acquistare il suo libro?
«Il libro è stato pubblicato nel 2007 in Colombia, a Cuba è arrivato nel 2011, grazie all’editore Union, che mi ha aperto le sue porte».
Ha dovuto cambiare qualcosa per poterlo pubblicare nel suo Paese?
«Nel processo di editing si richiedono sempre dei cambiamenti, ma non sono stati molti. A Cuba è normale che un editore voglia essere cauto».
Com’è cambiata Cuba negli ultimi anni?
«Io ho descritto la società, il conflitto delle donne, ho scritto un libro con un editore di Panama dove racconto la vita negli uffici quando a Cuba cominciano gli investimenti di capitale straniero. Stiamo vivendo momenti molto difficili, c’è una crisi molto forte».
Lei descrive in maniera molto aperta le aggressioni alle famiglie che sceglievano di emigrare, accusate di tradimento.
«Quello che racconto è successo, nessuno può negarlo, in una delle crisi migratorie di Cuba, negli Anni Ottanta ce ne sono state quattro».
I conflitti migratori di cui lei parla, come l’esodo di Mariel e le fughe dei «balseros», esistono ancora?
«Ce ne sono stati diversi e direi che oggi la società ha accettato il fatto che molti se ne siano andati. Ma le fasi sono state molto diverse, così come le società di immigrati, per esempio quelle di Miami, sono formate da persone completamente differenti tra loro. La mia generazione ha vissuto conflitti migratori con i figli, negli Anni Sessanta, invece, erano i genitori ad andarsene. Le famiglie si sono divise, si generano traumi psicologici molto grandi».
Alla protagonista, Maggy, i dirigenti del partito dicono “sei ipercritica e liberale”...
«Il marxismo ha il suo linguaggio, che magari oggi utilizziamo meno. La protagonista stava frequentando un programma di insegnamento del marxismo, ai militanti si diceva “dovete essere critici”, con gli altri e con se stessi e si invitava a combattere quello che c’era di sbagliato nella società. La protagonista, dal loro punto di vista, però, esagera, era troppo critica».
I suoi personaggi a volte hanno paura a dire quello che pensano: in una società così si può produrre arte?
«C’è una tappa della storia letteraria cubana negli Anni Settanta, chiamata il “quinquennio grigio”, caratterizzata da una produzione limitata, gli autori scrivevano allora solo di Rivoluzione, della nuova società e di storie ufficiali. Insomma, una narrativa didascalica. Questo causò una sterilità letteraria, gli scrittori più importanti di altre epoche, sentendosi a disagio, semplicemente non scrivevano più».
Oggi non c’è più quel grigiore?
«Oggi posso pubblicare i libri, nessuno mi dice niente, sarebbe una bugia dire che vengo censurata».
Lei parla di morale socialista, ne rimane qualcosa oggi?
«Oggi è tutto diverso. Il marxismo rigoroso e rigido che ha vissuto la mia generazione non c’è, nelle scuole e nei posti di lavoro. La società funziona in un altro modo».
È una società più aperta?
«Ci sono più libertà, ma altri conflitti, anche molto gravi».
Perché studia teologia?
«L’ateismo mi ha spinto a cercare risposte e mi sono messa a studiare teologia. La questione religiosa a Cuba si è risolta con il IV congresso del partito, durante il cosiddetto “Periodo speciale”, in un momento di crisi economica l’essere umano cerca di aggrapparsi alla devozione e il divorzio tra Stato e chiesa finisce. Oggi ognuno crede in quello che vuole. Resta il carattere popolare della religiosità, che è la cosa che più mi interessa». —