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 2021  dicembre 03 Venerdì calendario

Un reportage da Calais


CALAIS – Quando il tempo è bello, si possono vedere le bianche scogliere di Dover. «I passeurs dicono ai migranti che questo è un lago ed è facile attraversarlo, ma non è vero. Il Canale tradisce anche i migliori navigatori». Volto scavato dalla salsedine, Charles Devos non ha dimenticato quella notte. «Il nostro mestiere è salvare persone, non raccogliere cadaveri». Una settimana fa è partito con la sua imbarcazione non appena si è sparsa la voce di un gommone alla deriva. A bordo c’erano trentatre persone. Devos è riuscito a dare soccorso agli unici due sopravvissuti. Di naufragi ne aveva visti tanti, ma una strage così non era mai accaduta nella Manica.
«Pensavamo di poterci abituare, e invece è ancora scioccante, in particolare quando ci sono bambini», racconta negli uffici della Société nationale de sauvetage en mer, un cubo di cemento battuto da raffiche di vento. Nell’ultimo anno le chiamate sono quotidiane perché quel tratto di mare, poco più di trenta chilometri, è l’ultima strettoia per raggiungere il Regno Unito. La zona del porto è ormai protetta da telecamere e alte recinzioni di filo spinato, in un’atmosfera lugubre che fa pensare alla Germania Est, mentre il traforo dell’Eurotunnel è circondato da profondi fossi riempiti d’acqua che ricordano battaglie medioevali contro i barbari. «Qualche giorno fa continua Devos – c’era una donna che urlava in mare con il suo bambino di tre mesi in braccio».
Erano partiti da Loon Plage, landa desolata verso Dunkerque. Uomini, donne e bambini stipati in una sorta di “piscina gonfiabile” come racconta il marinaio. A volte è anche peggio. I migranti salgono a bordo di piccole canoe, materassini gonfiabili, un uomo è stato ritrovato morto con indosso una ciambella fatta di bottiglie di plastica. Mohammed Sheka è uno dei sopravvissuti della strage del 24 novembre. Il canotto ha cominciato subito a prendere acqua. «Abbiamo chiamato la polizia francese», ricorda Mohammed. «Hanno chiesto la nostra posizione e hanno detto che eravamo in acque britanniche, non era possibile intervenire». «A quel punto – prosegue l’iraniano di ventuno anni – abbiamo telefonato agli inglesi. Ci hanno risposto: parlate con i francesi». Nell’assurdo rimpallo, il mare era ormai diventato una trappola. «Ci siamo presi per mano, per darci coraggio».
Le autorità francesi smentiscono di aver ignorato un Sos quella notte. L’allarme ufficialmente è arrivato da un pescatore di Boulogne- sur-Mer, uno dei tanti in lotta per le licenze bloccate dal Brexit. L’inchiesta dovrà ricostruire la dinamica dei fatti e trovare i responsabili. Mohammed non vuole parlare dei trafficanti che smistano le partenze e si comportano ormai da padroni sulla Côte d’Opale francese, la costa tra Dunkerque, la frontiera belga e la foce della Somme. I rumeni sono la comunità insediata da più tempo tra i passeurs. Poi ci sono i curdi, i vietnamiti. Ognuno ha la sua rotta, la sua clientela a cui far pagare anche tremila euro per una traversata. Mohammed glissa le domande, spiega di essere stato minacciato dai contrabbandieri.
I quasi duecento chilometri di costa sono pattugliati dalla guardia costiera e dalla gendarmeria francese per conto degli inglesi. Non devono respingere sbarchi o ingressi clandestini, come capita in altre frontiere dell’Ue, ma impedire a persone di fuggire. Un’assurdità che risale al 2003, quando il presidente Jacques Chirac e il premier Tony Blair negoziarono gli accordi bilaterali del Touquet. Da allora, la frontiera della Gran Bretagna corre sul continente e la Francia si impegna a fermare i migranti. Il governo di Londra paga tutto, dalle recinzioni ai visori termici usati dai gendarmi. «I colleghi sono motivati ma poi, sul campo, ricevono proiettili e si trovano in situazioni complesse da gestire», racconta Bruno Noël, segretario regionale del sindacato di polizia Alliance.
I passeurs nascondono i gommoni tra le alte dune di sabbia o i vecchi bunker costruiti durante la guerra. Hanno imparato tattiche di diversione, usando “barche esca” che attirano le motovedette francesi per organizzare partenze in altre zone. Da qualche ora è atterrato a Lille un aereo dell’agenzia europea Frontex che aiuterà la sorveglianza del litorale. Più volte al mese ci sono retate, ma i tempi della giustizia sono lunghi e qualche settimana dopo i poliziotti ritrovano gli stessi criminali di nuovo in azione. «Ci domandiamo a cosa serve il nostro lavoro», confida il sindacalista. Davanti alle critiche del Regno Unito, le autorità francesi sono costrette a chiarire: «Sulla terraferma lottiamo contro l’immigrazione illegale, ma appena c’è un centimetro d’acqua non possiamo più farlo. A quel punto la priorità è il salvataggio», spiega un portavoce della Prefettura. A scanso di equivoci, davanti alla Côte d’Opale non si può fare come se si fosse al largo della Libia.