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 2021  dicembre 02 Giovedì calendario

Intervista a Vincenzo Scotti

Vincenzo Scotti è un veterano delle campagne del Quirinale, per 30 anni spesso c’è stato il suo zampino nelle vicende che hanno portato all’elezione di ben cinque Capi dello Stato e col suo bagaglio di esperienza sentenzia: «Diciamo la verità: abbiamo un candidato potenziale, Mario Draghi, che è espressione non di una forza politica o di una maggioranza ma di se stesso. Ma se si vota solo sulla persona, non ce la fa. Tutto dipende da lui: deve assumere un’iniziativa su una linea politica che, mettendo assieme Pd e Lega e tutta la maggioranza, individui contestualmente un Capo dello Stato ma anche un governo-ponte che porti a fine-legislatura. Serve un pacchetto». E aggiunge una pennellata di passato che parla all’oggi: «Badate che anche la più rocambolesca, la più drammatica delle elezioni, quella del 1992, aveva alle sue spalle un ordito, un disegno che ebbe inizio davanti ai miei occhi…». Classe 1933, 6 volte ministro, deputato per 7 legislature, capogruppo della Dc alla Camera, negli ultimi anni Scotti è stato il “patron” della Link University che ha svolto l’originale ruolo di “osservatorio” e serbatoio dei Cinque stelle nell’avvicinamento all’universo governativo.
Scotti, l’elezione di Scalfaro nel 1992 è la più drammatica delle battaglie per la conquista del Quirinale, ma anche il prototipo delle successive campagne: quella vicenda dice qualcosa anche all’attualità?
«Sicuramente. Prima lezione: l’elezione di un Capo dello Stato, anche la più accidentata, non è mai un coniglio cavato fuori da un cappello. Anche allora andò così, perché le racconto cosa accadde il 24 aprile nel mio ufficio al Viminale…».
Lei porta i riflettori sul governo, ma l’ex segretario del Pds Achille Occhetto ha sostenuto di recente che il suo partito partecipò attivamente…
«In altre occasioni il Pci ebbe un ruolo ma per il 1992 Occhetto ricorda male. Le dicevo: era il 24 aprile del 1992, io mi trovavo nel mio studio di ministro dell’Interno e nel momento in cui giunse notizia che Oscar Luigi Scalfaro era stato eletto Presidente della Camera, era con me il Capo dello Stato Francesco Cossiga. Ricordo che lui alzò il telefono, si fece cercare il segretario della Dc Forlani e gli disse: Arnaldo, hai eletto il presidente della Camera che sarà anche il nuovo Capo dello Stato. Oramai è chiuso! Sa quanto tempo passerà da questa profezia e la effettiva elezione del Presidente della Repubblica?».
In effetti passò un mese! Durante il quale accadde di tutto: si svolse un duello fratricida Andreotti-Forlani, ma soprattutto si consumò uno degli eventi più atroci nella storia italiana: l’assassinio di Giovanni Falcone. Eppure…
«Eppure alla fine fu eletto proprio Scalfaro. Perché c’era una “logica” più forte di tanti altri condizionamenti. Ripercorriamoli e le racconterò un episodio sorprendente…».
Non è stata l’uccisione di Falcone a cambiare la storia di quella elezione?
«Avevo un ottimo rapporto con Giovanni Spadolini, in quel momento presidente del Senato. La mattina della domenica andammo assieme ai funerali di Falcone, in aereo c’era il suo addetto stampa e potrebbe confermare oggi quel che le sto per dire. Spadolini mi confidò: Forlani, mi ha detto che domani voteranno per me. E aggiunse: ho passato la notte al discorso».
Al discorso? Quindi era strasicuro di essere eletto?
«Mi disse: sarà un discorso a metà tra Einaudi e Gronchi. Istituzionalismo del primo, sguardo politico del secondo».
La dura legge del Quirinale: mai dirsi eletti prima di esserlo realmente?
«Eravamo in chiesa. Io e Spadolini su una fila. Dietro di noi c’era Claudio Martelli, vicepresidente del Consiglio. Ad un certo punto il capo della polizia Parisi mi si avvicinò e mi disse: “a Roma i socialisti hanno deciso di votare per Scalfaro, chi glielo dice a Spadolini?"….».
A chi toccò?
«Glielo dissi io. Spadolini sbiancò. E mi disse: “tu vai a Roma e vedi cosa puoi fare”. Io, passando dalla sacrestia, uscii e lui affrontò la piazza».
A proposito di calcoli più o meno sbagliati che si possono ripetere nelle prossime settimane: Bettino Craxi, che sperava di fare il presidente del Consiglio, si convinse che Scalfaro sarebbe stato il miglior Capo dello Stato possibile…
«Salvo Andò, presidente dei deputati socialisti, andò da Scalfaro per dirgli: ti votiamo, e il presidente della Camera gli rispose: “Ricordati che io sono stato il ministro dell’Interno del governo Craxi"…».
L’intesa era Scalfaro capo dello Stato e incarico a Craxi per formare il governo?
«Andai da Scalfaro oramai Presidente della Repubblica e lui disse che non poteva dare l’incarico a Craxi subito ma che lo avrebbe avuto pochi mesi più tardi…».
Veniamo all’oggi: finora si procede senza una regia?
«Ce lo dice la storia: ogni elezione presidenziale è stata guidata da processi politici, al di là del frastuono circostante. Ogni presidente è stato eletto con una logica politica, non ad personam. Einaudi è stato il presidente del centrismo, Pertini è eletto coralmente perché dovevamo uscire dalla vicenda Moro con una figura “alta”. Ma anche Scalfaro è preparato da lontano: scalzare Cossiga e la sua concezione presidenzialista. Ero presidente dei deputati dc e alla fine di ogni seduta arrivava l’attacco di Scalfaro contro le esternazioni di Cossiga. Poi ne ha preso il posto….».
Qualcuno pensa: il Covid peggiora, alla decima votazione a vuoto, chiediamo ai due Presidenti di restare al loro posto?
«Qualcuno ci pensa: andiamo alla disperata e poi chiediamo il sacrificio ai due presidenti. Ma anche in questo caso estremo servirebbe una linea politica».
Il “pacchetto” Quirinale-Chigi che lei suggerisce che problemi deve risolvere?
«L’anno prossimo è un anno terribile per l’Europa. A Bruxelles verranno alla luce tutti i nodi. Attenzione perché Maastricht è stata sospesa, non è stata mica cancellata. I Paesi minori presenteranno il conto: l’Italia ha detto di volere una politica espansiva, ma controllata sulla qualità degli investimenti. Stiamo attenti perché se non abbiamo la crescita sufficiente rischiamo di non poter rimborsare i debiti. Bene: i Cinque Stelle hanno un disegno in questo senso? Ce l’hanno i partiti di centrodestra? Lo ha il Pd?».
Non lo sappiamo…
«Esatto: non lo sappiamo. Noi abbiamo un candidato potenziale, Draghi, che per ora è espressione non di una maggioranza ma di se stesso. Il nodo è tutto qui e se non lo sciogliamo è inutile che andiamo a scomodare altri candidati. Se invece Draghi diventa espressione di una linea, in Italia e in Europa, allora tutto cambia. I socialdemocratici, che ora guidano la Germania, hanno bisogno di una posizione politica, non di un Capo dello Stato». —