Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  dicembre 03 Venerdì calendario

Intervista ad Ambra Angiolini


Torino
Può succedere, a un certo punto della vita, di capire che non si può più andare avanti navigando nell’infelicità. E, quando quel momento arriva, non è possibile ignorarlo, prendere scorciatoie, nascondersi. Nella Notte più lunga dell’anno di Simone Aleandri, ieri in cartellone al Tff (e dal 27 gennaio in sala con Vision Distribution), Ambra Angiolini si chiama Luce e fa la cubista in un locale di Potenza. Ha un padre un po’ fuori di testa (Alessandro Haber), i capelli striati di blu, l’obbligo di ancheggiare sinuosa e provocante, anche quando non ne avrebbe affatto voglia. Fa parte, spiega il regista, nato a Roma nell’80, di un paesaggio di «storie intense che mettono al centro l’umanità dei personaggi. Un’umanità profonda, alimentata dalla malinconia e dalla solitudine». Per Angiolini, finalmente, un ruolo non da commedia, in un film corale, dove la sua Luce occupa lo spazio che le spetta, con una forza drammatica che riempie lo schermo: «Sono contenta di essere in una storia diversa da quelle che interpreto di solito».
Luce attraversa una crisi profonda che le impedisce di continuare a esibirsi. Si è mai trovata in una situazione simile?
«Luce, per me, ha un significato quasi esoterico. Rappresenta una sliding door, quella parte di vita che avrei dovuto vivere e invece ho deciso di abbandonare, mettendo a rischio quello che avevo di sicuro, per andare altrove. Rientrare in questa crepa di tanti anni fa mi ha fatto ripensare al lavoro fatto, alle rinunce, alle sofferenze che avrei potuto trasferire nel personaggio. È stato liberatorio, molto meglio di una vacanza in un posto bellissimo».
Come affronta le sue crisi, come ha imparato a evitarle?
«Le crisi non le ho mai schivate, al contrario, le ho affrontate con la capacità di buttarmici dentro, con tutta me stessa, volontariamente, senza nessuno che mi ci spingesse, nella convinzione che magari mi avrebbero fatto bene. La mia carriera si è fermata un sacco di volte, per motivi legati a elementi esterni, oppure perchè io stessa ho sentito che non andavo più bene in quel modo».
Come se ne è accorta?
«Me ne accorgo quando mi do fastidio da sola, quando mi sto annoiando, uso toni che non piacciono, allora capisco che c’è qualcosa che non funziona. E, in genere, questa sensazione non deriva mai da quel che vede la gente, parte da me. Dell’esteriorità, dell’aspetto, sinceramente me ne frega davvero poco, d’altra parte noi donne facciamo tante campagne e battaglie, ma se non cambiamo prima noi, non serviranno a niente».
Per le donne, nell’ambito lavorativo e non solo, è davvero cambiato qualcosa?
«La vedo ancora dura e difficile, ma stiamo acquisendo una consapevolezza diversa da prima, cercando di imporre la vita vera e non i modelli, che sono sempre piatti e mai tridimensionali. Finalmente non siamo più figurine, anzi quelle figurine le stiamo strappando e buttando via. Credo che questa rivoluzione sia solida, perchè parte da un’esigenza profonda».
Ha recitato in tanti film corali, che cosa le hanno dato?
«Ne vado fiera. È difficile realizzare film così, facendoli ho imparato a stare in mezzo agli altri, a preoccuparmi di quello che dovevo fare io, contribuendo a raggiungere un risultato generale di bellezza e armonia. Per me è stato un esercizio importante, perchè sono nata in tv e ho iniziato con l’idea di dover puntare tutto sull’io, solo io, sempre io. Era una cosa che mi dava fastidio, in cui non mi ritrovavo, con il cinema ho sentito finalmente di poter respirare».
Sta facendo teatro, con lo spettacolo Il nodo sul tema del bullismo. Che cosa le da il palcoscenico?
«Intanto questa voce, che mi fa sembrare mio padre, soprattutto quando mi sveglio la mattina e nessuno mi riconosce. E dire che le donne sono famose per avere voci bianche e soavi, io no, ho preso un’intonazione da film d’essai. Scherzo, tornare nei teatri è stato bellissimo, ho visto platee piene di gente, un sacco di giovani e questo è un bel segnale. Ho capito quanto siamo mancati al pubblico. Fino a marzo saremo in tournée, abbiamo 91 date, quindi, come dice mia madre “hai voglia a campà"».
E poi c’è la radio. Che cosa le piace di questo impegno?
«Tutte le mattine sono felicemente su Radio Capital. La radio vive di sensazioni, di quello che stai vivendo, ai microfoni è difficile mentire, è un modo onesto per dare qualcosa di se stessi e per ricevere da parte degli altri. È un’esperienza che mi piace vivere e condivivere, credo di esserci riuscita». —